Appello incidentale proposto dopo lo spirare del termine di decadenza e autosufficienza del ricorso per cassazione
di Lorenzo Di Giovanna Scarica in PDFCass. civ., sez. VI, ord. 6 febbraio 2017 n. 3081
Impugnazioni civili – Appello incidentale – Termine – Proposizione entro venti giorni dalla data dell’udienza – Necessità – Differimento della prima udienza ex art. 168 bis, co. 5, c.p.c. – Termine a ritroso computato dall’udienza differita (Cod. proc. civ., artt. 343, 166 e 168 bis, co. 5)
Impugnazioni civili – Ricorso per cassazione – Autosufficienza – Censura della tardività dell’appello incidentale per mancato rispetto degli artt. 343 e 166 c.p.c. – Indicazione della data effettiva della prima udienza di comparizione – Necessità – Indicazione delle ragioni del differimento – Necessità (Cod. proc. civ., artt. 166, 168 bis, co. 4 e 5, 343, 366, nn. 3 e 6)
Impugnazioni civili – Appello incidentale tardivo – Proposizione dopo la scadenza del termine lungo per impugnare – Ammissibilità (Cod. proc. civ., artt. 327 e 344)
[1] Ai sensi dell’art. 343, co. 1, c.p.c. l’appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, all’atto della costituzione in cancelleria ai sensi dell’art. 166 c.p.c.; tuttavia, ove il giudice si avvalga della facoltà di differimento, ex art. 168 bis, co. 5, c.p.c. il termine per la proposizione dell’appello incidentale va calcolato assumendo come riferimento la data dell’udienza differita, e non quella originariamente indicata nell’atto di citazione.
[2] In virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente, che denunci la tardività dell’appello incidentale perché proposto oltre il termine di venti giorni dall’udienza, deve indicare, a pena di inammissibilità, la data effettiva in cui si è tenuta la prima udienza dinanzi alla corte d’appello e, nel caso in cui questa non coincida con la data indicata nella citazione, deve specificare se il differimento dell’udienza sia stato disposto ai sensi del quarto o del quinto comma dell’art. 168 bis c.p.c.
[3] L’art. 334 c.p.c. consente alla parte contro la quale è proposta l’impugnazione di proporre l’impugnazione incidentale anche quando per essa è decorso il termine lungo per impugnare ai sensi dell’art. 327 c.p.c.
CASO
[1-2] Una società proponeva appello incidentale avverso la sentenza che la aveva vista soccombente relativamente ad una delle plurime domande proposte.
Vagliata l’ammissibilità e dell’appello principale e dell’appello incidentale, i giudici del gravame si pronunciavano per l’accoglimento nel merito di quest’ultimo.
Pertanto, l’appellante principale, si decideva a proporre ricorso per cassazione per motivi di diritto, deducendo la violazione degli artt. 343, 166 e 325 c.p.c.
In particolare, la ricorrente si doleva del fatto che l’appello incidentale era da considerarsi inammissibile.
Difatti, a suo dire, la costituzione in giudizio dell’appellato incidentale sarebbe avvenuta tardivamente rispetto al termine previsto dagli artt. 343 e 166 c.p.c. Inoltre, l’appello incidentale sarebbe risultato altresì tardivo e irricevibile in quanto proposto oltre l’anno dalla pubblicazione della sentenza di primo grado (art. 327 c.p.c.).
Il ricorrente, allo scopo di provare le proprie asserzioni, si limitava ad allegare unicamente il proprio atto di citazione in appello e ad indicare la data di costituzione in giudizio dell’appellante incidentale. Lo stesso mancava dunque di precisare e di dimostrare che l’udienza fissata nel proprio atto d’appello aveva avuto luogo regolarmente e che non vi era stato alcun differimento.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte premette che l’appello incidentale è da considerarsi inammissibile, per violazione dell’art. 343 c.p.c., allorché lo stesso sia stato presentato oltre il termine di venti giorni computato a ritroso dall’udienza fissata in citazione o differita ai sensi dell’art. 168 bis, co. 5, c.p.c. In caso di rinvio d’ufficio ai sensi del co. 4 dell’art. 168 bis c.p.c., invece, il termine di venti giorni va calcolato comunque dall’udienza fissata in citazione e non da quella di effettivo e differito svolgimento.
[2] La maturazione della decadenza deve essere dimostrata dal ricorrente.
Alla luce del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente è onerato ad indicare cumulativamente:
1) la data dell’udienza fissata in citazione;
2) la data effettiva in cui si è tenuta la prima udienza dinanzi alla corte di appello;
3) nel caso in cui non vi sia coincidenza tra la data dell’udienza fissata e quella dell’udienza effettiva, se vi sia stato rinvio d’ufficio ai sensi del co. 4 dell’art. 168 bis c.p.c. ovvero rinvio conseguente all’esercizio, da parte del giudice, della facoltà di differimento di cui al co. 5 dello stesso art. 168 bis c.p.c.
