26 Gennaio 2021

Aggregazione fra professionisti: una opportunità da agevolare

di Alessandro Siess – MpO & Partners Scarica in PDF

E’ noto che il classico modello di studio mono professionale, incentrato sulla figura del suo dominus e totalmente dipendente dal medesimo, sia gradualmente ed irreversibilmente entrato in crisi negli ultimi 30 anni. I fattori che hanno causato tale crisi sono sostanzialmente due: l’aumento esponenziale della concorrenza e l’estensione delle aree di competenza.

Nel corso di questi ultimi 30 anni tutte le categorie professionali, ed in primis quella degli avvocati, hanno dovuto cedere alle logiche del libero mercato, così come per altro “imposto” dalle politiche comunitarie, fortemente orientate a considerare sullo stesso piano tutte le attività economiche: imprenditori, professionisti ed artigiani. Ne è derivato un aumento molto significativo degli iscritti agli Albi, fra cui quello degli avvocati risulta quello maggiormente interessato dal fenomeno. L’aumento della concorrenza ha sicuramento comportato una riduzione della marginalità del vecchio studio professionale, il cui titolare ha visto man mano dissolversi quella posizione di rendita quasi scontata che si era conquistato nel mercato di riferimento.

L’altro fattore che ha determinato la crisi del vecchio modello di studio mono professionale è costituito dall’estensione delle aree di competenza correlate alle singole categorie professionali. Soprattutto nell’ambito delle materie economico-giuridiche si è assistito nel corso degli ultimi decenni ad una proliferazione alquanto incontrollata della normativa di riferimento e conseguentemente la domanda di prestazioni da parte della clientela è divenuta assai più complessa e difficile da gestire per un singolo professionista. Questa situazione, in combinazione con l’aumento della concorrenza, ha determinato una significativa spinta per gli studi professionali ad organizzarsi secondo modelli più complessi, in grado di far fronte all’evoluzione del mercato e di lavorare secondo criteri aziendali di autonomia organizzativa e massima redditività.

Date queste premesse, tutti gli operatori del mercato (Ordini, Associazioni di categoria, professionisti, società di formazione) concordano sul fatto che l’aggregazione fra professionisti possa costituire un valido strumento per superare questa crisi, al fine di consentire ai professionisti di realizzare strutture organizzative che trascendano il superato modello di studio mono-professionale e siano in grado di affrontare in modo competitivo la vasta ed articolata domanda del mercato.

C’è però un problema: il professionista italiano, animale storicamente solitario, non possiede la cultura dell’aggregazione e, inoltre, non trova nel sistema gli strumenti che lo incentivino a farlo. Cosa intendiamo per insegnare la cultura dell’aggregazione ? Da una parte fornire informazioni utili sulle forme di aggregazione possibili, sulla loro reale natura e sulla disciplina peculiare delle medesime, dall’altra sensibilizzare i professionisti in ordine alle potenzialità di tali processi aggregativi, evidenziando la loro strumentalità rispetto alla concretizzazione di progetti di realizzazione professionale e personale, aventi ricadute positive anche sull’intero sistema. In questo contributo vogliamo però concentrare l’attenzione sulla necessità che lo Stato agevoli i processi aggregativi,   mediante una legislazione civilistico e soprattutto fiscale che le renda appetibili. Per meglio comprendere il punto, pensiamo ad alcune norme, sparse nel nostro ordinamento giuridico, che aiutano ad es. le aggregazioni e il passaggio generazionale riguardanti le imprese:

1) Il c.d. Bonus Aggregazioni, previsto dall’art. 11 del Decreto Crescita (Decreto Legge n. 34/2019), il quale prevede una deroga al principio di neutralità fiscale, riconoscendo, sia per la determinazione delle quote di ammortamento sia per la determinazione della plus/minusvalenza, i maggiori valori contabili derivanti da operazioni di fusione, scissione o conferimento d’azienda. Non è certo questa la sede per esaminare la portata di tale norma, ma quel che si vuole evidenziare è che si tratta di norma che agevola in modo significativo le operazioni straordinarie poste in essere dalle imprese. Al contrario, nel nostro sistema non sussiste alcuna norma analoga che agevoli le aggregazioni professionali o i conferimenti degli studi in società fra professionisti.

