Anche il credito derivante da un contratto preliminare è pignorabile
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 27 ottobre 2022, n. 31844 – Pres. De Stefano – Rel. Saija
Espropriazione mobiliare presso terzi – Oggetto – Crediti futuri, non esigibili, condizionati ed eventuali – Limiti – Pignorabilità del credito del promittente venditore – Ammissibilità
[1] L’esecuzione mediante espropriazione presso terzi può riguardare anche crediti futuri, non esigibili, condizionati e finanche eventuali, con il solo limite della loro riconducibilità a un rapporto giuridico identificato e già esistente; pertanto, anche il credito al pagamento del prezzo del promittente venditore, riveniente da un contratto preliminare, è suscettibile di pignoramento ex art. 543 c.p.c., giacché – per quanto eventuale, dipendendo la sua effettiva maturazione dalla realizzazione del programma negoziale, sia essa spontanea o coattiva, ex art. 2932 c.c. – è specificamente collegato a un rapporto esistente e possiede, quindi, capacità satisfattiva futura, concretamente prospettabile nel momento dell’assegnazione.
CASO
Il creditore di un’ingente somma di denaro sottoponeva a pignoramento il credito vantato dal proprio debitore nei confronti di due società in forza di una sentenza con la quale, ai sensi dell’art. 2932 c.c., era stata trasferita coattivamente alle seconde la quota di partecipazione detenuta dal primo in una società a responsabilità limitata, con conseguente condanna al pagamento in suo favore del corrispettivo.
Poiché le società terze pignorate avevano reso dichiarazioni sostanzialmente negative, il creditore procedente introduceva il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, all’esito del quale il Tribunale di Napoli dichiarava impignorabile il credito in questione, in quanto derivante da sentenza costitutiva non ancora passata in giudicato, con statuizione confermata all’esito del giudizio di appello, sebbene, nel corso dello stesso, la pronuncia resa ai sensi dell’art. 2932 c.c. fosse divenuta definitiva.
Il creditore procedente, dunque, proponeva ricorso per cassazione, contestando l’assunto in base al quale non poteva formare oggetto di pignoramento la posizione creditoria del proprio debitore scaturente dal contratto preliminare di vendita rimasto inadempiuto.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, affermando che oggetto di espropriazione presso terzi possono essere anche crediti non esigibili, condizionati o anche solo eventuali, purché suscettibili di una futura capacità satisfattiva, concretamente prospettabile al momento dell’assegnazione, in virtù della loro riconducibilità a un rapporto giuridico identificato e già esistente al momento del pignoramento, ivi compreso quello che ha titolo in un contratto preliminare rimasto inadempiuto.
QUESTIONI
[1] La Corte di Cassazione torna a indagare il perimetro dell’espropriazione mobiliare presso terzi, confermando il principio in base al quale oggetto di pignoramento possono essere non solo i crediti muniti delle caratteristiche (certezza, liquidità ed esigibilità) richieste per l’avvio dell’esecuzione forzata, ma anche quelli che, pur essendone sprovvisti al momento della notifica dell’atto di pignoramento, scaturiscono da un rapporto giuridico ben identificato e che – in quanto tale – consente di riconnettervi un’idonea capacità satisfattiva, allorquando si dovrà addivenire alla loro assegnazione.
Nel caso di specie, i giudici di merito avevano respinto la domanda che il creditore procedente, stante il tenore sostanzialmente negativo delle dichiarazioni rese ai sensi dell’art. 547 c.p.c., aveva proposto nell’ambito del giudizio di accertamento promosso ai sensi degli artt. 548 e 549 c.p.c. (nella versione precedente alle modifiche introdotte nel 2012, che lo hanno trasformato in una parentesi di cognizione svolgentesi nell’ambito del medesimo processo di espropriazione forzata, sotto la direzione del giudice dell’esecuzione), dopo avere pignorato il credito vantato dal proprio debitore, in qualità di promittente venditore, nei confronti di due società obbligatesi ad acquistare una quota di partecipazione societaria, con contratto preliminare rimasto inadempiuto.
Il rigetto era stato motivato sul presupposto che il credito pignorato avesse titolo nella sentenza resa in accoglimento della domanda proposta dall’esecutato ai sensi dell’art. 2932 c.c., che, per giurisprudenza consolidata, produce effetti solo a seguito del suo passaggio in giudicato (evento non ancora verificatosi né alla data del pignoramento, né a quella di introduzione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, né a quella in cui era stata pronunciata la relativa sentenza di primo grado, né a quella in cui era stato proposto appello avverso di essa).
Secondo i giudici di legittimità, tuttavia, non era, di per sé, decisivo stabilire se il credito assoggettato a espropriazione forzata avesse titolo nel contratto preliminare rimasto inadempiuto, ovvero nella sentenza pronunciata in luogo del contratto definitivo non concluso: era indubbio, infatti, che a essere pignorate fossero state le ragioni creditorie discendenti dalla sentenza, ma in quanto correlate all’obbligo contrattuale derivante dal preliminare.
Da questo punto di vista, ciò che rilevava era la circostanza per cui il preliminare era fonte di una potenziale ragione di credito per il promittente venditore (debitore esecutato nell’espropriazione presso terzi), ossia di una situazione giuridica attiva destinata a consolidarsi con la realizzazione – spontanea o coattiva – del programma negoziale: il diritto di conseguire il pagamento del corrispettivo della compravendita.
