13 Giugno 2017

Aliud pro alio nella vendita forzata

di Fabio Cossignani Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. VI, 11 maggio 2017, n. 11729 – Pres. Amendola – Rel. De Stefano

Esecuzione forzata – Vendita forzata – Aliud pro alio – Opposizione agli atti – Ammissibilità – Termine di venti giorni – Necessità – Decorrenza dal decreto di trasferimento ovvero dalla conoscenza o conoscibilità del vizio (Cod. proc. civ., art. 617)

[1] L’aliud pro alio nella vendita forzata va fatto valere con l’opposizione agli atti esecutivi nel termine di 20 giorni decorrente dal decreto di trasferimento ovvero dal momento in cui si è acquisita conoscenza o conoscibilità del vizio o della difformità del bene, gravando sull’opponente l’onere di allegare e dimostrare tale momento.

CASO

Gli esecutati nella procedura esecutiva proponevano domanda di annullamento del decreto di trasferimento del bene pignorato, fondando la richiesta sulla sussistenza di aliud pro alio.

La domanda veniva rigettata prima dal tribunale e poi dalla corte di appello, ma con diverse motivazioni (che non emergono dal testo del provvedimento).

I soccombenti proponevano quindi ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] Il ricorso viene dichiarato manifestamente infondato perché il vizio dell’aliud pro alio nella vendita forzata va fatto valere col mezzo dell’opposizione agli atti esecutivi. Il termine di 20 giorni decorre dalla conoscenza o conoscibilità del vizio o della difformità, che siano tali da comportare la diversità tra bene offerto e bene aggiudicato. È onere dell’opponente dimostrare il momento in cui si è formata tale conoscenza o conoscibilità, al fine di verificare la tempestività dell’opposizione.

Nella specie, non essendo stato adempiuto l’onere, l’opposizione viene ritenuta inammissibile perché tardiva.

QUESTIONI

[1] Ai sensi dell’art. 2922, co. 1, c.c., nella vendita forzata non opera la garanzia per vizi della cosa sicché non si applicano gli artt. 1490 e 1497 c.c.

La giurisprudenza ammette invece che possa denunciarsi la vendita di aliud pro alio (v. Cass., 3 ottobre 1991, n. 10320; in ambito fallimentare, v. Cass., 25 febbraio 2005, n. 4085). Di regola è interesse dell’aggiudicatario far valere il vizio. Nella sentenza in commento, invece, l’iniziativa è stata presa dal debitore (sul punto, cfr. Cass. 14 ottobre 2010, n. 21249, relativa a un’iniziativa promossa fruttuosamente dal curatore con riferimento a una vendita fallimentare che aveva avuto ad oggetto un terreno descritto come edificabile, ma in verità già edificato e quindi di maggior valore).

Il primo ordine di problemi nasce dalla difficile distinzione in concreto tra vizi, mancanza di qualità essenziali e aliud pro alio (per due recenti casi, nell’ambito della vendita forzata, v. Cass., 12 luglio 2016, n. 14165 e Cass., 25 ottobre 2016, n. 21480).

Secondo la giurisprudenza, ricorre aliud pro alio «quando il bene aggiudicato appartenga ad un genere del tutto diverso da quello indicato nell’ordinanza di vendita, ovvero manchi delle qualità necessarie per assolvere la sua naturale funzione economico-sociale, ovvero risulti compromessa la destinazione del bene all’uso che, preso in considerazione dalla succitata ordinanza, abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto» (di recente, Cass. n. 21480/2016 cit.). Invece, il vizio redibitorio (art. 1490 c.c.) e la mancanza di qualità promesse o essenziali (art. 1497 c.c.), presuppongono entrambi l’appartenenza della cosa al genere pattuito; tra loro, poi, si differenziano «in quanto il primo riguarda le imperfezioni ed i difetti inerenti al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa medesima, mentre la seconda è inerente alla natura della merce e concerne tutti quegli elementi essenziali e sostanziali che, nell’ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie, piuttosto che in un’altra» (Cass., 5 aprile 2016, n. 6596).

Il secondo ordine di questioni si rinviene nella necessità di coordinare il rimedio di matrice sostanziale con il contesto processuale della vendita forzata.

La “duplice natura” della vendita coattiva conduce la più recente giurisprudenza a ritenere che il vizio dell’offerta di acquisto determini la nullità del decreto di trasferimento, ma che tale nullità debba denunciarsi con strumenti di carattere processuale ossia con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (a partire da Cass., sez. III, 2 aprile 2014, n. 7708, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 873, con nota di Cossignani, Aliud pro alio e opposizione agli atti esecutivi; Cass., 29 gennaio 2016, n. 1669).

In questa maniera, da un lato, si favorisce la stabilità della vendita forzata, ma, dall’altro, si comprimono i termini per l’esercizio di un diritto di matrice sostanziale che, fuori del processo, si estinguerebbe in uno spazio temporale ben più ampio.

Come contrappeso a questa limitazione la Cassazione riconosce una sorta di “mobilità” del dies a quo per la proposizione dell’opposizione. Infatti, benché l’atto viziato sia il decreto di trasferimento (in parallelo con il contratto di compravendita nei trasferimenti volontari), la conoscenza della diversità del bene potrebbe essere acquisita solo in un secondo momento. Da ciò consegue che il termine di 20 giorni decorre, in questa ipotesi, dalla conoscenza o dalla conoscibilità del vizio o della difformità.

Tuttavia, la regola generale resta comunque la decorrenza del termine dal decreto di trasferimento. Perché possa operare lo speciale spostamento del dies a quo, è infatti necessario che l’opponente alleghi e provi il diverso e successivo momento in cui ha acquisito conoscenza del vizio (Cass. n. 11729/2017). Spetterà invece ai controinteressati dimostrare che l’aggiudicatario avrebbe potuto acquisire la conoscenza in data anteriore usando l’ordinaria diligenza.

Cass. n. 7708/2014 ha individuato anche il limite temporale massimo oltre il quale l’opposizione agli atti non è più proponibile: questo coincide con «l’esaurimento della fase satisfattiva dell’espropriazione forzata, costituito dalla definitiva approvazione del progetto di distribuzione».

La stessa Cass. n. 7708/2014 (punto 9.4), tuttavia, sembra ammettere anche una successiva e autonoma azione nella remota ipotesi in cui la conoscenza sia acquisita quando il processo esecutivo «più non pende». Ragioni di simmetria inducono a credere che anche in tal caso l’azione debba proporsi nel termine di 20 giorni dalla conoscenza del vizio. L’ipotetico accoglimento di una simile domanda pone il problema – sia teorico sia pratico – della reviviscenza degli effetti del pignoramento.

Ci si interroga, inoltre, sulla praticabilità di rimedi diversi da quelli recuperatori e alternativi a questi.

Ad esempio, si potrebbe prospettare un’azione di arricchimento da parte dell’aggiudicatario. In proposito, si evidenzia la difficile individuazione della legittimazione passiva, ossia se questa vada attribuita ai creditori soddisfatti con la distribuzione oppure al debitore esecutato. Facendo perno sull’art. 2920 c.c., a mio modesto avviso, l’azione di arricchimento contro i creditori dovrebbe escludersi.

Inoltre, considerando che la nullità del decreto di trasferimento sovente trae origine da errori contenuti nella perizia di stima, sembra ammissibile, almeno in astratto, un’azione risarcitoria nei confronti dell’esperto.