12 Aprile 2023

Ancora sulla necessità delle certificazioni ipocatastali nei giudizi di divisione

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sez. 6, ordinanza n. 6228 del 02/03/2023

COMUNIONE DEI DIRITTI REALI – SCIOGLIMENTO – Divisione giudiziale – Produzione dei certificati relativi a iscrizioni e trascrizioni sull’immobile da dividere – Onere a pena di inammissibilità o improcedibilità della domanda – Esclusione 

* “Pur condividendo l’esigenza che, nel giudizio di divisione ereditaria, occorra offrire la dimostrazione dell’appartenenza dei beni al de cuius o più genericamente la prova della comproprietà, deve precisarsi come, pure in presenza di contestazioni dei coeredi, non grava a carico dell’attore l’onere di quella prova rigorosa richiesta nel caso di azione di rivendicazione o di quella di mero accertamento positivo della proprietà, poiché non si tratta di accertare positivamente la proprietà dell’attore negando quella dei convenuti, ma di fare accertare un diritto comune a tutte le parti in causa, quali coeredi.

Nemmeno può imporsi la produzione della documentazione richiesta dall’art. 567, comma 2, c.p.c., in ragione dell’esigenza del litisconsorzio imposto nei giudizi divisori dagli art. 784 e 1113 c.c.. Infatti, pur avendo diritto ad intervenire nella divisione, ai sensi dell’art. 1113, primo comma, c.c., creditori e aventi causa del compartecipe non sono parti in tale giudizio, al quale devono partecipare soltanto i titolari del rapporto di comunione”. 

* Massima non ufficiale

Disposizioni applicate

Articoli 713, 1113 e 2650 cod. civ.; 784, 786 e 788 cod. proc. civ.

[1] In giudizio di divisione ereditaria, i giudici di merito avevano rigettato la domanda non avendo l’attrice assolto all’onere di fornire idonea prova della comproprietà e non avendo curato, nei termini, la produzione della documentazione richiesta dall’art. 567, comma 2, c.c., assunta come necessaria per consentire al giudice sia la verifica della titolarità dei beni oggetto della domanda, sia la verifica dell’integrità del contraddittorio in rapporto all’eventuale esistenza di trascrizioni ed iscrizioni prese contro il de cuius e, dopo la morte lui, contro i successori.

In particolare, la Corte di Appello ha fondato la propria decisione sulle seguenti ragioni:

a) l’esistenza della qualità di erede o comunista è condizione indispensabile dell’azione, la cui ricorrenza deve essere verificata d’ufficio;

b) incombendo al giudice verificare d’ufficio, oltre tale qualità, anche l’integrità del contraddittorio, è necessario che parte attrice depositi la documentazione a tal fine necessaria, che è la stessa che occorre al creditore procedente (oltre al titolo esecutivo) per sottoporre ad esecuzione forzata immobiliare i beni del debitore, alla stregua di quanto previsto dall’art. 567, comma 2, c.p.c.;

c) in assenza di tale documentazione la domanda di divisione va dichiarata inammissibile e/o infondata, senza che a tale mancanza si possa porre riparo con un ordine del giudice alla parte ovvero mediante una consulenza tecnica e neppure con il deposito della relazione notarile sostitutiva, se in violazione delle preclusioni già maturate;

d) non servirebbe ai condividenti, per sottrarsi alle conseguenze della omessa produzione, invocare il principio di non contestazione o la prova per presunzioni, non essendo l’una e l’altra ammissibili in materia di proprietà immobiliare.

[2] Adita per la cassazione della sentenza di secondo grado, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato.

Gli Ermellini ricordano come la questione sia stata più volte analizzata dalla giurisprudenza di legittimità e ripercorrono i precedenti che hanno portato ad un orientamento che può dirsi costante.

