Animali in condominio: in quanto diritto disponibile del singolo condomino, ogni decisione va assunta all’unanimità
di Ilaria Ottolina, Avvocato Scarica in PDFTribunale di Lecce, sentenza, 15 settembre 2022, n. 2549
Condominio – regolamento contrattuale e regolamento assembleare – differenza degli ambiti di applicazione e ricadute giuridiche – disposizioni che incidono sui diritti dei comproprietari contro potestà di gestione delle cose comuni – animali domestici – portata della riforma e limiti del regolamento assembleare – attribuzioni dell’assemblea – modifica del regolamento per le parti comuni con maggioranza dei comunisti – legittimità – non sussiste – mancanza di consenso (abdicativo) dell’interessato – consenso unanime dei condòmini – necessario.
Riferimenti normativi: art. 1137 c.c. – art. 1138 c.c. – art. 669-octies c.p.c.
“… In tema di condominio, il regolamento avente ad oggetto l’ordinaria amministrazione e il miglior godimento della cosa comune non ha natura contrattuale, costituendo espressione delle attribuzioni dell’assemblea e, come tale, seppure sia stato approvato con il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, può essere modificato dalla maggioranza dei comunisti; ha, invece, natura di contratto plurisoggettivo, che deve essere approvato e modificato con il consenso unanime dei comunisti, il regolamento che esorbiti dalla potestà di gestione delle cose comuni attribuita all’assemblea, contenendo disposizioni che incidano sui diritti del comproprietario ovvero stabiliscano obblighi o limitazioni a carico del medesimo o ancora determinino criteri di ripartizione delle spese relative alla manutenzione diversi da quelli legali…”
“… In tema di condominio negli edifici, la prescrizione di cui all’ultimo comma dell’art. 1138 cod. civ. -introdotto dalla novella n. 220/2012 – secondo la quale “…le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici…”, si riferisce al solo regolamento approvato dall’assemblea con la maggioranza prevista dall’art. 1136 cod. civ., quale disciplina d’uso delle cose comuni, come sembra suggerire la lettura sistematica della disposizione in esame, che risponde alla “ratio” di consentire all’assemblea di determinare, per l’appunto, l’utilizzazione dei beni comuni con snellezza, senza tuttavia permettere alla maggioranza di intaccare il diritto di proprietà esclusiva dei condomini in mancanza di consenso (abdicativo) dell’interessato…”
CASO
La sentenza in commento ha ad oggetto il caso di un condomino, evidentemente ostile agli amici a quattro zampe, che riesce (purtroppo) ad averla vinta sul condominio, intenzionato invece a favorire la presenza di animali domestici: si dà il caso, infatti, di una deliberazione assembleare che aveva individuato, a maggioranza, un’area del cortile condominiale da destinare allo stazionamento dei cani.
Il condomino impugnava la delibera – la quale eseguiva una delibera precedente già sospesa dal Tribunale –, sul presupposto della violazione di una disposizione del regolamento condominiale di natura contrattuale, contenente l’espresso divieto di tenere animali domestici.
Il condominio si costituiva in giudizio argomentando in ordine alla natura regolamentare e non contrattuale del regolamento in questione e ribadendo la nullità di ogni previsione regolamentare introduttiva del divieto di possedere o detenere animali domestici, in ragione dell’art. 1138 c.c.
SOLUZIONE
Il Giudice di primo grado accoglieva la domanda e, per l’effetto, dichiarava l’annullabilità della delibera assembleare.
QUESTIONI GIURIDICHE
La sentenza in commento evidenzia due questioni giuridiche: la prima, afferente i diversi ambiti di applicazione del regolamento condominiale contrattuale rispetto al regolamento condominiale assembleare; la seconda, relativa all’esegesi dell’art. 1138, ultimo comma, c.p.c., come modificato in occasione della riforma del condominio con legge n. 220/2012.
1) Ambiti di applicazione del regolamento condominiale assembleare e del regolamento condominiale contrattuale
A questo proposito, il Tribunale richiama certa giurisprudenza di legittimità che pone l’accento sul fatto che il regolamento condominiale assembleare ha ad oggetto il (più limitato) obiettivo di gestire l’ordinaria amministrazione e il miglior godimento della cosa comune, laddove il regolamento condominiale contrattuale può contenere disposizioni che incidono sui diritti dei comproprietari, che stabiliscono obblighi o limitazioni a carico dei medesimi o che determinano criteri di ripartizione delle spese relative alla manutenzione diversi da quelli legali[1].
La Corte di Cassazione ha affermato che la differenza (sostanziale) tra i due regolamenti determina altrettante differenze (sostanziali) sotto il profilo della modificabilità dei medesimi: invero, mentre il regolamento assembleare può essere modificato dalla maggioranza dei comunisti, il regolamento contrattuale richiede invece il consenso unanime dei medesimi (“… il regolamento avente ad oggetto l’ordinaria amministrazione e il miglior godimento della cosa comune non ha natura contrattuale, costituendo espressione delle attribuzioni dell’assemblea e, come tale, seppure sia stato approvato con il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, può essere modificato dalla maggioranza dei comunisti; ha, invece, natura di contratto plurisoggettivo, che deve essere approvato e modificato con il consenso unanime dei comunisti, il regolamento che esorbiti dalla potestà di gestione delle cose comuni attribuita all’assemblea, contenendo disposizioni che incidano sui diritti del comproprietario ovvero stabiliscano obblighi o limitazioni a carico del medesimo o ancora determinino criteri di ripartizione delle spese relative alla manutenzione diversi da quelli legali…”).
