Anche nel giudizio di divisione gli atti del professionista delegato vanno impugnati con il reclamo ex art. 591-ter c.p.c.
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. II, 23 gennaio 2025, n. 1628 – Pres. Manna – Rel. Fortunato
Divisione – Delega delle operazioni di vendita a un professionista – Vizi degli atti – Impugnazione – Reclamo ex art. 591-ter c.p.c. – Opposizione agli atti esecutivi – Atti del giudice – Ammissibilità
Massima: “Le contestazioni relative alle difficoltà pratiche incontrate dal professionista delegato alle operazioni di vendita nell’ambito del giudizio divisionale o i vizi degli atti dallo stesso compiuti debbono essere sottoposti al giudice ai sensi dell’art. 591-ter c.p.c., fatta salva l’opposizione ex art. 617 c.p.c., in via derivata o in via diretta, contro il primo atto successivo del giudice, quando si tratti di risolvere, con efficacia di giudicato, le controversie insorte tra le parti del procedimento o tra gli offerenti, o nel caso in cui si contesti la validità del decreto di trasferimento per vizi propri.”
CASO
Nell’ambito di un giudizio di divisione radicato innanzi al Tribunale di Macerata, il giudice, ravvisata la non comoda divisibilità dell’immobile, ne disponeva la vendita, affidando lo svolgimento delle operazioni a un professionista delegato e ordinando che nell’avviso di vendita fossero evidenziate le formalità pregiudizievoli che non sarebbero state cancellate con il decreto di trasferimento.
Aggiudicato l’immobile, uno dei comproprietari proponeva opposizione agli atti esecutivi, lamentando, da un lato, che negli avvisi di vendita non era stata fatta menzione delle trascrizioni gravanti sull’immobile e, dall’altro lato, che il decreto di trasferimento non conteneva le indicazioni prescritte dall’art. 29, comma 1-bis, l. 27 febbraio 1985, n. 52, sulla conformità delle planimetrie catastali allo stato dell’immobile.
L’opposizione veniva respinta, poiché, secondo il Tribunale di Macerata, le doglianze andavano sottoposte al professionista delegato alle operazioni di vendita, che avrebbe dovuto trasmettere gli atti al giudice affinché si pronunciasse con ordinanza.
La sentenza così emessa veniva impugnata con ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che alla vendita disposta nel giudizio di divisione si applicano le regole dettate per le vendite esecutive, anche per quanto concerne i rimedi esperibili, sicché avverso gli atti del professionista delegato va proposto il reclamo previsto dall’art. 591-ter c.p.c., mentre gli atti del giudice dell’esecuzione – e, in particolare, il decreto di trasferimento – restano impugnabili con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.
QUESTIONI
[1] Il giudizio di divisione trova la propria disciplina processuale negli artt. 784 e seguenti c.p.c. e si articola in due momenti fondamentali:
- il primo, attinente alla verifica della sussistenza dei presupposti per procedersi allo scioglimento della comunione e destinato a concludersi con ordinanza o con sentenza non definitiva (a seconda che vengano sollevate o meno contestazioni sul diritto alla divisione), come previsto dall’art. 785 c.p.c.;
- il secondo, diretto alla vendita dei beni oggetto di contitolarità, in quanto ne sia ravvisata la non comoda divisibilità, onde addivenire alla loro liquidazione e trasformazione in denaro da attribuire ai singoli comproprietari, in ragione delle quote di rispettiva spettanza.
Con riferimento a questa seconda fase, indipendentemente dal fatto che la comunione riguardi beni mobili o immobili, viene fatto rinvio alle norme che disciplinano la vendita nell’espropriazione forzata (come stabilito, rispettivamente, dagli artt. 787 e 788 c.p.c.).
L’art. 788 c.p.c., in particolare, dispone che, al fine di procedere alla vendita degli immobili, il giudice pronuncia ordinanza ai sensi dell’art. 569 c.p.c. (salvo che sorga controversia, nel quale caso la vendita va disposta con sentenza), dovendosi osservare le regole dettate dagli artt. 570 e seguenti c.p.c.
È evidente, dunque, che il modulo prescritto dal legislatore ricalca, a tutti gli effetti, quello del processo di espropriazione forzata, le cui norme vengono espressamente dichiarate applicabili; tra queste, pertanto, vi è pure quella contenuta nell’art. 591-bis c.p.c., che consente al giudice di delegare le operazioni di vendita a un professionista (notaio, avvocato o commercialista) iscritto nell’elenco istituito ai sensi dell’art. 179-ter disp. att. c.p.c. presso ogni tribulale (mentre la previsione del comma 3 dell’art. 588 c.p.c., secondo cui, quando le operazioni sono affidate a un professionista, è quest’ultimo a dovere provvedere direttamente alla vendita, riguarda più propriamente il caso in cui la delega investa la direzione delle intere operazioni divisionali, ai sensi dell’art. 786 c.p.c.).
L’opzione prescelta dal legislatore è chiara: la vendita in sede divisionale va plasmata sulla falsariga di quanto avviene in ambito esecutivo.
Come osservato nella sentenza che si annota, l’omologazione – attraverso il rinvio sistematico – delle modalità con le quali deve darsi corso alla vendita nel giudizio di divisione a quelle impiegate nell’espropriazione forzata comporta la necessità di rendere omogenei anche gli apparati rimediali, giacché non vi è motivo di scandire in modo uniforme il procedimento di vendita e differenziare gli strumenti con i quali censurare o impugnare i relativi atti.
