6 Giugno 2017

Assegno divorzile: il giudice non deciderà più in base al tenore di vita goduto

di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDF

In materia di assegno divorzile, la Corte di Cassazione, ha effettuato un significativo cambio di rotta che diversifica la disciplina dell’assegno di mantenimento nella separazione da quella relativa all’assegno divorzile.

La separazione personale dei coniugi, a differenza dello scioglimento del matrimonio o della cessazione dei suoi effetti civili, non estingue il vincolo coniugale. Permane l’obbligo di assistenza materiale nel quale si concretizza l’assegno di mantenimento.

La stessa cosa non può essere affermata per l’assegno divorzile, espressione del principio di solidarietà post-coniugale.

Con la sentenza n. 11504 depositata il 10 maggio 2017, la Corte aggancia il diritto al mantenimento nel divorzio, al presupposto della non autosufficienza economica dell’altro coniuge, ritenendo non più attuale, nell’ambito dei mutamenti economico-sociali, il riferimento alla continuazione del tenore di vita goduto durante il matrimonio.

Si tratta di una sentenza che si può definire epocale, poiché fino ad oggi, il parametro al quale rapportare il giudizio di adeguatezza dei mezzi economici del richiedente l’assegno, era il tenore di vita goduto durante il matrimonio.

A distanza di quasi ventisette anni dalla storica sentenza che inaugurò l’interpretazione dell’art. 5 della legge sul Divorzio, il suddetto orientamento non è stato più ritenuto attuale.

La legge 898/70 prevede il diritto alla corresponsione di un assegno, in seguito all’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi economici del coniuge economicamente più debole.

Il presupposto dell’attribuzione è la mancanza di adeguati mezzi economici da parte dell’altro coniuge o la difficoltà di procurarseli per ragioni oggettive.

Solo in presenza della suddetta condizione si valutano i seguenti parametri:

  • le condizioni dei coniugi
  • le ragioni della decisione
  • il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio personale o comune durante il matrimonio
  • i redditi di entrambi
  • la durata del matrimonio

Secondo la Cassazione, la natura prevalente dell’assegno divorzile è quella assistenziale, in forza del sopra citato dovere di solidarietà post coniugale, proprio perché primariamente la legge parla di inadeguatezza dei mezzi economici di un coniuge.

Intanto si può parlare di inadeguatezza, in quanto l’altro coniuge non sia indipendente o autosufficiente economicamente.

L’attribuzione dell’assegno, in assenza di tale presupposto di non autosufficienza, sarebbe un illegittimo arricchimento, perché fondato soltanto sull’esistenza di un rapporto matrimoniale ormai estinto.

Con lo scioglimento il rapporto matrimoniale si estingue, sia sul piano dello status personale, per cui il coniuge ritorna “persona singola”, sia sul piano dei rapporti patrimoniali.

Appena due anni fa la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 11 dell’11 febbraio 2015, aveva dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Firenze, in relazione all’art. 5 della legge sul divorzio, in materia di riconoscimento di assegno divorzile.

Nel rinviare la sollevata questione d’incostituzionalità al Giudice delle Leggi, si faceva rilevare che secondo “il diritto vivente”, di fatto, l’assegno divorzile è concesso per garantire al coniuge economicamente più debole lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

La disposizione sarebbe in contrasto l’art. 2 Cost., per “eccesso di solidarietà” perché impone l’obbligo di far mantenere le stesse condizioni godute nel matrimonio al coniuge debole, ben oltre il matrimonio, anche per tutta la vita.

In relazione all’art 3 Cost., per “contraddizione logica” fra lo scopo del divorzio che è quello di fare cessare il matrimonio e i suoi effetti, e quello della previsione del mantenimento, che spinge molto lontano dal momento del matrimonio, il concetto di tenore di vita in costanza di matrimonio.

L’obbligo, così configurato, sarebbe anacronistico considerando l’evoluzione sociale della famiglia, del ruolo dei coniugi e dell’incidenza dei divorzi.

Il nuovo parametro dell’autosufficienza trova riscontro nella giurisprudenza relativa all’art. 337 septies c.c. che regola il dovere di corrispondere il mantenimento al figlio maggiorenne non ancora economicamente autosufficiente.

Si richiama il principio dell'”autoresponsabilità” economica. Con la sentenza n. 18076 del 2014, la Cassazione ha escluso l’esistenza di un obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente sul mero presupposto dello stato di disoccupazione dei figli, pur nell’ambito di un contesto di crisi economica e sociale.

La situazione soggettiva fatta valere dal figlio che, rifiutando ingiustificatamente in età avanzata di acquisire l’autonomia economica tramite l’impegno lavorativo, chieda il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori, non è tutelabile perché contrasta con il principio di autoresponsabilità che è legato alla libertà delle scelte esistenziali della persona.

Tale principio di “autoresponsabilità” è applicabile anche all’istituto del divorzio, che segue normalmente la separazione personale ed è frutto di scelte definitive che riguardano la libertà della persona e implicano l’accettazione da parte di ciascuno degli ex coniugi delle relative conseguenze anche economiche.

Questo principio, inoltre, si ritrova da tempo in molte legislazioni dei Paesi dell’Unione, che prevedono, come regola generale, la piena autoresponsabilità economica degli ex coniugi, salve limitate eccezioni di aiuto economico, in presenza di specifiche e dimostrate ragioni di solidarietà.

La sentenza della Cassazione elenca in maniera specifica gli indici dai quali il giudice dovrà desumere l’autosufficienza del coniuge:

  • il possesso di redditi di qualsiasi specie
  • il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari
  • la capacità e possibilità effettive di lavoro personale
  • la disponibilità di una casa di abitazione

Quanto al regime della prova della non “indipendenza economica” dell’ex coniuge che fa valere il diritto all’assegno di divorzio, secondo le regole che disciplinano la distribuzione del relativo onere, allo stesso spetta allegare, dedurre e dimostrare di non avere mezzi adeguati e di non poterseli procurare per ragioni oggettive.

Tale onere probatorio ha ad oggetto i predetti indici principali, costitutivi del parametro dell’indipendenza economica, e presuppone tempestive, rituali e pertinenti allegazioni e deduzioni da parte dello stesso coniuge, restando fermo il diritto all’eccezione e alla prova contraria.

In particolare – afferma la Corte – mentre il possesso di redditi e di cespiti patrimoniali formerà normalmente oggetto di prove documentali, o di indagini con l’eventuale ausilio della polizia tributaria ( L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9), le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale formeranno oggetto di prova che può essere data con ogni mezzo idoneo, anche di natura presuntiva, fermo restando l’onere del richiedente l’assegno di allegare specificamente (e provare in caso di contestazione) le concrete iniziative assunte per il raggiungimento dell’indipendenza economica, secondo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative.