Arbitrato tra professionista e consumatore: la validità della clausola compromissoria è subordinata alla sua specifica negoziazione
di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDFCass. sez. I, 31 dicembre 2021, n. 42091 Pres. Valitutti e Rel. Caradonna
Arbitrato – In generale – Giurisdizione -Soggetti -Competenza – Consumatore
(art. 360 co. 1, n. 3 e 4 c.p.c.; art. 33 d.lgs. n. 206/2005)
Massima: “In tema di arbitrato tra un soggetto professionista e un consumatore, la deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria in favore degli arbitri, ex art. 33, comma 2, lett. t), D.Lgs. n. 206/2005, è ammissibile ove venga provata l’esistenza di una specifica trattativa tra le parti, prova il cui onere ricade sul professionista che intenda avvalersi della clausola arbitrale in deroga e che rileva quale elemento logicamente antecedente alla dimostrazione della natura non vessatoria della clausola”.
CASO
Con lodo pronunciato a Milano, un collegio arbitrale aveva dichiarato l’insussistenza del proprio potere di decisione, in ragione della nullità della clausola compromissoria contenuta nel contratto stipulato dalle parti (una società estera e i suoi clienti M.O. e M.G.).
Il lodo veniva impugnato da entrambe le parti, in Corte d’Appello, la quale rigettava l’impugnazione principale proposta dalla società e quella incidentale dei clienti M.O. e M.G.
La Corte territoriale sosteneva, in particolare, che la società mai aveva contestato, nel corso del giudizio arbitrale, la qualifica di consumatori assunta da M.O. e M.G., mentre era pacifico che la medesima andava considerata come professionista.
I Giudici evidenziavano, inoltre, che il principio del contraddittorio non era stato violato, in quanto dalla lettura del lodo impugnato, si evinceva che il Collegio arbitrale aveva concesso ad entrambe le parti i termini processuali per svolgere le proprie difese, invitatole a prendere posizione sulla questione relativa alla validità della clausola compromissoria, anche in relazione alle disposizioni inerenti i contratti dei consumatori.
La società ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 33, d.lgs. n. 206/2005, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, c.p.c., non avendo la Corte d’Appello (e nemmeno il Collegio arbitrale) considerato la trattativa individuale che vi era stata sulla clausola compromissoria stipulata con i convenuti. Con il secondo motivo, la ricorrente deduceva, invece, la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, c.p.c., in relazione all’omessa osservanza del principio del contraddittorio.
SOLUZIONE
La Cassazione, anzitutto, si interroga in merito alla validità della clausola arbitrale inserita nel contratto. E precisa come, nella specie, tale clausola non vada qualificata come una deroga al foro del consumatore, ex art. 33, comma 2º, lett. u) del decreto legislativo n. 306/2005, ma come una «ancor più gravosa » limitazione alla competenza dell’autorità giudiziaria, prevista dal comma 2, lett. t) del medesimo articolo (sul tema, vedi Tommaseo., Commento all’art. 1469-bis, III comma, n. 18, Il Codice Civile Commentato, a cura di Alpa -Patti, 620).
Statuisce, quindi, che tale deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria in favore degli arbitri è legittima solo ove venga provata l’esistenza di una specifica trattativa tra le parti su tale circostanza (v. Cass. 24 novembre 2008, n. 27911; Cass. 6 settembre 2007, n. 18743).
Le clausole ex art. 33, comma 2 non sembrano, infatti, sollevare particolari questioni sul tema del riparto dell’onere probatorio, in quanto, in questi casi, incombe pacificamente sul professionista, che intenda avvalersi della clausola, l’onere di superare la presunzione di vessatorietà, stabilita dal legislatore proprio in favore del consumatore. Tale prova rileva quale elemento logicamente antecedente alla dimostrazione della natura non vessatoria della clausola (Cass. 13 febbraio 2017, n. 3744, Cass. 10 luglio 2013, n. 17083).
La Suprema Corte accoglie, dunque, il primo motivo di ricorso, in quanto la Corte d’Appello non avrebbe valutato, al di là della qualità di professionista e consumatore delle parti, l’esistenza di una trattativa individuale, dedotta dalla società appellante, avente ad oggetto la clausola compromissoria.
