L’arbitrato come strumento di risoluzione delle controversie nel settore della Hospitality
di Donatella Marino, Avvocato Scarica in PDFParole chiave: ADR – arbitrato – turismo – clausola compromissoria – condizioni generali – convenzione arbitrale – Hospitality – locazioni – clausole vessatorie – – consumatore – Direttiva 93/13/CEE – D.Lgs n. 206/2005 – ricettività – alberghi – gestione immobiliare – intermediazione
Sintesi questione
Il valore degli strumenti di composizione delle controversie alternativi alla giurisdizione ordinaria (Alternative Dispute Resolution o ADR), quali la mediazione e l’arbitrato, è ormai indiscusso in termini di qualità, competenza, rapidità ed efficienza. Anche gli operatori della Hospitality hanno iniziato a riconoscerlo e a introdurre negli accordi specifiche clausole che ne consentano la fruizione. Un processo favorito dall’aumento delle criticità legate all’emergenza sanitaria, che hanno alimentato la micro-litigiosità tra gestori e fruitori dei servizi turisti.
La normativa emergenziale e gli ADR
Coglie questo aspetto già il co. 6-ter dell’articolo 3 del Decreto-Legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13 (inserito, dal co. 1-quater dell’articolo 3 del Decreto-Legge 30 aprile 2020 n. 28, come convertito con modificazioni dalla Legge 25 giugno 2020, n. 70), che ha previsto “nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali, nelle quali il rispetto delle misure … disposte durante l’emergenza epidemiologica da COVID-19… può essere valutato ai sensi del comma 6-bis, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione…costituisce condizione di procedibilità della domanda”. In questo contesto, secondo il Legislatore emergenziale, ricorrere ad uno strumento alternativo di risoluzione delle controversie, più agile e breve, presenta l’evidente vantaggio di alleggerire le posizioni critiche.
Nessuna previsione specifica, invece, per la deroga a favore dell’arbitrato. Da tempo considerato lo strumento d’eccellenza per la soluzione delle controversie in ambito internazionale, anche a livello domestico si è ormai affermato in tutti i rapporti contrattuali complessi che coinvolgono importi rilevanti. Una tendenza che si rileva anche nel Real Estate, dove l’utilizzo di clausole compromissorie nelle operazioni straordinarie è ormai diffuso.
In realtà, grazie alla possibilità di pattuire soluzioni con arbitro unico e meccanismi di nomina agevoli preconcordati questo strumento diventa interessante – in quanto poco costoso ed estremamente rapido – anche per le transazioni commerciali che coinvolgono importi più contenuti, come capita nella ricettività alberghiera e non-alberghiera o nelle locazioni.
- Con alcune limitazioni, però. I limiti alla possibilità di derogare al giudice ordinario incontra in questi ambiti l’interferenza della normativa vincolistica in materia di locazione e della disciplina posta a tutela del consumatore o, più in particolare, del viaggiatore.
La clausola compromissoria
Disciplinato dal Codice di procedura civile (Libro IV Titolo VIII), lo strumento dell’arbitrato è stato modificato in vari successivi interventi, tra cui, in particolare, il D. Lgs. n. 40/2006. La deroga alla giurisdizione deve essere pattuita per iscritto e, se parte di un più ampio accordo tra le parti, verrà concordata attraverso una specifica clausola compromissoria. Quanto alla tipologia di procedimento pattuito nel compromesso o nella clausola compromissoria, sostanzialmente si distingue tra:
– il c.d. “arbitrato amministrato”, che ricorre quando le parti scelgono di affidarsi alla organizzazione di un ente a ciò preposto e le cui norme procedurali (e tariffe) le parti fanno proprio attraverso il rinvio negoziale, e
– il c.d. arbitrato ad hoc, il cui procedimento è invece affidato agli arbitri nominati secondo regole procedimentali specificate di volta in volta dalle parti.
Il vincolo sempre operante è l’attuazione del principio del contraddittorio, che impone di concedere alle parti ragionevoli e pari possibilità di difesa. La decisione degli arbitri si esprime nel lodo che, nell’arbitrato rituale, ai sensi dell’art. 824 bis c.p.c., ha “gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria”.
Le questioni arbitrabili
Alla base di questo istituto è il principio di cui all’art. 806 c.p.c. , secondo cui è deferibile al giudizio arbitrale qualsiasi controversia che
- non abbia per oggetto diritti indisponibili e
- non sia oggetto di espresso divieto di legge.
Resta pertanto escluso il ricorso allo strumento arbitrale nei conflitti che, per espressa prescrizione normativa, non sono suscettibili di deroga alla giurisdizione ordinaria.
L’arbitrato nei rapporti locativi
Con l’abrogazione, per le locazioni ad uso abitativo, dell’art. 54 della L. 392/1978 ad opera della L. 431/1998 è venuta meno, sicuramente per le locazioni ad uso abitativo, la norma che prevedeva la nullità della clausola compromissoria con cui le parti affidavano ad arbitri le controversie in materia di determinazione del canone. Già prima invece, nei contratti di natura locativa tra privati, veniva pacificamente ammesso il ricorso a clausole compromissorie per tutte le altre questioni derivante dal contratto di locazione. Più delicata invece, l’ammissibilità di deferire ad un arbitro, controversie in materia di sfratti. In particolare, afferma la giurisprudenza, un contratto di locazione che contiene una clausola compromissoria “trova limite nel procedimento di convalida di sfratto per cui sussiste una competenza funzionale ed inderogabile del pretore quanto alla fase di cognizione sommaria che si conclude con una pronuncia di convalida [art. 663 c.p.c. ] o con l’ordine provvisorio di rilascio [ art. 665 c.p.c. ]” (così Cass. Civ. Sez. III Sent. n. 387 del 16 gennaio 1991, che specifica che solo quando sia proposta opposizione da parte dell’intimato conduttore ed il procedimento speciale si trasforma in ordinario processo di cognizione “non esiste alcuna preclusione per la deferibilità agli arbitri di questa seconda fase del procedimento in attuazione della clausola compromissoria”).