Anche il Tribunale in commento riprende la definizione, già contenuta nella citata sentenza della Cassazione, del regolamento condominiale contrattuale quale “contratto plurisoggettivo”, che in ragione della propria natura sinallagmatica garantisce una sostanziale immodificabilità del proprio contenuto, salvo decisioni di segno contrario supportate dal consenso unanime dei condòmini[2].
Si rammenta infatti che il regolamento condominiale contrattuale è un atto formulato dal costruttore iniziale e accettato formalmente da tutti i successivi aventi causa, purché vi sia prova che eventuali limitazioni a poteri e facoltà dei singoli condòmini sulle proprietà esclusive siano state enunciate in modo chiaro ed esplicito[3].
Invero, la natura contrattuale del regolamento che incide su diritti dei singoli o che impone obblighi o limitazione impone una tecnica formativa rigorosa e la prova dell’avvenuta conoscenza, da parte dell’interessato: “Le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino la facoltà dei proprietari delle unità singole di adibire il proprio immobile a determinate destinazioni, hanno natura contrattuale e, pertanto, ad esse, deve corrispondere una tecnica formativa di pari livello formale e sostanziale, che consiste in una “relatio perfecta” attuata mediante la riproduzione delle suddette clausole all’interno dell’atto di acquisto della proprietà individuale, non essendo sufficiente, per contro, il mero rinvio al regolamento stesso”[4].
2) Gli animali domestici in condominio dopo la legge n. 220/2012
Sulla scorta del chiarimento di cui al punto che precede, il Giudice di primo grado qualifica la natura giuridica di una norma che vieti di tenere animali domestici in condominio siccome norma incidente su diritti disponibili dei condòmini.
Pertanto, l’eventuale rinuncia a tenere animali nelle proprietà esclusive deve essere espressamente formulata e accettata al momento dell’acquisto della proprietà in condominio.
E nel caso di specie, poiché il Tribunale ha accertato che il divieto fosse contenuto proprio nel regolamento condominiale contrattuale, sussistendo quindi il consenso (abdicativo) dei singoli condòmini, è stato giocoforza concludere che il condominio non potesse adibire un’area cortiliva a luogo per lo stazionamento dei cani senza il consenso assunto all’unanimità.
La portata della riforma del condominio in merito all’introduzione del quinto comma dell’art. 1138 c.c. – a cui tenore “Le norme del regolamento [si intenda: assembleare] non possono vietare di possedere o detenere animali domestici” – è del resto coerente con la predetta linea interpretativa e, di fatto, ha recepito un orientamento giurisprudenziale che già prima del 2012 aveva ravvisato l’illegittimità del divieto di tenere animali domestici in condominio imposto mediante regolamento condominiale assembleare[5]: è infatti da escludere che una simile compressione dei diritti disponibili individuali possa essere imposta a colpi di mera maggioranza.
Per completezza espositiva, si evidenzia che la decisione in commento prospetta – sia pure incidentalmente – una questione di ordine squisitamente processuale, riguardante la sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari, ex art. 1137, comma 4, c.c. in correlazione con l’art. 669-octies c.p.c., su cui è intervenuta la riforma del processo civile (Legge Cartabia n. 150/2022)[6].
[1] Così Cass. civ., sez. II, sentenza, 04/06/2010, n. 13632.
[2] Si vedano sul punto anche Corte d’Appello Campobasso, 14/02/2014, n. 33; Cass. civ., sez. II, 28/08/1986, n. 5272.
[3] Cass. civ., sez. II, sentenza, 11/02/2022, n. 4529: “Le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale possono imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà, e, purché siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell’atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che – seppure non inserito materialmente – deve ritenersi conosciuto o accetto in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto”.
[4] Cass. civ., sez. II, sentenza, 09/08/2022, n. 24526.
[5] Cass. civ., sez. II, sentenza, 15/02/2011, n. 3705: “In tema di condominio negli edifici, il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva” (ciò non toglie, d’altra parte, che “E’ legittima la clausola del regolamento di condominio che impedisce ai condomini di utilizzare l’ascensore se accompagnati dai propri animali domestici. Ciò, in quanto l’art. 1138, comma 5, c.c., fissa soltanto un limite alla potestà regolamentare incidente sulla proprietà singola, senza recare alcuna disciplina sull’uso delle parti comuni, sicché tale disciplina ben può essere contenuta nel regolamento di condominio nel senso pure di escludere la facoltà di servirsi dell’ascensore trasportando con sé animali domestici”: Tribunale di Monza, sez. II, sentenza, 28/03/2017).
[6] Si veda sul punto SCARPA A., “Riforma civile: le modifiche al procedimento di sospensione delle deliberazioni condominiali”, in www.altalex.com.
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