Pur condividendo l’esigenza che occorra, nei giudizi di divisione, fornire la prova dell’appartenenza dei beni al de cuius o più genericamente la prova della comproprietà, la Cassazione ha avuto modo di precisare come non gravi sull’attore, neanche in caso di contestazioni, quella prova rigorosa richiesta nel caso di azione di rivendicazione o di quella di mero accertamento della proprietà, poiché non si tratta di accertare positivamente la proprietà dell’attore negando quella dei convenuti, ma di fare accertare un diritto comune a tutte le parti in causa.[1]

Viene, poi, precisato che assume rilievo anche il principio di non contestazione, nel senso che “non si potrebbe disconoscere la possibilità della prova indiziaria, né la rilevanza delle verifiche compiute dal consulente tecnico, tenuto conto, appunto, che non si fornisce la prova di un fatto costitutivo di una domanda che vede le parti in contrapposizione fra loro”.[2]

[3] La Suprema Corte non ritiene potersi rinvenire giustificazione alla necessità di allegazione della documentazione ipocatastale nemmeno nell’ esigenza del litisconsorzio imposto nei giudizi divisori dagli art. 784 e 1113 c.c..[3] Se è vero che il giudice, in presenza di trascrizioni o iscrizioni pregiudizievoli, è tenuto ad ordinare alla chiamata in giudizio dei creditori e degli aventi causa, non può da ciò solo farsi discendere l’imposizione, “a carico dei compartecipi, di un onere di documentare, sotto pena di inammissibilità della domanda di divisione giudiziale, la presenza o l’assenza di trascrizioni e iscrizioni sulla quota indivisa dei singoli. (…); infatti, pur avendo diritto ad intervenire nella divisione, ai sensi dell’art. 1113, primo comma, c.c., creditori e aventi causa del compartecipe non sono parti in tale giudizio, al quale devono partecipare soltanto i titolari del rapporto di comunione”;[4] con la conseguenza che la loro chiamata in causa non è condizione di validità della divisione, ma “configura un onere che i compartecipi debbono assolvere se ed in quanto si voglia che la relativa decisione faccia stato nei lori confronti”.[5]

[4] La sentenza in commento si sofferma, poi, sull’ipotesi in cui la divisione debba avvenire mediante vendita ai sensi dell’art. 720 c.c., riconoscendo che in tal caso si dovranno acquisire anche nella divisione giudiziale le informazioni richieste dall’art. 567 c.p.c. per la espropriazione. A tale esigenza, tuttavia, può sovraintendere d’ufficio il giudice della divisione, nel suo potere di direzione delle operazioni divisionali, ordinando alle parti la produzione della documentazione occorrente o tramite il notaio delegato al compimento della vendita.[6]

[5] Viene poi analizzato il rapporto fra l’art. 1113 e l’art. l’art. 2646 c.c., che prevede la trascrizione della divisione che ha per oggetto beni immobili, precisando che, non essendo applicabile alla divisione il principio prior in tempore, tale trascrizione “va curata non per gli effetti previsti dagli artt. 2652 e 2653 c.c., ma per gli effetti enunciati nell’art. 1113 c.c.. (…) Pertanto, colui che trascrive o iscrive contro uno dei comproprietari, prima della trascrizione della divisione (o della domanda di divisione giudiziale), non rafforza definitivamente il proprio acquisto secondo lo schema dell’art. 2644 c.c., ma, nel concorso delle condizioni previste dall’art. 1113 c.c., acquisisce il diritto di impugnare la divisione già eseguita alla quale non sia stato chiamato a partecipare, o di disconoscerne immediatamente l’efficacia, se l’omissione è incorsa in danno dei soggetti indicati nel terzo comma della norma”.[7]

Sempre in ordine alla trascrizione, gli Ermellini ricordano, infine, come valga “anche nella divisione giudiziale la regola generale che l’obbligo della trascrizione di determinate domande giudiziali è posto a salvaguardia degli eventuali diritti dei terzi ed il suo mancato adempimento non è di ostacolo alla procedibilità delle relative azioni né alla decisione delle domande stesse, potendo soltanto dar luogo a sanzioni di carattere fiscale se ed in quanto applicabili”.[8]

[6] Tutte le considerazioni svolte dalla Cassazione nel corso degli anni ed oggi riassunte e richiamate nella sentenza in commento sono condivise da larga parte della dottrina.