Quanto al secondo motivo, la Corte afferma che, anche nel procedimento arbitrale, l’omessa osservanza del contraddittorio non è un vizio formale, ma di attività, sicché la nullità che ne scaturisce, ex art. 829, n. 9, c.p.c., implica una concreta compressione del diritto di difesa della parte processuale (Cass. 27 dicembre 2013, n. 28660). In particolare, nei casi in cui agli arbitri non sia attribuito il compito di applicare le norme del codice di rito, essi sono tenuti a realizzare il contraddittorio delle parti, «assicurando loro la possibilità di svolgere l’attività assertiva e deduttiva, in qualsiasi modo e tempo, in rapporto agli elementi utilizzati dagli arbitri per la pronuncia, ognuna dovendo avere la possibilità di far valere le sue posizioni e di contrastare le ragioni avversarie, affinché sia garantita la dialettica processuale».
Tuttavia, nel caso in esame, può dirsi che il principio del contraddittorio è stato osservato, avendo avuto le parti la possibilità di esporre i rispettivi assunti sulla questione della qualifica di professionista della società e di consumatore dei convenuti ed avendo ottenuto anche l’invito a precisare le conclusioni e a depositare memorie conclusionali e di replica.
La Suprema Corte rigetta il secondo motivo e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello.
QUESTIONI
Va anzitutto ricordato che, secondo quanto disposto dall’art. 3 D.Lgs. n. 206/2005 (c.d. Codice del consumo), la qualifica di “consumatore”, pur sottoposta a precisi limiti, è aperta ad un infinito numero di applicazioni e ricorre quando una persona fisica operi «per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta» (sul punto si segnalano Gabrielli, Sulla nozione di consumatore, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 114; Alpa, La legge sui diritti dei consumatori, in Corr. giur., 1998, 997).
Ed ancora, una clausola è vessatoria ogni qual volta annulli le possibilità di esprimere un effettivo consenso contrattuale del consumatore. Correlativamente, supera indenne il giudizio di vessatorietà quella pattuizione oggetto di una trattativa individuale che sia volta a raggiungere il consenso delle parti (Albanese, Il contenzioso bancario e finanziario: tra sistemi di risoluzione alternativa delle controversie e vessatorietà delle clausole compromissorie, in Resp. civ. prev., 2017, 1880).
Va aggiunto, però, che le norme che disciplinano le clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore non sono molto chiare. La formulazione dell’art. 33 cod. cons., infatti, è poco felice e ha alimentato un interessante dibattito in dottrina in merito alla sua corretta interpretazione, proprio in considerazione dell’evidente disallineamento rispetto alla disciplina di matrice comunitaria. La Direttiva 93/13/CE, infatti, espressamente si riferisce a procedure «non disciplinate da disposizioni giuridiche»; puntualizzazione che, invece, non si rinviene nell’imprecisa formulazione dell’art. 33 cod. cons.
Più, in particolare, le questioni si sono sempre incentrate sulla natura abusiva o vessatoria della clausola compromissoria (sul punto v. Gosi, La clausola compromissoria, in Cendon (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza, I contratti in generale, IV, Torino, 2011, 707). Spesso, infatti, accade che, nei contratti stipulati con i consumatori, siano presenti tali clausole, che, di fatto, sottraggono alla cognizione del «giudice naturale» le eventuali controversie che dovessero insorgere nel corso del rapporto, affidandone la risoluzione ad arbitri, ovvero deferendo ad un terzo la determinazione dell’oggetto del contratto oppure, ancora, rinviando ad una perizia contrattuale.
Stante il dettato dell’art 33 co 2,. lett. t), non si può mettere in discussione la presunzione di vessatorietà di una clausola che escluda la cognizione del «giudice naturale». Occorre, allora, chiedersi se la regola dettata da questa norma sia sempre applicabile in rapporto all’arbitrato o sia, invece, suscettibile di modulazione. Alquanto diversificate appaiono le opinioni manifestate sul punto.
