Apertura di credito: conseguenze del recesso illegittimo della banca
di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDFIl recesso arbitrario e illegittimo della banca dal rapporto di apertura di credito configura una violazione della regola della buona fede in executivis, da cui scaturiscono due conseguenze: il diritto di recesso e l’esercizio dello stesso ad opera della banca sono in sé idonei a porre fine al rapporto, mentre la violazione del fondamentale canone di buona fede comporta unicamente conseguenze di tipo risarcitorio a carico della banca (Cass. n. 10125/2021).
Secondo un orientamento giurisprudenziale, la privazione delle disponibilità creditizie su cui il cliente abbia fatto affidamento, pur attuata nell’esercizio del diritto previsto dall’art. 1845 c.c., deve avvenire con una tempistica idonea a consentire al cliente stesso il reperimento della provvista per coprire il saldo del conto e le ulteriori disponibilità creditizie necessarie per la sua attività, salvo che il recesso repentino ed immediato sia giustificato da circostanze oggettive. Il recesso della banca dall’apertura di credito a tempo indeterminato, qualora sia “abusivo”, deve ritenersi inefficace, quanto meno per il periodo di tempo ragionevolmente necessario per consentire al correntista di reperire la provvista necessaria, anche tramite il ricorso a crediti alternativi presso il ceto bancario. Sulla base di questi presupposti, è stato accolto il ricorso ex art. 700 c.p.c. e ordinato alla banca di eseguire tutte le obbligazioni derivanti dal contratto di apertura di credito per la durata di ulteriori 60 giorni, decorrenti dalla comunicazione dell’ordinanza cautelare (Trib. Verona 24.12.2012).
La Cassazione ha stabilito che è obbligata al risarcimento del danno la banca che con comportamento arbitrario ed imprevisto, contrario anche alle legittime aspettative del debitore, recede dal contratto di apertura di credito a tempo indeterminato e, in pendenza del termine di preavviso, fissato per la restituzione delle somme, “temerariamente”, ovvero senza la necessaria prudenza, propone ricorso per decreto ingiuntivo ed ottenutolo provvisoriamente, immediatamente iscrive ipoteca sui beni della società e dei fideiussori, i quali nelle more comunque adempiono (Cass. n. 15066/2000).
Ad integrazione dei rilievi che precedono, può essere utile ricordare che l’interruzione della erogazione del credito da parte della banca genera molteplici conseguenze dannose per il debitore, quali l’impossibilità di eseguire transazioni in conto corrente fino all’apertura di un nuovo rapporto presso un altro istituto bancario, la difficoltà di saldare i debiti esistenti con soggetti terzi, il blocco di alcuni servizi (spesso essenziali) prima concessi da parte della banca, quale il servizio Rid.
Dette conseguenze sulla capacità operativa del debitore, evidentemente quando il contratto di apertura di credito sia stato stipulato in funzione strumentale all’esercizio dell’attività di impresa, come usualmente accade per tale tipo di contratto, non possono che riverberarsi negativamente sulla medesima attività, ostacolandone il normale svolgimento. Senza considerare l’effetto domino sugli eventuali altri rapporti bancari ed in generale commerciali che il recesso anche solo di una impresa bancaria produce come conseguenza dello scambio di informazioni ormai rapidissimo (Fodra).
Secondo la Cassazione, per concludere, ai fini della dichiarazione di fallimento, lo stato di insolvenza deve essere valutato secondo dati oggettivi, prescindendo da qualsiasi indagine in ordine alle relative cause; pertanto, l’interruzione brutale del credito bancario, se anche può essere causa di risarcimento del danno ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, non consente, tuttavia, di ritenere insussistente lo stato di insolvenza se da tale condotta, ancorché illegittima, sia derivato uno stato di impotenza economica dell’imprenditore, mentre a diversa conclusione potrebbe giungersi soltanto nel caso in cui l’imprenditore fosse inadempiente esclusivamente nei confronti degli istituti che avessero illegittimamente esercitato il recesso dal rapporto di apertura di credito (Cass. n. 15769/2004).
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