Assegno divorzile al coniuge licenziato: negato perché gli esborsi mensili della ex superano la disponibilità del sussidio di disoccupazione
di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile sez. I, ordinanza del 15/12/2022 n. 36802
Assegno divorzile – valutazione delle prove
(Art. 5 comma 6 legge. n. 898/1970 – art. 116 c.p.c.)
Massima: “Ai fini del riconoscimento di assegno divorzile al coniuge che ha perso il lavoro, la capacità di spesa del richiedente che è superiore alla disponibilità del sussidio di disoccupazione e il mancato deposito in giudizio dei documenti relativi all’accordo di licenziamento e al TFR percepito, fanno presumere l’esistenza di redditi non dichiarati”.
CASO
In sede di separazione consensuale i coniugi si erano dichiarati indipendenti e autosufficienti, avendo regolato la totalità dei rapporti economici intercorsi tra gli stessi.
Al momento dello scioglimento del vincolo coniugale, la donna richiedeva un assegno divorzile giustificato dall’avvenuto licenziamento, ma la Corte di appello di Roma respingeva la domanda.
Secondo i giudici il licenziamento non poteva avere effetti automatici sulla capacità di lavoro e reddituale della donna che le aveva permesso di godere di una entrata di euro 22.000,00 annui.
Dall’istruttoria era inoltre emersa una ricostruzione della situazione economica della richiedente non attendibile.
L’ex moglie pagava un canone di locazione di euro 500,00 mensili, una rata di finanziamento di circa 368,00 euro mensili, manteneva l’autovettura e aveva spese per l’utilizzo di una carta di credito di circa euro 400,00/500 ogni mese.
Tali elementi facevano presumere la sussistenza di fonti non dichiarate di reddito poiché ben superiori rispetto a quanto percepito col sussidio di disoccupazione.
Inoltre, la Corte aveva considerato il contegno processuale della donna, la quale non aveva ottemperato all’ordine di depositare in giudizio l’accordo raggiunto in sede di licenziamento e la documentazione relativa al TFR liquidato, venendo meno al dovere di lealtà processuale cui sono tenuti i coniugi nei giudizi di separazione e divorzio, valutabile ex art. 116 c.p.c., comma 2.
SOLUZIONE DELLA CASSAZIONE
L’insindacabilità della valutazione delle prove
In Cassazione l’ex moglie sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente basato il suo convincimento, relativamente alla presenza delle fonti di reddito non dichiarate, unicamente su di una presunzione semplice derivante dall’omessa produzione in giudizio di alcuni documenti.
La sentenza, inoltre, non avrebbe tenuto conto degli altri parametri per valutare l’inadeguatezza dei mezzi economici della richiedente l’assegno, quali l’impossibilità di reperire una occupazione per età e livello di specializzazione, oltre alla differenza fra le posizioni reddituali dei due ex coniugi dovuta anche al contributo dato dalla ricorrente alla carriera del marito.
La Corte suprema ha dichiarato inammissibile il ricorso poiché ha ritenuto corretto l’iter argomentativo della sentenza impugnata.
La Corte di appello, ai fini del giudizio di adeguatezza dei mezzi di sussistenza e della capacità lavorativa della donna, ha considerato non solo le dichiarazioni dei redditi delle parti ma anche gli oneri di spese di cui era gravata la richiedente, arrivando alla conclusione della esistenza di fonti non dichiarate eccedenti le disponibilità riconducibili al solo sussidio di disoccupazione.
Anche la censura relativa alla mancanza di autosufficienza economica per le aspettative scarificate e il contributo dato alla carriera professionale del marito, tendendo a un riesame e una valutazione dei fatti alternativa a quella risultante dall’accertamento compiuto dal giudice del merito, è inammissibile in quanto non consentita nel giudizio di legittimità.
QUESTIONI
La Corte di Cassazione ha ribadito il principio di diritto secondo cui il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, seppur non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.
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