2) L’esenzione per il passaggio generazionale delle aziende familiari, prevista dall’art. 3, comma 4-ter, Tus, il quale stabilisce che “i trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli artt. 768-bis e ss c.c., a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggette all’imposta”. Anche in questo caso, il richiamo a tale normativa ha il fine di  esemplificare un altro caso in cui il legislatore è intervenuto per agevolare, giustamente, il mondo imprenditoriale ed evitare le ricadute negative derivanti dal mancato perfezionarsi del passaggio generazionale ( ad esempio la perdita dei posti di lavoro ed  il calo del gettito fiscale). L’esenzione non riguarda direttamente le aggregazioni, ma certamente il tema del passaggio generazionale, in senso ampio, è strettamente connesso alla peculiarità delle aggregazioni in ambito professionale.  Lo studio non è un “bene” che entra in successione (se si escludono alcune sue componenti quali le attrezzature o gli arredi) e regna l’incertezza su come disciplinare l’eventuale passaggio in favore degli eredi dei rapporti in essere con la clientela. Ma, soprattutto, nessuna norma agevola il passaggio generazionale che si realizza in sede extra familiare, il quale nella prassi italiana configura una vera e propria operazione di aggregazione professionale, certamente da agevolarsi per le importanti potenzialità che essa ha in termini di rinnovamento degli studi, realizzazione personale, mantenimento dei posti di lavoro ed entrate fiscali.

3) La rivalutazione facoltativa delle partecipazioni societarie, mediante pagamento di un’imposta sostitutiva, la cui ratio risiede proprio nella volontà del legislatore di favorire la loro circolazione e facilitare quindi i riassetti della proprietà delle società, garantendo, contemporaneamente, un gettito immediato all’Erario.

E’ evidente anche che gli strumenti normativi suindicati non siano tout court applicabili, in ragione della concettuale differenziazione fra azienda e studio professionale, alle operazioni di aggregazione professionale, ma che debbano invece essere adattati o se ne debba creare di specifici. Discorso parzialmente diverso sarebbe potuto valere per le STP, che possono essere organizzate tramite i modelli societari previsti dal codice civile, ma ogni possibile entusiasmo viene stroncato sul nascere, visto l’orientamento dell’AE che, con diverse risposte ad interpelli, ha affermato che il conferimento di uno studio associato o di uno studio individuale in una STP non costituisce un’operazione fiscalmente neutra, ma deve considerarsi una cessione a titolo oneroso di beni (risposte ad interpelli 107 e 125 del 2018).

Quali sono le ragioni che potrebbero spingere lo Stato ad intervenire? Le ragioni sono varie e tutte di interesse pubblico, anche qualora il beneficiario diretto sia il privato:

  • aumento del gettito derivante dall’aumento delle operazioni che prevedono il pagamento di una somma di denaro
  • mantenimento del posto di lavoro dei dipendenti/collaboratori degli studi oggetto di cessione
  • spinta alla realizzazione, da parte dei professionisti più intraprendenti, di organizzazioni professionali di dimensioni maggiori e più strutturate, in grado di fornire al cliente una gamma di servizi più qualificati e competitivi
  • possibilità, tramite strutture professionali più grandi, di fronteggiare la concorrenza delle società di consulenza straniere che stanno aggredendo il mercato
  • possibilità per i giovani di realizzare dei progetti di realizzazione professionale, i quali passino attraverso una iniziale aggregazione con un professionista più anziano e la conseguente possibilità di acquisire da lui sia la clientela sia tutto il suo know how professionale
  • l’opportunità per il professionista vicino alla pensione di pianificare un’uscita graduale dalla professione, senza disperdere tutta l’esperienza sviluppata in decenni di attività e realizzando una sorta di TFR di fine carriera.

Sul punto sono già nate alcune iniziative finalizzate ad ottenere un aiuto da parte dello Stato alle aggregazioni professionali. Anche noi di MpO ci siamo mossi in tal senso, coinvolgendo e sensibilizzando il mondo della politica e le istituzioni professionali mediante l’organizzazione di vari eventi dedicati al tema, nonché lanciando una petizione con cui proponiamo:

  1. l’applicazione del “Bonus Aggregazioni”, previsto per le aggregazioni aziendali (Decreto Legge 34/2019), anche alle aggregazioni professionali;
  2. la neutralità fiscale per il conferimento o trasformazione di attività professionali e studi associati in STP (Art. 10 L. 183/2011, Art. 9, 54, 170 e 176 Tuir, Risposta AdE n.107, pubblicata il 13 dicembre 2018 e n.125, pubblicata il 21 dicembre 2018);
  3. una tassazione agevolata (ad es. flat tax) per i professionisti, prossimi alla pensione, che intendono cedere la propria attività professionale.

Di seguito il link per aderire: https://www.change.org/p/parlamento-italiano-incentivi-fiscali-per-aggregazioni-professionali

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