15 Aprile 2025

Affitto di azienda obblighi di manutenzione dell’affittuario

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Ordinanza del 27.05.2022 n. 17226, Sez. VI, Presidente Dott. F. M. Cirillo, Estensore Dott. M. Gorgoni

Massima: In tema di affitto di ramo d’azienda, sull’affittuario grava l’obbligo di conservare l’azienda in tutte le sue componenti, nello stato in cui viene affittata, sostenendo tutte le spese necessarie a tale scopo. Ai fini della distinzione tra spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, diversamente da quanto avviene per il contratto di locazione di beni non produttivi, i lavori di manutenzione ordinaria vanno individuati in negativo, escludendo quelle opere che sono da reputarsi straordinarie perché non finalizzate alla conservazione della originaria destinazione economica del bene e al ripristino della sua attitudine produttiva. In assenza di un criterio discretivo certo, eventualmente, sarà possibile adoperare, in via orientativa l’elenco esemplificativo delle riparazioni straordinarie previsto dall’art.1005 c.c...

CASO

La società Beta stipulava con la Società Gamma un contratto di affitto di ramo di azienda, con il quale la società Gamma concedeva a Beta un fabbricato articolato su due livelli ed insistente in Sesto Campani, da utilizzare per la somministrazione di alimenti e bevande e per la commercializzazione di beni e servizi, pattuendo un canone mensile pari ad € 6.000,00.

La società Beta, conduttrice dell’immobile, eseguiva sul fabbricato oggetto del contratto, a sua cura e spese, “opere urgenti ed improcrastinabili”, che la parte locatrice – nonostante fosse stata più volte sollecitata – non aveva mai realizzato, né aveva mai riscontrato i predetti solleciti né al contempo si era opposta alla realizzazione delle opere.

La società Beta, pertanto, conveniva in giudizio innanzi il Tribunale di Isernia, onde ottenere l’accertamento del carattere “di urgenza ed improcrastinabilità”, dei lavori eseguiti e che la società Gamma venisse condannata al pagamento dell’importo di € 9.143,87 per i lavori eseguiti.

Si costituiva in giudizio la società Gamma negando il carattere di urgenza delle opere oggetto di lite e deducendo l’eccessività dell’importo richiesto, che comunque esso non potesse essere considerato a suo carico in quanto le opere realizzate sull’immobile “erano state realizzate su attrezzature non si sua proprietà”; lamentava inoltre, che le opere erano state realizzate “senza mancato preavviso”.

Il Tribunale di Isernia, con la sentenza n. 251 del 2018, accoglieva le domande attoree condannando parte locatrice al pagamento delle spese di € 9.143,86, oltre agli interessi ed alle spese di lite.

Soccombente in primo grado, la società Gamma interponeva appello innanzi la Corte di Appello di Campobasso, la quale accoglieva il gravame, riformando la sentenza del giudice del primo grado richiamando la distinzione tra “opere di ordinaria e straordinaria manutenzione”, ed evidenziando che “l’ascrizione di un intervento all’una o all’altra categoria spetta al giudice”.

Richiamava altresì gli artt. 13 e 14 del contratto i quali prevedevano rispettivamente che in primo luogo “sarebbero stati considerati interventi di ordinaria manutenzione le sostituzioni di materiali d’usura inerenti gli impianti e le dotazioni” mentre dovevano considerarsi di “straordinaria manutenzione gli interventi effettuati su strutture portanti derivanti dall’usura del tempo o dagli adeguamenti richiesti dalle normative in materia di sicurezza sul lavoro”; richiamava il successivo art. 14, il quale prevedeva il divieto a carico di parte conduttrice di eseguire opere di modifica del fabbricato, degli impianti e delle attrezzature ancorchè volte a garantire il migliore utilizzo dei beni costituenti l’azienda “se non espressamente autorizzate per iscritto dalla società locatrice”.

Pertanto, la Corte del gravame accertava che gli interventi oggetto di lite dovessero essere considerati tra quelli posti a carico della conduttrice poiché di ordinaria manutenzione essendo lavori di “i) riparazioni di guasti e deterioramenti derivanti dall’uso, non imprevedibili né eccezionali, non volte ad ovviare a vetustà e al degrado edilizio; ii) di interventi svoltisi nell’arco di quattro anni di non rilevante entità, avuto riguardo per la natura del contratto e per l’importo del canone”.

Avverso la sentenza delle seconde cure, proponeva ricorso per Cassazione la società Beta, per la cassazione della sentenza n. 361 del 2019 sulla base di un solo motivo.

Resisteva con controricorso la società Gamma.

Ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 17226 del 27 maggio 2022, rigettava il ricorso proposto dalla società Beta e la condannava al pagamento delle spese in favore della parte controricorrente, liquidandole in € 3.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge..

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.p.r. 115 del 2002, dava atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 se dovuto.

QUESTIONI

Con l’unico motivo di ricorso la società Beta ricorrente in Cassazione denunciava la violazione dell’art. 1577, comma 2, c.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 e/o 4, c.p.c.

La ricorrente deduceva che i lavori oggetto di lite fossero stati correttamente definiti, nonché denunciati alla locatrice e dimostrati quali opere improcrastinabili e che non fosse dirimente ai fini della controversia determinare se i medesimi rientrassero nella categoria dei lavori di ordinaria o straordinaria amministrazione bensì era necessario determinare se rientrassero all’interno degli interventi previsti dall’art. 1577 c.c..

Tuttavia la censura nelle modalità formulate da parte della ricorrente in Cassazione è stata ritenuta dalla Corte di legittimità inaccoglibile in quanto “dimostrano che parte ricorrente non ha colto la ratio decidendi della sentenza impugnata”.

In primo luogo occorre premettere che il Codice civile non detta disposizioni specifiche riguardo all’affitto di azienda, limitandosi all’art. 2562 c.c., a prevedere che “le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche nel caso di affitto di azienda” – richiamando la norma relativa all’usufrutto di azienda ai sensi dell’art. 2561 c.c. il quale dispone che “l’usufruttuario dell’azienda deve esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue. Egli deve gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza degli impianti e le normali dotazioni di scorte. Se non adempie a tale obbligo o cessa arbitrariamente dalla gestione dell’azienda, si applica l’articolo 1015. La differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio e al termine dell’usufrutto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell’usufrutto”.

Nel silenzio legislativo, pertanto, è intervenuta la giurisprudenza ad integrare la disciplina dell’affitto di azienda – o di un ramo della medesima.

Il contratto di affitto di azienda o ramo di essa, è un accordo mediante il quale il locatore, a fronte del pagamento di un corrispettivo in denaro – canone – trasferisce il godimento ad un altro soggetto – affittuario – di un’azienda, da intendersi quale complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa ai sensi dell’art. 2555 c.c..

In particolare la giurisprudenza di legittimità dispone infatti che “si ha affitto di azienda (o di ramo di azienda), e non locazione, solo se i beni oggetto del contratto fanno già parte di un’organizzazione produttiva[1].

Invero, il contratto di affitto di azienda differisce dal contratto di locazione in quanto, sempre secondo l’orientamento giurisprudenziale di legittimità, nella locazione “l’immobile concesso in godimento viene considerato specificamente nell’economia del contratto, come l’oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi” – detti elementi in particolare sono collegati al bene immobile oggetto di locazione in una posizione di “subordinazione e coordinazione”; al contrario nell’affitto di azienda l’immobile non è preso in considerazione nella sua “individualità giuridica”, bensì “come uno degli elementi costitutivi del complesso di beni mobili e immobili, legati tra di loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo, sicchè l’oggetto del contratto è costituito dall’anzidetto complesso unitario[2].

Quanto agli obblighi dell’affittuario, oltre al pagamento periodico del canone, vi è quello di mantenere l’azienda in tutte le sue componenti nello stato in cui viene affittata e di sostenere tutte le spese necessarie a tal fine.

Orbene ai sensi dell’art. 1577 c.c., “quando la cosa locata abbisogna di riparazioni che non sono a carico del conduttore, questi è tenuto a darne avviso al locatore. Se si tratta di riparazioni urgenti, il conduttore può eseguirle direttamente salvo il rimborso, purchè ne dia contemporaneamente avviso al locatore”.

Nel caso di affitto di azienda pertanto, ai fini della distinzione tra spese di manutenzione ordinaria e spese di manutenzione straordinaria – al contrario della locazione di beni non produttivi ove il conduttore non fa proprio il reddito derivante dalla cosa – “i lavori di manutenzione ordinaria vanno individuati in negativo e, cioè, escludendo quelle opere che sono da reputarsi straordinarie”, in quanto non deputate alla conservazione della “originaria destinazione economica del bene e al ripristino della sua attitudine produttiva, eventualmente adoperando, in via orientativa e in assenza di un criterio discretivo certo, l’elenco esemplificativo delle riparazioni straordinarie di cui all’art. 1005 c.c.[3], norma che trova applicazione anche al di fuori delle ipotesi dell’usufrutto.

Tali sono in forza dell’art. 1005 c.c., le spese straordinarie: “quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta”.

Invero, il secondo comma dell’art. 1577 c.c., di cui parte ricorrente denunciava la violazione, disciplina le opere di riparazione straordinaria che nonostante siano a carico del locatore, vengono eseguite da parte del conduttore stante il loro carattere di urgenza.

Ne consegue che la norma in esame pretesamente violata non introduce una “categoria di opere che prescindono dall’inquadramento nell’ambito di quelle a carico del locatore o del conduttore”, bensì si limita unicamente ad individuare tra le opere poste a carico del locatore, una determinata categoria di opere – ovverosia quelle urgenti – che impongono al conduttore di “intervenire, eseguendole a sue spese, allo scopo di tutelare sé o terzi dalle conseguenze che potrebbero derivare dalla mancata riparazione, stante l’attuale esistenza di un pericolo immediato di deterioramento o di guasto della cosa locata”.

La ragione sottesa al secondo comma dell’art. 1577 c.c., risiede nel dovere di collaborazione e cooperazione posti a carico del conduttore, il quale, ancorchè non proprietario del bene oggetto del contratto, comunque ne ha la detenzione: circostanza che gli permette di avere contezza della necessità di intervenire sul bene al contrario del locatore che – proprietario del bene – potrebbe comunque non “ignorare la sussistenza di tale esigenza”.

Da qui ne deriva anche la ragione in forza della quale sul conduttore grava il dovere di preavviso che assolve alla funzione di impedire al locatore di “invocare l’ignoranza del bisogno della riparazione, allo scopo di liberarsi dell’obbligo di rimborsare il conduttore, ed è d’ostacolo all’accoglimento di una sua eventuale richiesta di risarcimento dei danni arrecati alla cosa locata derivanti dalla omissione delle riparazioni dovuta non a propria negligenza, ma a colpa del conduttore”.

[1] Cass. Civ. n. 3888/20

[2] Cass. Civ. n. 23851/19

[3] Cass. Civ. n. 19632/20

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