28 Aprile 2020

Applicabilità del D. Lgs. 231/2001 nei confronti dell’ente straniero

di Virginie Lopes, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 7 aprile 2020, n. 11626

Parole chiave: Reato-presupposto – Giurisdizione nazionale – Nazionalità dell’ente o sede legale estera – Irrilevanza della nazionalità o di norme che disciplinano in modo analogo la stessa materia nello Stato di appartenenza

Massima: “In tema di responsabilità da reato degli enti, la persona giuridica è chiamata a rispondere dell’illecito amministrativo derivante da un reato-presupposto per il quale sussista la giurisdizione nazionale commesso dai propri legali rappresentanti o soggetti sottoposti all’altrui direzione o vigilanza, in quanto l’ente è soggetto all’obbligo di osservare la legge italiana e, in particolare, quella penale, a prescindere dalla sua nazionalità o dal luogo ove esso abbia la propria sede legale ed indipendentemente dall’esistenza o meno nel Paese di appartenenza di norme che disciplino in modo analogo la medesima materia anche con riguardo alla predisposizione e all’efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione atti ad impedire la commissione di reati fonte di responsabilità amministrativa dell’ente stesso”.

Disposizioni applicate: artt. 1, 8 e 25 del D. Lgs. 231/2001

A distanza di quasi un ventennio dall’entrata in vigore del D. Lgs. n. 231/2001, per la prima volta, la Corte di Cassazione – ovvero la sua sesta sezione penale – si è pronunciata sul tema dell’applicabilità della disciplina prevista dal D. Lgs. 231/2001 agli enti stranieri, già affrontato dalla giurisprudenza di merito (nel noto caso dell’incidente ferroviario di Viareggio, Trib. Lucca, sent. n. 222 del 31.07.2017 e CA Firenze, sez. III, sent. n. 3733 del 20.06.2019).

Nel caso di specie, una società di diritto straniero, insieme ad altre, si è vista contestare l’illecito amministrativo ex art. 25 del D. Lgs. n. 231/2001 in relazione a fatti corruttivi in atti giudiziari ascritti ai rispettivi legali rappresentanti.

Dopo essere stata condannata nei primi due gradi di giudizio di merito, la società di diritto straniero, che non aveva né sede legale, né sede operativa in Italia, ha proposto ricorso in cassazione, invocando la carenza della giurisdizione italiana, sebbene le condotte contestate fossero state commesse in Italia. La società straniera ha infatti sostenuto che un rimprovero derivante da una “colpa di organizzazione” poteva venire mosso nei confronti di una persona giuridica solo se i fatti contestati si siano svolti nel luogo ove essa abbia il suo centro decisionale, precisando che, nel proprio Stato di residenza non vigeva normativa analoga a quella prevista dal D. Lgs. n. 231/2001, con la conseguenza che la società non avrebbe potuto comunque adempiere alle procedure preventive atte ad impedire la commissione di reati fonte di una sua responsabilità amministrativa.

La Corte di Cassazione ha innanzitutto evidenziato come, nel definire l’ambito applicativo della norma, l’art. 1, co. 2 del D. Lgs n. 231/2001 non operi alcuna distinzione tra enti aventi sede in Italia e enti aventi sede all’estero, così che gli stessi sono tenuti ad adempiere alla legge italiana quando operano sul territorio nazionale, conformemente ai principi di obbligatorietà e territorialità della legge penale previsti dagli artt. 3 e 6 del codice penale, a norma dei quali la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio nazionale e che chiunque commette un reato nel territorio nazionale è punito secondo la legge italiana.

La Corte di legittimità ha poi rammentato come, pur essendo autonoma, a norma dell’art. 8 del D. Lgs n. 231/2001, la responsabilità amministrativa degli enti derivi comunque dal reato-presupposto, con la conseguenza che la giurisdizione va apprezzata rispetto al reato-presupposto, senza che rilevi che la colpa in organizzazione sia avvenuta all’estero.

Resta infatti inteso che, in caso contrario, ovvero seguendo la tesi della società straniera, verrebbe meno il principio di eguaglianza, configurandosi una ingiustificata disparità di trattamento tra la persona fisica straniera (assoggettabile alla giurisdizione italiana in caso di reato commesso sul territorio italiano) e quella giuridica straniera (in caso di reato-presupposto commesso sul territorio italiano).

Infine, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha peraltro ritenuto privo di fondamento il rilievo operato dalla società straniera secondo cui il riconoscimento di una responsabilità dell’ente straniero per l’omessa predisposizione di modelli organizzativi conformi a quelli imposti dal D. Lgs. n. 231/2001 determinerebbe un trattamento discriminatorio, obbligando gli enti stranieri ad organizzarsi in ottemperanza alla disciplina italiana anche qualora nel proprio ordinamento non sia prevista analoga disciplina. La Suprema Corte ha infatti ritenuto che la non applicabilità agli enti stranieri degli obblighi di cui al D. Lgs. n. 231/2001 (con conseguente esonero di responsabilità amministrativa) consentirebbe loro di operare sul territorio nazionale senza sobbarcarsi i costi necessari alla predisposizione di idonei modelli organizzativi, configurandosi in tal caso “un’indebita alterazione della libera concorrenza” a discapito degli enti nazionali.

In conclusione, la Corte di Cassazione, ispirandosi alla giurisprudenza di merito nella nota vicenda dell’incidente ferroviario di Viareggio, ribadisce l’applicabilità del D. Lgs. n. 231/2001 ad un ente straniero, anche se privo di sede legale o operativa in Italia, per l’illecito amministrativo derivante da un reato-presupposto per il quale sussiste la giurisdizione italiana, in quanto anche l’ente è soggetto all’obbligo di osservare la legge italiana a prescindere dalla sua nazionalità o dal luogo ove esso abbia la propria sede legale e senza che assuma alcun rilievo l’esistenza o meno di norme analoghe al D. Lgs. n. 231/2001 nel Paese di appartenenza.