12 Gennaio 2021

Fino alla dichiarazione di improcedibilità, la rinuncia alla domanda di concordato preventivo non paralizza l’iniziativa del P.M. in caso di atti di frode

di Chiara Zamboni, Assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Ferrara Scarica in PDF

Cass. civ., Ord., Sez. I, 7.12.2020, n. 27936 – Pres. Genvoese – Rel. Dolmetta

Parole chiave

Concordato preventivo – domanda – effetti rinuncia – revoca – dichiarazione di improcedibilità – cessazione automatica – iniziativa del P.M. – fatti di frode.

Massima

La rinuncia alla domanda di ammissione al concordato preventivo comporta la dichiarazione di improcedibilità ma non determina la cessazione automatica del procedimento di concordato. Quale conseguenza, fino alla dichiarazione di improcedibilità il P.M. può esercitare il potere di iniziativa ex art. 173 L.F. e domandare la dichiarazione di fallimento del debitore qualora ravvisi fatti di frode.

 Riferimenti normativi

Art. 7 L.F. – Art. 173 L.F.

CASO

La società Alfa ha presentato domanda di concordato preventivo, ammessa dal Tribunale di Milano. I Commissari giudiziali, nel depositare la relazione ex art. 173 L.F. hanno chiesto la revoca della procedura. Successivamente, nel corso dell’udienza fissata per la discussione, la società Alfa ha dichiarato di aver rinunciato alla precedente domanda e presentato una nuova domanda di concordato ex art. 161 L.F.

In sede di udienza, il P.M.  ha chiesto la dichiarazione di fallimento di Alfa.

Il Tribunale ha revocato il provvedimento di ammissione al concordato e, ritenuta inammissibile la nuova domanda presentata da Alfa, ne ha dichiarato il fallimento.

Alfa ha così proposto un reclamo ex art. 18 L.F. che è stato solo parzialmente accolto dalla Corte di Appello. Essa, infatti, ha da un lato revocato la sentenza dichiarativa di fallimento e dall’altro ha respinto il gravame proposto contro la dichiarazione di inammissibilità della nuova domanda di concordato preventivo.

Il Fallimento Alfa ha presentato un ricorso in Cassazione.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, censurando la conclusione raggiunta dalla Corte di Appello, ha affermato che la richiesta di fallimento formulata dal P.M. dopo la rinuncia del debitore alla domanda di concordato preventivo e prima della dichiarazione di improcedibilità del Tribunale, conserva la propria efficacia. Essa risulta, pertanto, valida iniziativa per una successiva dichiarazione di fallimento.

QUESTIONI

Il provvedimento in esame richiama l’attenzione sugli effetti del deposito di un atto di rinuncia alla domanda di ammissione al concordato preventivo. In particolare, due sono i profili oggetto di indagine: i) gli effetti che produce l’atto di rinuncia sul procedimento di concordato e sul sub-procedimento di revoca dello stesso; ii) gli effetti sul potere di iniziativa del P.M. ex art. 173 L.F.

La Corte di Appello ha revocato la dichiarazione di fallimento perché la richiesta del P.M. ex art. 173 L.F. era intervenuta dopo il deposito dell’atto di rinuncia alla domanda di ammissione al concordato. Secondo i giudici, al momento della presentazione dell’istanza del P.M. la procedura di concordato, e conseguentemente il sub-procedimento di revoca in cui è intervenuto il P.M., non erano più pendenti essendo venuto meno il presupposto, ovvero la domanda di ammissione al concordato. In assenza di presupposti, la stessa legittimazione del P.M. sarebbe venuta meno.

A sostegno di questa tesi, la Corte ha sottolineato che la rinuncia alla domanda non richiede forme particolari né l’accettazione delle controparti e, pertanto, è immediatamente efficace.

La Suprema corte, accogliendo il primo motivo di ricorso, ha manifestato parere contrario alla soluzione offerta dalla Corte milanese posizionandosi, invece, in linea di continuità con quanto deciso in recenti arresti (si vedano in particolare le pronunce: Cass. 14 maggio 2019, n. 12855 e Cass., 23 ottobre 2019, n. 27200).

