Anche per la carica dirigenziale occorre l’eterodirezione
di Evangelista Basile Scarica in PDFCassazione Civile, Sezione Lavoro, 19 novembre 2018, n. 29761
Professionista – Supervisione e perfezionamento dei contratti aziendali – Controllo successivo del datore – Insussistenza – Esercizio del potere di eterodirezione – Subordinazione – Non sussiste
MASSIMA
Si esclude la natura subordinata del rapporto di lavoro per il professionista che si occupa della supervisione e della stipula dei contratti aziendali, laddove non sia assoggettato, neanche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini e ai controlli del datore di lavoro, nonché al coordinamento dell’attività lavorativa in funzione dell’assetto organizzativo aziendale, come invece avviene per il dirigente.
COMMENTO
Bocciato in tutti i gradi del giudizio il ricorso del lavoratore che rivendicava l’inquadramento dirigenziale sulla base del CCNL terziario. Il ricorrente ricopriva varie cariche sociali, autonomamente remunerate, presso le società partecipate della S.p.A.. Inoltre, supervisionava e perfezionava i contratti preliminari tra amministratore e acquirente-cliente ed eseguiva la stipula dei rogiti notarili. La Corte di Appello di Roma rigettava il gravame, condividendo le argomentazioni svolte dal giudice di primo grado in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie circa la insussistenza degli elementi caratterizzanti la subordinazione. Infatti dall’escussione dei testimoni non risultava che fossero stati imposti rapporti di gerarchia, orari di lavoro, modalità operative né tanto meno la predeterminazione di una retribuzione. La presenza assidua del ricorrente si giustificava con l’alto livello professionale delle prestazioni rese, mentre la disponibilità dell’ufficio si spiegava perché la sede della capogruppo era il punto di riferimento logistico per le partecipate. Di qui il ricorso per Cassazione. Anche i Giudici di legittimità affermano che, nel caso di specie, non sussistono gli estremi della subordinazione ex art. 2094 c.c.. Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non è agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari, come ad esempio la collaborazione, la continuità delle prestazioni, l’osservanza di un orario determinato, il versamento a cadenze fisse di un retribuzione, tutti elementi che sono valutabili globalmente come indizi probatori della subordinazione. Tanto che, anche per il dirigente il rapporto deve ritenersi subordinato quando il lavoro viene svolto sotto le indicazioni generali di carattere programmatico dell’imprenditore. Nel caso di specie, al contrario, sussistono soltanto generiche indicazioni di impostazione, compatibili con il necessario riferimento all’attività aziendale; per di più, sarebbe inverosimile un rapporto durato ventiquattro anni senza remunerazione. Di qui, il rigetto del ricorso con la conseguente condanna del soccombente al rimborso delle relative spese.