L’arbitrato nelle condizioni generali del settore Hospitality
Gli operatori della ricettività, alberghiera e non, da una parte, e della gestione o intermediazione immobiliare, dall’altra, spesso ricorrono a strutture negoziali destinate a regolare una serie indefinita di rapporti e, dunque, unilateralmente redatti: si tratta delle condizioni generali (i “term of services” o TOS) solitamente proposte, nel settore della Hospitality, attraverso il sito dell’operatore: lo user può decidere di aderire (o meno) all’accordo ma non può partecipare alla negoziazione delle singole clausole. Frequente in questi contratti rinvenire clausole compromissorie con cui si deferiscono ad uno o più arbitri le controversie eventuali e future nascenti dal rapporto. Nei contratti tra privati, la natura vessatoria della clausola compromissoria contenuta nelle condizioni generali di contratto ai sensi dell’art. 1341 c.c. è oramai affermata pacificamente in giurisprudenza: questo comporta che, per la sua validità, ai sensi del comma 2 dell’art. 1341 c.c., sia richiesta una specifica approvazione per iscritto (v. Cass., Sez. I Civ., 23 maggio 2006). Più complesso è invece l’operatività di una clausola compromissoria quando le parti del rapporto negoziale sono, da un lato, un professionista della Hospitality, dall’altro un privato (c.d. consumatore).
Gli ADR nei rapporti col consumatore
Se da un lato, il ricorso a strumenti alternativi alla giurisdizione ordinaria per la gestione delle controversie tra professionisti e consumatori, sembrerebbe, in quanto a tempi ed esiti del processo civile ordinario, una soluzione appropriata ed efficace anche per le ragioni del consumatore, dall’altro, si ammette il rischio che lo squilibrio delle posizioni delle parti favorisca l’imposizione negoziale della parte più forte rispetto a quella più debole. A questo si aggiunge l’ambiguità legislativa: se, da un lato, il Legislatore sembra favorire il ricorso a soluzioni alternative delle controversie, dall’altro prevede, nell’ottica di una particolare tutela del consumatore, norme che inevitabilmente ne scoraggiano l’utilizzo. Ne è un esempio, l’art. 141 ultimo comma del D.Lgs. del 6/09/2005 n. 206 (c.d. Codice del Consumo), secondo il quale il consumatore“ non può essere privato in nessun caso del diritto di adire il giudice competente qualunque sia l’esito della procedura di composizione extragiudiziale”.
L’arbitrato e i contratti col consumatore
Nei rapporti col consumatore, ai sensi dell’art. 33, comma 2 lett. t), del Codice del Consumo la clausola contenente una deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria si presume vessatoria. La tutela del consumatore prevede in questi casi, ai sensi dell’art. 36 del C.d.C. la conseguenza, salvo prova contraria, della nullità della clausola, a vantaggio del solo consumatore (c.d. nullità di protezione). Nell’interpretazione giurisprudenziali, infatti, in tema di contratti con il consumatore (nel caso che si menziona, un contratto bancario) si ammette il ricorso a clausole compromissorie “a condizione che si dimostri l’esistenza di una specifica trattativa tra le parti, e la prova di tale circostanza costituisce onere preliminare a carico del professionista che intenda avvalersi della clausola arbitrale in deroga” (Cass. Sent. del 13/02/2017, n. 3744).
Ovviamente, l’attuale impostazione rende davvero ostico il ricorso a questo strumento nei rapporti col consumatore, che pur comporterebbe, potenzialmente, vantaggi per entrambe le parti. In realtà, la Direttiva 93/13/CEE sui contratti del consumatore prevedeva nell’elenco delle clausole presuntivamente vessatorie (allegato di cui all’articolo 3, paragrafo 3, al punto 1 let. q) quelle che hanno per oggetto o per effetto di “sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali o vie di ricorso al consumatore, in particolare obbligando il consumatore a rivolgersi esclusivamente ad una giurisdizione di arbitrato non disciplinata da disposizioni giuridiche, limitando indebitamente i mezzi di prova a disposizione del consumatore o imponendogli un onere della prova che, ai sensi della legislazione applicabile, incomberebbe ad altra parte del contratto”.
La scomparsa, nella fase di ricezione da parte del legislatore italiano confluito nel Codice del Consumo, di un esplicito riferimento all’arbitrato, ha fatto intravedere delle aperture e dato adito ad interpretazioni differenti. Sul punto, occorre rilevare che la previsione un’ipotesi di riforma organica degli ADR è attualmente al vaglio del legislatore. La proposta, de iure condendo, è l’esclusione esplicita della presunzione di vessatorietà di cui all’art. 33 del Codice del Consumo, a determinate condizioni, per le convenzioni arbitrali amministrate (di cui all’art. 832 c.p.c.).