Ritenere che la rinuncia della domanda di ammissione al concordato preventivo sia in grado di paralizzare i poteri di iniziativa riconosciuti al P.M. in caso di ravvisati fatti di frode implica che il potere di iniziativa (sia nel procedimento di revoca ex art. 173 L.F. che in generale ex art. 7 L.F.) sia subordinato ad un potere dispositivo della parte privata.

La rinuncia alla proposta concordataria comporta la dichiarazione di improcedibilità ma non produce automaticamente la cessazione del procedimento di concordato preventivo.

Quale conseguenza, non viene meno il fatto costitutivo del potere di iniziativa del P.M. ex art. 173 L.F. che si rinviene nella sussistenza dei fatti di frode.

L’istanza di fallimento formulata dal P.M., che si collochi temporalmente dopo il deposito della rinuncia all’ammissione al concordato preventivo ma prima della dichiarazione di improcedibilità da parte del Tribunale, conserva la propria efficacia anche dopo tale dichiarazione e può validamente fondare la pronuncia di fallimento.

A questo riguardo, la Corte evidenzia che il potere di iniziativa del P.M. ex art. 173 L.F. è espressivo del più ampio potere di iniziativa a lui attribuito ex art. 7 L.F., come si evince dal fatto che è possibile ravvisare una manifesta identità di ratio. Così come avviene per il potere di iniziativa del P.M. ex art. 162, 2 comma, L.F., il P.M. nel procedimento ex art. 173 L.F. partecipa a pieno titolo ed è la dinamica stessa del procedimento a segnalare lo stato di insolvenza.

La posizione assunta dalla Corte in merito ai poteri di iniziativa del P.M. riflette una considerazione più ampia sulla grande rilevanza dei pubblici ministeri nel settore delle procedure concorsuali, sia per quanto riguarda l’intervento nel processo civile che per quanto concerne l’esercizio dell’azione penale. Si va delineando un ruolo sempre più attivo del pubblico ministero a beneficio degli interessi collettivi. Questo spunto trova conferme nel nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, si veda, ad esempio, la codifica dell’ampliamento della legittimazione del P.M. nella richiesta di liquidazione giudiziale.

Accolto il primo motivo di gravame, la Corte ha esaminato il ricorso incidentale concernente il supposto erroneo giudizio di inammissibilità della proposizione di una seconda domanda di concordato, ritenuta “abusiva”.

Secondo il ricorrente, l’abusività deve essere valutata con riferimento alla domanda definitiva depositata entro i termini concessi perché è solo in quel momento che si verifica l’eventuale lesione dei diritti soggettivi dei terzi.

La Corte ha respinto il ricorso incidentale ritenendo di non dover accogliere il motivo proposto a causa della manifesta contrarietà con il consolidato orientamento che ritiene che il potere del debitore di ricorrere al concordato preventivo sia soggetto al limite dell’abuso del diritto, sub specie in questa ipotesi di abuso del processo (si vedano in tal senso le richiamate pronunce: tra le pronunce più recenti, Cass., 12 marzo 2020, n. 7117; Cass., 11 ottobre 2018, n., 25210; Cass., 7 marzo 2017, n. 5677).

In questo senso, l’art. 161, comma 9, L.F. che dispone l’inammissibilità della domanda di concordato con riserva nell’ipotesi in cui il debitore nei due anni precedenti abbia presentato altra domanda alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, trova la sua ratio nel limitare il ricorso ad uno strumento che, per sua natura, può favorire un utilizzo dilatorio. Ciò non si traduce, però, nell’impossibilità in linea generale di rinvenire gli estremi per dichiarare una domanda di concordato inammissibile per abusività.

Attendere necessariamente la presentazione del piano per dichiarare l’abusività della domanda di concordato, anche nel caso in cui i tratti di abusività siano manifesti fin dalla proposizione della domanda, concretizzerebbe la concessione di una inutile dilazione.