Una prima teoria fa discendere dalla disciplina in esame la nullità di tutte le clausole compromissorie stipulate quando una parte è consumatore (De Nova, Le clausole vessatorie, Milano, 1996, 26; D’Alessandro, Clausola compromissoria per arbitrato irrituale e azione inibitoria nei contratti dei consumatori, in Giust. Civ., 1999, 1211).
Prima della riforma del 2006 che ha previsto l’introduzione dell’art. 808 ter nel nostro codice di rito, un secondo orientamento – non più attuale – considerava nulle le sole clausole che prevedessero il ricorso ad un arbitrato irrituale, in quanto non disciplinato dalla legge. (Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, Padova, 2000, 212; Gabrielli, Clausola compromissoria e contratti per adesione, in Riv. dir. civ., 1993, I, 555. In giurisprudenza, invece, si veda Trib. Torino, 27 novembre 2001, in Giur. merito, 2002, 112; Trib. Roma, 28 ottobre 2000, in Contratti, 2001, 441; nello stesso senso Trib. Roma, 8 maggio 1998, in Dir. econ. ass., 1998, 1024).
Una terza ritiene vessatorie esclusivamente le clausole che attribuiscono la decisione sulla controversia a procedure di arbitrato rituale (Consolo-De Cristofaro, Clausole abusive e processo, in Corr. giur., 1997, 468).
Infine, una quarta reputa essenziale una valutazione, caso per caso, circa la vessatorietà della condizione contrattuale, anche avendo riguardo alla specifica procedura arbitrale prevista e, dunque, alle garanzie dalla stessa assicurate (Benedettelli, Arbitrato, base-valori ed internazionalizzazione dei mercati finanziari, in Riv. soc., 1999, 1322 ss).
A fronte degli orientamenti dottrinali ai quali si è accennato, la giurisprudenza afferma l’abusività delle clausole compromissorie inserite nei contratti dei consumatori, siano esse riferite all’arbitrato rituale ovvero a quello irrituale (App. Genova, 30. gennaio 2008; Trib. Roma, 8 agosto 1998 e Trib. Roma, 18 agosto 2006)
A parere di chi scrive, l’abusività o meno della clausola compromissoria non necessita di essere valutata sulla base della procedura arbitrale prescelta per la sua definizione, ma avendo riguardo al fatto che, solo in presenza di una concorde volontà, si possa dare origine ad un procedimento arbitrale.
Sull’esistenza di una negoziazione individuale tra la parte professionale e il consumatore deve, allora, appuntarsi l’interesse dell’interprete, in quanto tale verifica — laddove conduca ad un esito positivo — è idonea ad escludere, ab origine, la vessatorietà della clausola esaminata.
L’art. 34, comma 4, dispone, infatti, che « non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale »
Dottrina e giurisprudenza concordemente ritengono che una clausola possa dirsi negoziata solo quando il consumatore ne abbia potuto determinare il contenuto; in altre parole, la clausola deve essere il frutto concreto della contrattazione delle parti (Scarano, Clausole vessatorie nei contratti del consumatore, a cura di Alpa e Patti, Milano, 2003, sub art. 1469-ter, 958).
Al riguardo, sono stati individuati alcuni « indici sintomatici », la cui presenza deve essere accertata in concreto, caso per caso. Il Giudice dovrà, infatti, verificare se la trattativa invocata dal professionista a scudo della sua clausola, abbia effettivamente avuto quei caratteri di “lealtà” e “serietà” sufficienti a garantire l’aderenza alla ratio della normativa consumeristica (Mancuso, La clausola compromissoria nei contratti dei consumatori tra vessatorietà e consenso, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 1213). Solo in presenza di questi requisiti si può affermare che il consumatore ha ponderato una scelta consapevole in merito al contenuto della clausola, sicché, tale circostanza, fa venire meno l’intento di protezione in favore del principio di autonomia privata e di autoresponsabilità.
Il sindacato del Giudice non potrà, invece, riguardare il contenuto della clausola compromissoria, al fine di verificare se la specifica procedura arbitrale in essa prevista è governata da disposizioni giuridiche pregiudizievoli per il consumatore.
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