Non può, tuttavia, sottacersi che le Corti di merito persistono nel tenere un’impostazione diametralmente opposta, ritenendo necessaria la produzione delle certificazioni ipocatastali al fine, da un lato, di consentire al giudice di accertare la sussistenza del diritto di proprietà in capo ai comunisti, dall’altro di individuare l’eventuale presenza di alcuno dei soggetti considerati da tale giurisprudenza quali litisconsorti necessari.[9]

Come già espresso in altra occasione, proprio la sussistenza di un così radicato orientamento dei giudici di primo e secondo grado deve spingere il professionista che assista un cliente in un giudizio di divisione, ad assumere un atteggiamento estremamente attento, rimarcando al proprio cliente se non la necessità giuridica, quantomeno la viva opportunità di produrre in giudizio una certificazione dalla cui mancanza potrebbe dipendere la sorte del giudizio stesso.[10]

[1] In tal senso: Cass. Civ., Sez. 2, Ordinanza n. 1065 del 14/01/2022; Cass. Civ., Sez. 6, ordinanza n. 10067 del 28/05/2020; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 17061 del 05/08/2011; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 20645 del 25/10/2005.

[2] Si vedano: Cass. Civ. n. 1065/2022 cit.; Cass., Civ., Sez. 6, ordinanza n. 40041 del 14/12/2021).

La pronuncia in commento sottolinea che “La domanda di divisione, infatti, anche quando sia proposta da uno solo, è sempre comune a tutti i condividenti, i quali sono tutti sul medesimo piano ed hanno tutti eguale diritto alla divisione. Pertanto, le verifiche condotte dall’ausiliario d’ufficio ridondano a vantaggio della collettività dei condividenti, così come andrebbe a svantaggio di tutti una acquisizione postuma, anche se operata d’ufficio dal consulente, dal quale emergesse che la proprietà comune, non contestata o desunta a livello indiziario, non trova conferma sul piano documentale”.

[3] Così Cass. Civ. n. 10067/2020, cit.

[4] Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 19529 del 09/11/2012; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 7485 del 06/07/1991

[5] Nello stesso senso, si vedano Cass.Civ., Sez. 1, Sentenza n. 4330 del 28/06/1986; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 4703 del 21/07/1981

[6] Sul punto si veda Cass. Civ. n. 10067/2020 cit.

[7] Si veda Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 26692 del 24/11/2020

[8] Viene richiamata Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 1787 del 19/05/1976

[9] Tra le molte pronunce, oltre a Corte di Appello di Salerno n. 1201 depositata il 26/08/2021, cui è seguita l’ordinanza in commento, si vedano: Corte di Appello di Roma n. 2480 del 01/06/2011, nonchè Trib. di Torre Annunziata del 28/09/2015: “sarebbe (…) stato necessario produrre, ai fini della prova della proprietà del diritto, oltre al titolo di provenienza in favore del sig. Tizio, dell’immobile indicato in citazione, altresì regolare certificazione notarile (…), poiché, solamente attraverso tale documentazione, è possibile verificare se un determinato bene sia ancora di proprietà del de cuius e, dunque, delle parti al momento dell’instaurazione del giudizio di scioglimento di comunione ereditaria.

(…) in mancanza della documentazione sopra indicata, nessuna divisione può essere disposta, non avendo questo giudice alcuna contezza della sorte giuridica dei beni indicati non avendo né gli attori, né i convenuti prodotto i titoli di provenienza del bene in favore del de cuius. Ora, poiché la titolarità del bene si pone non già come requisito di legittimazione attiva, ma piuttosto come oggetto della controversia, le parti hanno l’onere di fornire una prova rigorosa della proprietà, non potendo tale ineludibile circostanza neppure essere surrogata dalla dimostrazione del titolo in via meramente presuntiva; e quanto detto preclude altresì al giudice di desumere l’esistenza della proprietà in capo ai condividenti dalla mancata contestazione delle parti sul punto.

[10] RAMPONI, Giudizio di divisione e certificazione ipocatastale. Necessità od opportunità?, in EC Legal del 20/10/2020

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