Nel caso di specie, dal momento che il ricorrente non aveva fornito tali indicazioni, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
[3] Inoltre, la Corte precisa che la proposizione dell’impugnazione incidentale oltre la scadenza del termine per impugnare non è di per sé causa di inammissibilità, dal momento che l’art. 334 c.p.c. consente espressamente l’impugnazione incidentale tardiva.
QUESTIONI
Con la pronuncia in epigrafe la Suprema Corte ha affermato la necessità da parte dell’appellante principale di rendere nota l’indicazione della data della prima udienza allo scopo di provare la tardività della costituzione in giudizio dell’appellante incidentale.
[1] È ben noto infatti che l’appello incidentale, a seguito della riforma del 1990, debba essere proposto perentoriamente con comparsa di risposta depositata in cancelleria almeno venti giorni prima dell’udienza indicata nell’atto di citazione.
La regola non subisce eccezioni per il caso in cui l’udienza prescritta non abbia avuto luogo, ma vi sia stato soltanto un rinvio d’ufficio della stessa.
In quest’ultima ipotesi, infatti, secondo giurisprudenza consolidata, non essendovi alcun richiamo del codice di rito – sub art. 166 c.p.c. – all’art. 168 bis, co. 4, c.p.c., non opera il differimento dei termini di decadenza per la proposizione dell’appello incidentale. Ed ancora, essendo lo slittamento in questione strumentale alle esigenze dell’ufficio, non vi è ragione (Cfr. Corte cost., 30 dicembre 1997, n. 461, in Giur. it., 1790 ss., con nota di A. Gili) di concedere più tempo alla parte per costituirsi. Pertanto, in tali casi, l’appello incidentale proposto oltre gli steccati codicistici è da considerarsi inammissibile.
Nell’ipotesi di differimento ad opera del giudice, invece, secondo questa giurisprudenza, è lo stesso legislatore – richiamando l’art. 168 bis, co. 5, nel testo dell’art. 166 c.p.c. – a prevedere un’ipotesi eccezionale di deroga al termine perentorio di cui all’art.166 c.p.c. (v., da ultimo, Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 2013, n. 28571).
Ed, infatti, in quest’ultimo caso il differimento si spiega anche considerando il diverso scopo della norma. Esso consiste nel garantire al giudice ed alla parte convenuta un margine di tempo ulteriore, più lungo, per l’analisi di fattispecie che ad una prima lettura si presentano come particolarmente complesse. Da qui il differimento anche del termine di costituzione in giudizio, a presidio del diritto di difesa della parte appellata/convenuta.
Poste tali premesse, giova rilevare che l’interpretazione giurisprudenziale riferita ha suscitato non poche perplessità in dottrina (si veda Guarnieri, Art. 168 bis c.p.c. e appello incidentale: la colta distinzione tra prima udienza “slittata” e prima udienza “differita” colpisce ancora”, in Riv. dir. proc, 2014, 777 ss.).
Si è obiettato infatti che la distinzione tra prima udienza “slittata”, per ragioni d’ufficio, e prima udienza differita, per volere del giudice, risulterebbe irragionevole.
Ed invero, ove si consideri che la ratio degli artt. 343 e 166 c.p.c. è volta a favorire il convenuto/appellato, ci si chiede perché non estendere tale trattamento di favore anche per le ipotesi di rinvio d’ufficio dell’udienza. Le mere esigenze procedurali infatti non eliderebbero in radice che, in questo modo, il giudice avrà più tempo per l’analisi del fascicolo, mentre la parte convenuta sarà costretta a depositare in anticipo le proprie controdeduzioni. Ciò soprattutto se l’udienza rinviata sia spostata a mesi ovvero ad anni di distanza da quella fissata in citazione.
Peraltro, dal momento che nella prassi non è sempre agevole per gli interessati intendere e, conseguentemente, provare il motivo del rinvio dell’udienza, potrebbero porsi seri dubbi di legittimità costituzionale (comunque non condivisi dalla Consulta: v. supra).
[2] Ciò posto, la sentenza in commento suscita interesse soprattutto nella parte in cui individua gli oneri che incombono in capo al ricorrente che decida di denunciare la tardività della proposizione dell’impugnazione incidentale.
E, difatti, alla luce del chiesto requisito dell’autosufficienza (per un quadro completo si veda Picozzi, Autosufficienza del ricorso per cassazione: rassegna giurisprudenziale 2016 gennaio-maggio), la Corte ritiene che il ricorrente non possa limitarsi ad allegare la data di fissazione dell’udienza per come emerge dal proprio atto di citazione.
Al contrario, soprattutto nei casi in cui la parte resistente (come nell’ipotesi in esame) eccepisca l’avvenuto differimento dell’udienza ai sensi del co. 5, il ricorso deve indicare chiaramente la data effettiva dell’udienza e il reale fondamento del rinvio (ossia che il rinvio è stato disposto ai sensi del co. 4 dell’art. 168 bis c.p.c.).
Pertanto, premesse le difficoltà emerse nella prassi per provare a distinguere i due tipi di slittamento dell’udienza, la posizione della parte resistente, in siffatti casi, potrebbe risultare favorita.