Di qui, l’erroneità dell’affermazione per cui, prima del passaggio in giudicato della sentenza ex art. 2932 c.c., non esisteva un credito del promittente venditore pignorabile, ovvero accertabile nell’ambito del giudizio promosso ai sensi dell’art. 549 c.p.c.
La giurisprudenza si è consolidata nel senso che oggetto dell’espropriazione forzata presso terzi non dev’essere necessariamente un bene suscettibile di esecuzione immediata, sicché anche una posizione giuridica attiva dell’esecutato dotata di futura capacità satisfattiva, concretamente prospettabile al momento dell’assegnazione, può essere validamente e utilmente assoggettata a pignoramento; ciò vale, in particolare, per i crediti che, sebbene futuri e condizionati, ovvero incerti ed eventuali, ivi compresi quelli litigiosi (vale a dire oggetto di un contenzioso giudiziale pendente), sono pur sempre destinati a maturare nell’ambito di un rapporto identificato e già esistente, fermo restando che il creditore procedente, una volta pronunciata in suo favore l’ordinanza di cui all’art. 553 c.p.c. e ai fini della sua eventuale messa in esecuzione, subentrerà nella medesima posizione dell’esecutato, scontando, dunque, gli stessi limiti ai quali lo stesso sarebbe stato assoggettato nei confronti del debitor debitoris, soprattutto per quanto riguarda l’esigibilità del credito.
In quest’ottica, a non poter essere pignorate sono solo le ragioni di credito del tutto ipotetiche o comunque slegate da concrete vicende negoziali o fattuali.
Sempre in tema di crediti futuri ed eventuali, la recente sentenza di Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2023, n. 12216, ha affermato che il credito del titolare del diritto alla corresponsione di un assegno mensile di mantenimento riconosciuto con provvedimento giudiziale emesso nell’ambito di un giudizio di separazione coniugale o di scioglimento del matrimonio matura periodicamente (di regola, di mese in mese): i ratei non ancora maturati, pertanto, non costituiscono crediti attualmente esistenti e semplicemente inesigibili in quanto sottoposti a termine di scadenza, bensì crediti futuri ed eventuali, non ancora venuti a esistenza, sicché non può esserne preteso direttamente in sede esecutiva il pagamento in un’unica soluzione, sotto forma di capitalizzazione del relativo importo economico, alla quale non può provvedere il giudice dell’esecuzione.
In presenza di un credito non (ancora) esigibile, dunque, il problema non attiene tanto alla sua pignorabilità, ma alla sua effettiva capacità satisfattiva (e, di converso, liberatoria per il debitore esecutato), una volta avvenutane l’assegnazione al creditore procedente, dal momento che l’art. 2928 c.c. subordina l’estinzione del diritto di quest’ultimo nei confronti del debitore all’effettiva riscossione del credito assegnato.
La differenza tra il pignoramento di un credito già certo, liquido ed esigibile e quello di un credito non esigibile, condizionato o eventuale (ammissibile alle condizioni innanzi delineate) si apprezza anche – e principalmente – sotto il profilo dell’obbligo di custodia gravante sul terzo ai sensi dell’art. 546 c.p.c., che diviene pienamente operativo solo con la sopravvenuta attualità della sua obbligazione.
Detto, così, che non potevano essere nutriti dubbi circa l’esistenza del credito (al pagamento del corrispettivo della vendita promessa) del debitore esecutato e della sua assoggettabilità a pignoramento, la sentenza impugnata è stata censurata anche sotto un profilo squisitamente processuale, ossia nella parte in cui, assumendosi che la pignorabilità del credito presupponeva la definitività della sentenza resa ai sensi dell’art. 2932 c.c., era stato escluso che il suo passaggio in giudicato mentre pendeva l’appello proposto contro la pronuncia resa in primo grado nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo consentisse l’accoglimento della domanda del creditore procedente.
Da questo punto di vista, la tesi perorata dalla Corte d’appello di Napoli si incentrava sul fatto che, sebbene, in definitiva, la questione si fosse effettivamente risolta in senso favorevole al creditore procedente, la sentenza di primo grado gravata non poteva essere considerata errata, perché, quando era stata pronunciata, il credito pignorato non esisteva, proprio in quanto, in quel momento, la pronuncia ex art. 2932 c.c. non era ancora definitiva.
Come osservato dai giudici di legittimità, tuttavia, l’impugnazione del creditore procedente si fondava sulla ritenuta pignorabilità del credito, anche se portato da una sentenza costitutiva non definitiva, ossia a prescindere dal suo accertamento con una pronuncia coperta dal giudicato, sicché – visto che nel più sta il meno – ciò significava sostenere che il credito in questione doveva reputarsi a maggior ragione pignorabile ove detto accertamento fosse medio tempore sopravvenuto.
Il giudice d’appello, in questo modo, era stato investito del tema della pignorabilità del credito nel suo complesso ed era, quindi, in grado di accertarne la sussistenza al momento della decisione, benché in forza di un fatto sopravvenuto (per quanto, in forza delle considerazioni precedentemente svolte, non decisivo o determinante).
Di conseguenza, visto che, nell’ambito dell’espropriazione mobiliare presso terzi, il momento rilevante per valutare l’esistenza del credito oggetto del pignoramento, quando la dichiarazione prevista dall’art. 547 c.p.c. manchi o sia negativa, è quello del suo accertamento ai sensi dell’art. 549 c.p.c., la Corte d’appello di Napoli non poteva esimersi dal considerare il passaggio in giudicato della sentenza ex art. 2932 c.c., quale fatto sopravvenuto intervenuto comunque prima della decisione.
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