Assegno di divorzio: conta anche il contributo personale ed economico del coniuge alla vita familiare
di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDFCass. Civ. S.U. sentenza n. 18287 11 luglio 2018
Divorzio – Assegno – Criterio composto: assistenziale/compensativo/perequativo
(Art. 5 comma 6 L. n. 898/1970 modificata con L. n. 74/1987, art. 29 Cost.)
Il riconoscimento dell’assegno di divorzio deve avvenire valutando le rispettive condizioni economiche dei coniugi, il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale, tenendo presente anche la durata del matrimonio e l’età dell’avente diritto.
CASO
Si tratta di una coppia emiliana sposata da più di 30 anni, lui 66 anni e lei 62 anni.
Modeste origini, patrimonio e reddito accumulati nel corso della vita matrimoniale. Imprenditore lui, professionista lei.
In separazione, l’ingente patrimonio era stato diviso, le aziende a lui e il denaro e gli immobili a lei.
In sede di divorzio il Tribunale di Reggio aveva riconosciuto alla donna un assegno divorzile di 4.000 euro fondandolo sull’elevato tenore di vita goduto dalla coppia in costanza di matrimonio, e sulle aspettative economiche in espansione del marito.
La Corte d’appello di Bologna, aderendo all’emergente orientamento della Cassazione inaugurato con la sentenza n. 11504/2017, aveva negato il diritto all’assegno divorzile, in forza del principio dell’autosufficienza economica.
La signora aveva, infatti, un reddito proprio di circa 50.000 euro annui e un cospicuo patrimonio immobiliare ottenuto con la separazione, pertanto, seppur in presenza di sperequazione tra le capacità patrimoniali dei coniugi, l’agiatezza della moglie non consentiva l’attribuzione di un assegno divorzile.
La vicenda è arrivata alla Cassazione. Nel ricorso, la difesa della donna ha chiesto e ottenuto la remissione alle sezioni unite, al fine di ottenere un’univoca interpretazione dell’art. 5 comma 6 della legge sul divorzio.
Secondo i legali della ricorrente, così come formulata, la norma non contiene il principio di autosufficienza richiamato nella citata sentenza. L’applicazione di tale principio può portare a “gravi ingiustizie sostanziali”, in particolare per i matrimoni di lunga durata e nei casi in cui un coniuge si sia fatto carico degli impegni familiari rinunciando alle proprie aspettative di lavoro.
L’orientamento della corte di legittimità basato soltanto sull’indipendenza economica del coniuge, violerebbe il principio della solidarietà anche post matrimoniale contenuto nel nostro ordinamento.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione compie un excursus sulle interpretazioni e modificazioni della norma all’indomani della sua emanazione nel 1970.
Dottrina e giurisprudenza hanno sempre attribuito all’assegno divorzile una natura composita: assistenziale, stante il riferimento alle condizioni economiche dei coniugi, risarcitoria, quando si richiamano le ragioni della decisione, compensativa, in relazione al richiamo del contributo personale ed economico dato alla condizione della famiglia e al patrimonio di entrambi.
I criteri erano utilizzati in maniera equivalente dal giudice ai fini della determinazione dell’assegno di divorzio.
Nel tempo, la funzione dell’assegno si è caratterizzata sempre più come “perequativa”, mirando a colmare lo squilibrio economico che può venirsi a creare con la fine del matrimonio.
Nel 1987, anche a causa del mutamento sociale e del cambiamento del ruolo della donna nella famiglia e nella società, la formulazione della norma è stata modificata introducendo la condizione “dell’insussistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive”.
Con la sentenza a sezioni unite n. 11490/1990, la Cassazione fornì un’interpretazione rimasta costante per circa trenta anni, con cui si affermava che l’assegno di divorzio, dopo la novella legislativa, acquisiva principalmente funzione assistenziale.
Il coniuge aveva diritto all’assegno se il giudice accertava l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente (redditi, patrimonio e altro) a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto nel corso del matrimonio.
Faceva ingresso, quindi, un parametro, quale il tenore di vita, a cui si ancorava il giudizio di inadeguatezza ai fini dell’an debeatur dell’assegno, per poi passare alla determinazione del quantum debeatur utilizzando come parametri gli altri criteri richiamati dalla norma.
La sentenza della prima sezione n. 11504/2017, eliminando il riferimento al tenore di vita, ha posto alla base del giudizio d’inadeguatezza il solo presupposto dell’autosufficienza economica del coniuge richiedente l’assegno, rendendo la valutazione degli altri criteri solo eventuale.
Con la pronuncia resa a sezioni unite, la Cassazione precisa che il criterio dell’autosufficienza non può da solo stare alla base del giudizio di fondatezza della domanda di assegno.
Il ruolo del singolo coniuge nella relazione matrimoniale costituisce un fattore importante, frutto di scelte comuni che si fondano sull’autodeterminazione e sull’autoresponsabilità. Tali scelte incidono sul profilo economico-patrimoniale post matrimoniale.
Pertanto, secondo la Corte Suprema, occorre tenere conto del modello di relazione che i coniugi hanno voluto attuare, nel rispetto del principio della pari dignità dei coniugi, di uguaglianza e di libertà di scelta.
Il giudizio di adeguatezza dei mezzi, in sostanza, deve essere rapportato non solo all’insufficienza oggettiva ma anche a quello che si è contribuito a realizzare nella famiglia.
QUESTIONI
La sentenza delle sezioni unite arriva a mitigare un orientamento caratterizzato forse da eccessiva rigidità, che si fondava su un’interpretazione poco in linea col testo di legge e con i principi cardine dell’ordinamento in materia di famiglia.
Il criterio dell’autosufficienza era stato per lo più applicato dai tribunali di merito, ma alcuni di essi avevano messo in luce le carenze della nuova interpretazione, discostandosene (Tribunale di Udine sez. I sentenza del 1° giugno 2017 e Tribunale di Roma sez. I sentenza 21 luglio 2018).
La decisione della Cassazione riporta l’assegno divorzile non più a una funzione meramente assistenziale, ma valorizza il background della coppia e le scelte di vita che sono state compiute congiuntamente dai coniugi.