Vengono, così, in rilievo, da un lato, l’art. 591-ter c.p.c. e, dall’altro lato, gli artt. 615 e 617 c.p.c.
Con particolare riguardo alle disposizioni dettate dall’art. 591-ter c.p.c., la norma, prima della riforma di cui al d.lgs. 149/2022, stabiliva che:
- i provvedimenti adottati dal professionista delegato potevano essere impugnati con reclamo da proporsi al giudice dell’esecuzione;
- i decreti emessi dal giudice dell’esecuzione su istanza del professionista delegato in caso di difficoltà incontrate nello svolgimento delle operazioni delegate potevano essere reclamati con ricorso al giudice dell’esecuzione;
- le ordinanze emesse dal giudice dell’esecuzione all’esito dei suddetti reclami erano, a loro volta, reclamabili ai sensi dell’art. 669-terdeciesp.c.
Nella sua versione attuale, l’art. 591-ter c.p.c. contiene due disposizioni:
- la prima fa sempre riferimento al caso in cui, nel corso delle operazioni delegate, insorgano difficoltà che richiedano l’intervento del giudice dell’esecuzione, chiamato ad assumere con decreto i provvedimenti necessari per superarle e consentire la prosecuzione delle attività di liquidazione del bene;
- la seconda, invece, conferma che lo strumento di impugnazione degli atti compiuti dal professionista delegato è pur sempre il reclamo, che, tuttavia, deve ora essere proposto a pena di decadenza nel termine di venti giorni dal compimento dell’atto o dalla sua conoscenza legale, posto che, in caso contrario, si determina una vera e propria sanatoria del vizio, che non potrà più essere dedotto con l’opposizione agli atti esecutivi proposta contro il provvedimento successivo del giudice dell’esecuzione (che normalmente si identifica con il decreto di trasferimento), come accadeva, invece, nel regime antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 149/2022.
Da ciò emerge che l’opposizione agli atti esecutivi è e resta il mezzo di impugnazione esperibile – solo ed esclusivamente – contro i provvedimenti del giudice dell’esecuzione, mentre rimane esclusa la possibilità di impugnare con uno strumento diverso dal reclamo – e, in particolare, con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. – gli atti del professionista delegato.
Con la precisazione che, come già evidenziato, attraverso l’opposizione agli atti esecutivi proposta avverso il decreto di trasferimento (quale atto conclusivo del subprocedimento di liquidazione del bene) non potranno più essere veicolate censure dirette a fare valere vizi riconducibili alle attività poste in essere dal professionista delegato che non siano stati tempestivamente denunciati con il reclamo ex art. 591-ter c.p.c.: in altre parole, il decreto di trasferimento, quale atto del giudice dell’esecuzione, può senz’altro essere impugnato ai sensi dell’art. 617 c.p.c., ma solo ed esclusivamente per vizi suoi propri.
Così, la distinzione e la non sovrapponibilità degli atti ascrivibili, rispettivamente, al professionista delegato e al giudice dell’esecuzione comporta che il rimedio attivabile dall’interessato va individuato in base alla censura o alla doglianza sollevata, sia che si tratti del processo di espropriazione forzata, sia che si versi nell’ambito di un giudizio divisionale e si abbia riguardo alla fase della vendita.
È proprio facendo applicazione di tali principi che i giudici di legittimità, con la sentenza annotata, hanno rilevato l’erroneità della decisione assunta dal Tribunale di Macerata, che aveva dichiarato inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta da uno dei comproprietari per contestare la regolarità delle operazioni che avevano condotto alla vendita dell’immobile oggetto di comunione.
La sentenza impugnata, infatti, aveva escluso in radice l’ammissibilità dell’opposizione ex art. 617 c.p.c., senza operare alcuna distinzione tra le diverse ragioni di contestazione sollevate dall’opponente.
Questi, infatti, aveva denunciato non solo la mancata segnalazione, nell’avviso di vendita, delle formalità pregiudizievoli che non sarebbero state cancellate a seguito dell’aggiudicazione e dell’emissione del decreto di trasferimento, in violazione di quanto prescritto dal giudice con l’ordinanza che aveva disposto la vendita del bene in comproprietà: questione che, in effetti, andava sollevata avvalendosi del rimedio approntato dall’art. 591-ter c.p.c., perché attinente all’attività del professionista delegato.
Oltre a ciò, tuttavia, era stata contestata pure la validità del decreto di trasferimento, perché mancante delle indicazioni circa la conformità dello stato dell’immobile alle planimetrie catastali, in violazione di quanto prescritto dall’art. 29, comma 1-bis, l. 27 febbraio 1985, n. 52: trattandosi di atto del giudice dell’esecuzione, il decreto di trasferimento poteva senz’altro essere impugnato con l’opposizione agli atti esecutivi, a maggior ragione in quanto affetto da un vizio suo proprio e non ridondante da un’attività riconducibile al professionista delegato (sicché la conclusione non sarebbe mutata quand’anche alla fattispecie decisa dai giudici di legittimità fosse risultato applicabile l’art. 591-ter c.p.c. nella formulazione attualmente vigente, successiva alle modifiche apportate dal d.lgs. 149/2022).
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia