Accordi di ristrutturazione, trattamento dei crediti tributari e soddisfazione minimale degli stessi
di Carlo Trentini, Avvocato Scarica in PDFTribunale di Salerno, Sez. III, 23 gennaio 2023, n. 21156 – Pres. ed est. G. Jachia
Parole chiave: Accordi di ristrutturazione dei debiti – trattamento dei crediti tributari e contributivi – mancata adesione dell’agenzia delle entrate – cram down – presupposti
Massima: “Se il debitore invoca l’applicazione dell’art. 182-ter, comma 5, l.fall. per superare la mancata adesione dell’agenzia delle entrate e degli altri soggetti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie, il tribunale, nel compiere la valutazione di convenienza ai fini dell’eventuale cram down, deve eseguire, oltre ad un controllo formale, anche un controllo di legalità sostanziale, che impone di verificare se i crediti tributari e previdenziali possano ricevere una soddisfazione minimale, non omologando gli accordi nel caso in cui sia previsto il pagamento di una percentuale del 3%, da considerarsi irrisoria e tale da non poter assolvere la funzione di soddisfazione delle ragioni dei creditori”.
Riferimenti normativi Legge fallimentare artt. 182-bis, 182-ter
CASO E SOLUZIONE
In una procedura di accordo di ristrutturazione dei debiti, in cui il debitore aveva raggiunto l’accordo con un solo creditore, titolare di un credito esiguo, e, per pervenire all’adesione di almeno il 60% del montecrediti, aveva chiesto al tribunale di operare il cram down dell’ingente credito tributario – sul presupposto che, pur se limitata, la soddisfazione dell’Agenzia delle Entrate sarebbe maggiore rispetto a quella da attendersi dalla liquidazione giudiziale – il Tribunale di Salerno non omologava l’accordo, motivando il rigetto con l’affermazione che l’adesione coattiva presuppone, oltre all’inerzia (o il diniego) ingiustificati anche la proposta, ai creditori istituzionali, di una soddisfazione minimale, che, nel caso di specie (3%), veniva considerata inesistente.
QUESTIONI
Una società chiede l’omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti, avendo raggiunto l’accordo con un unico creditore (rappresentante lo 0,03% del totale dell’indebitamento), e chiedendo che il tribunale operi il cram down con riferimento ad un ingente credito erariale (tale da consentire il raggiungimento della percentuale di legge del 60% del totale dei crediti), avendo proposto il pagamento del 3% dei crediti tributari. La società ricorrente fonda la sua richiesta sul presupposto che tale proposta, pur di contenuto assai ridotto, consenta una soddisfazione delle ragioni del creditore tributario comunque superiore rispetto a quella preventivabile dalla liquidazione giudiziale.
Il Tribunale di Salerno osserva, preliminarmente, che la verifica cui è chiamato il giudice ai fini dell’omologazione dell’accordo non si limita ad un mero sindacato formale, ma ricomprende anche un controllo di legalità sostanziale. Il contenuto e le implicazioni di tale verifica vengono spiegati, innanzi tutto, richiamando, con ampia citazione, il precedente rappresentato da Trib. Lecce 17 ottobre 2022[1], in cui, da un lato, s’individua la ratio nella disposizione sul cram down dei crediti tributari e previdenziali nella necessità di superare l’inerzia ingiustificata delle amministrazioni e degli enti, e non nel “comprimere i diritti” dell’erario e degli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie – e, dall’altro lato, si sottolinea come l’omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti possa finire per ledere principi basilari del diritto concorsuale, giacché “comporta deroghe molto rilevanti, in caso di successivo fallimento, al regime generale dell’insolvenza e in particolare al principio della par condicio creditorum”.
La motivazione della decisione in commento prosegue esaminando la previsione di soddisfazione prevista per i crediti oggetto del preteso cram down. Richiamato, in punto di fatto, che la proposta del debitore era del 3% del valore nominale dei crediti, il tribunale afferma che una tale percentuale non assicura utilità effettiva, e, di conseguenza, posto che una percentuale cosi ridotta non può qualificarsi in alcun modo satisfattiva, nemmeno può legittimamente farsi alcuna comparazione circa la convenienza; in altri termini, se la proposta è irrisoria, l’utilità prefigurata ai creditori istituzionali deve considerarsi nulla, e, se è nulla, nemmeno può compiersi un raffronto in termini di convenienza rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale.
Da ultimo, il tribunale critica il piano sotteso agli accordi osservando che, a fronte di intese raggiunte con un unico creditore, titolare di un credito del tutto esiguo, si prevede la cessione dell’azienda ad un promissario acquirente già identificato, ad un prezzo già determinato.
La decisione in commento affronta una pluralità di temi riguardanti gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Innanzi tutto, il tribunale, nel solco del citato precedente del Tribunale di Lecce, richiama la necessità di compiere, ai fini dell’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, un’ampia verifica, non limitata ai soli aspetti di regolarità formale, ma estesa al sindacato di legalità sostanziale.
Sul punto, possiamo convenire sull’ampiezza della verifica necessaria per pervenire all’omologazione. Che il tribunale non debba limitarsi ad uno scrutinio meramente formale, procedurale, ma debba compiere altresì un controllo di legittimità (o, se si preferisce, di legalità), non è certo seriamente contestabile.
Secondo la giurisprudenza e la dottrina formatesi nell’interpretazione della legge fallimentare, al fine di decidere se procedere o meno all’omologazione degli accordi, il tribunale s’impongono una serie di verifiche[2]: innanzi tutto, circa la sua competenza[3]; poi, in ordine alla sussistenza dei presupposti, soggettivo e oggettivo[4]; quindi riguardo alla completezza e regolarità della documentazione prescritta[5] (a corredo degli accordi); ancora, sul contenuto degli accordi di ristrutturazione dei debiti, sul raggiungimento della percentuale prevista dalla legge per l’ammissibilità dell’accesso agli accordi stessi e, infine, se siano state rispettate, in generale, le norme procedimentali[6], in particolare se sia decorso il termine di trenta giorni dalla data della pubblicazione (per la proposizione delle opposizioni) prima della celebrazione dell’udienza[7].
In particolare, il tribunale dovrà esaminare la legittimità della relazione dell’attestatore, sia sotto il profilo dalla verifica della completezza e logicità sia in ordine alla attuabilità del piano. In particolare, ciò significa che l’attuabilità del piano dev’essere non semplicemente possibile[8], ma deve presentare quanto meno un ragionevole grado di probabilità[9], o, più precisamente ancora un’elevata probabilità. Non può non sottolinearsi come tale valutazione da parte del tribunale debba essere particolarmente attenta; intorno ad essa si gioca la delicata partita della possibilità o meno di sottrarre alla revocatoria gli atti di esecuzione degli accordi, questione non a caso richiamata anche nella decisione che si commenta.
La migliore dottrina[10] ritiene che la fattibilità ovvero attuabilità dell’accordo rappresenti elemento costitutivo del diritto all’omologazione, e, come tale, deve essere accertato anche d’ufficio[11] dal tribunale. E su tale affermazione si può senz’altro convenire. Pertanto, il tribunale, essendo peritus peritorum, è facoltizzato a controllare, anche dal punto di vista tecnico, se le affermazioni dell’attestatore paiano corrette, complete e immuni, nell’argomentazione, da vizi logici, e dovrà conseguentemente denegare l’omologazione dell’accordo nel caso in cui ritenga le valutazioni dell’esperto viziate per illogicità, incompletezza, errori tecnici.
Che, dunque, il tribunale non debba limitarsi ad una verifica tanto solamente formale, quanto frettolosa ed anodina, è fuori discussione.
Ed è pure indiscusso quanto affermato nella decisione del Tribunale di Lecce in ordine alla possibile irrevocabilità dei pagamenti, delle garanzie e degli atti in genere posti in essere in esecuzione degli accordi omologati. L’omologazione ha appunto questo fine, di rendere irrevocabili gli atti esecutivi del piano degli accordi, e non potrebbe essere diversamente, giacché, altrimenti, gli accordi non potrebbero nemmeno essere raggiunti, perché nessuno negozierebbe, accetterebbe riduzioni, accorderebbe nuovo credito, ecc., se dovesse poi temere le azioni dei creditori estranei.
Il punto è, peraltro, che il sindacato di legittimità sostanziale deve svolgersi avuto riguardo ai principi e alle norme di diritto oggettivo, correttamente intese, giacché, diversamente, l’esito dello scrutinio non può che essere erroneo.
E così, passando alla seconda questione affrontata nella decisione, quella della soddisfazione minimale delle ragioni di credito e, strettamente connessa, quella della convenienza, non pare che il tribunale salernitano abbia correttamente interpretato i principi che regolano la materia.
Vi sarebbe molto da considerare in ordine al tema se negli accordi di ristrutturazione dei debiti debba ravvisarsi, come si ravvisa nel concordato preventivo, la causa del negozio nella soddisfazione dei creditori.
E’ probabile che la risposta debba essere negativa, posto che, mentre nella disciplina del concordato il debitore deve proporre ai creditori “un concordato che realizzi … il soddisfacimento dei creditori” (cfr. art. 84, comma 1, CCII)[12], nella disciplina degli accordi nessuna previsione di soddisfazione dei creditori è prevista, quanto meno nella figura ordinaria, salvo che per i creditori estranei (con i quali non è, tra l’altro, concluso alcun accordo).
Ma, in ogni caso, dato per scontato che, per l’operatività del cram down, negli accordi si debba prevedere una soddisfazione, almeno minimale, dei creditori istituzionali, il tema, non affrontato dalla decisione in commento, è che cosa s’intenda per soddisfazione minima.
È da anni dibattuta la questione dell’ammissibilità di piani e proposte concordatarie che prevedano la soddisfazione delle ragioni creditorie in misura esigua[13]. La riforma del 2015, con l’introduzione di soglie percentuali per il concordato liquidatorio (ma non per quello in continuità) così come, ancor prima, il principio di diritto affermato dalla pronunzia delle Sezioni Unite della Cassazione del 2013[14], secondo cui la “causa” del concordato preventivo è costituita dalla soddisfazione dei creditori in misura anche modesta, ma comunque apprezzabile, in un tempo ragionevole, hanno segnato la strada da percorrere, a valere anche per le procedure sovraindebitamentarie negoziali; peraltro, posti di fronte alla questione della misura minimale della soddisfazione dei creditori[15], non potevano fornire lo strumento di misurazione del caso concreto.
Così, successivamente, nella giurisprudenza di merito le soluzioni sono state le più disparate: si è affermato che la percentuale minima di soddisfazione dei creditori va commisurata nel 5%[16]; per l’inammissibilità di proposte concordatarie inferiori al 3% (esattamente del 2,775%), si è pronunziata altra giurisprudenza[17]; e, in senso contrario, in un precedente di legittimità, è stato affermato non essere possibile stabilire una percentuale minima, al di sotto della quale vada esclusa la sussistenza della causa concreta del concordato[18].
Insomma, deve escludersi l’ammissibilità di una proposta che non contempli una soddisfazione minima dei crediti, ma non è affatto chiaro che cosa debba intendersi per soddisfazione minima; con tutto ciò, deve senz’altro concludersi per l’inammissibilità di un piano ed una proposta che contemplino, per i crediti nella loro globalità, e quale che ne sia il rango, una semplice dilazione[19].
Ciò fermo, nel caso esaminato dalla decisione di Salerno, la questione, alla fine, è, a ben vedere, un’altra: posto che il tema è la convenienza per i creditori tributari e previdenziali, è preferibile ricevere la soddisfazione nella misura del 3% o dello 0%?
Questa la vera questione, che il tribunale ipotizza, salvo poi concludere per l’inammissibilità di operare una simile valutazione, sul presupposto che, nessuna soddisfazione (nel senso richiamato, che non può considerarsi satisfattiva una percentuale del 3%) essendo accordata ai creditori, nemmeno può compiersi una valutazione comparativa. Ma una percentuale del 3% è più conveniente di nessuna soddisfazione.
Ed è per questi motivi che, conclusivamente, la soluzione accolta dalla decisione in commento non può condividersi.
[1] In Il Caso.it, pubb. 22.11.2022.
[2] Cfr. G. Presti, L’art. 182 bis al primo vaglio giurisprudenziale, nota a Trib. Bari 21 novembre 2005, in Fall. 2006, 174. Trib. Benevento 8 febbraio 2017, in Massimario OCI, massima n. 01086 così elenca i controlli da eseguire: i) competenza; ii) presupposto oggettivo (individuato nella soggezione al fallimento); iii) requisiti di ammissibilità della domanda (attestazione, documentazione); iv) pubblicazione nel registro delle imprese; v) adesione del 60% dei creditori.
[3] Giusta la regola c.d. della Kompetenzkompetenz.
[4] P. Valensise, in AA.VV., La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. Nigro – M. Sandulli – V. Santoro, III, Torino, 2010, 2301; A. Paluchowski, L’accordo di ristrutturazione ed il controllo del tribunale nel giudizio di omologazione, in Fall. 2011, 100; L. Fazzi, Questioni in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti, nota a Trib. Roma 20 maggio 2010 (decr.), in Dir. fall., 2011, II, 366.
[5] P. Valensise, in AA.VV., La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 2301; V. Tripaldi, in Manuale di diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, a cura di G. Trisorio Liuzzi, Milano, 2011, 363; A. Paluchowski, L’accordo di ristrutturazione ed il controllo del tribunale nel giudizio di omologazione, cit., 101.
[6] Ad esempio, per quanto attiene alla pubblicazione degli accordi presso il registro delle imprese: P. Valensise, in AA.VV., La legge fallimentare dopo la riforma, cit., 2301.
[7] Nel senso che, in ogni caso, il tribunale non potrà provvedere per l’omologazione se non spirato il termine per le eventuali opposizioni, I. Pagni, in I presupposti La dichiarazione di fallimento Le soluzioni concordatarie, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore – A. Bassi, coordinato da G. Capo – F. De Santis – B. Meoli, I, Padova, 2010, 608; L. Girone, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Le altre procedure concorsuali Reati fallimentari Problematiche Comunitarie e trasversali Fallimento e Fisco, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto e coordinato da U. Apice, Torino, 2011, 536.
[8] Cfr. Trib. Roma 5 novembre 2009, in Banca, borsa, tit. cred. 2010, 731, che ha negato l’idoneità di un’attestazione che prevedeva l’erogazione di un finanziamento semplicemente come eventuale senza dar conto di alcuna certezza al riguardo.
[9] P. Quarticelli, Omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti e controllo giudiziale sull’attuabilità dell’accordo: orientamenti e prime divergenze giurisprudenziali, nota a Trib. Milano 10 novembre 2009 e Trib. Roma 5 novembre 2009, in Banca, borsa, tit. cred. 2010, 760, parla di un’attuabilità del piano “in prospettiva prognostica… quanto meno probabile”. A. Di Majo, in L. Ghia – C. Piccininni – F. Severini, Trattato delle procedure concorsuali, vol. IV, Torino, 697 parla di un controllo del tribunale circa l’attuabilità degli accordi che deve consistere in una valutazione di “serietà e ragionevolezza” (tra virgolette nel testo) della soluzione prospettata.
[10] I. Pagni, in I presupposti La dichiarazione di fallimento Le soluzioni concordatarie, in Trattato di diritto fallimentare, cit., 608; A. Didone, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis legge fallim.) (presupposti, procedimento ed effetti dell’anticipazione delle misure protettive dell’impresa in crisi), in Dir. fall. 2011, I, 22; F. Rolfi, Gli accordi di ristrutturazione: profili processuali e ricadute sostanziali, in Fall. 2011, 112.
[11] F. Rolfi, Gli accordi di ristrutturazione: profili processuali e ricadute sostanziali, cit., 112-113 osserva che nella decisione circa l’omologa degli accordi non può distinguersi tra eccezioni rilevabili d’ufficio ed eccezioni ad istanza di parte, rispetto alle quali possano verificarsi preclusioni o decadenza.
[12] Cfr. anche art. 160, primo comma, lett. a), l.fall., che dispone che il concordato che l’imprenditore in stato di crisi può proporre ai creditori può prevedere “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti”.
[13] Anteriormente alla sentenza Cass. Civ. n. 1521/2013, era frequente la citazione, tra coloro che sostenevano la tesi negativa, di una nota sentenza (estensore F. Di Marzio), i.e. Trib. Roma 16 aprile 2008, in Banca, borsa, tit. cred. 2009, 732 e in www.ilcaso.it, con nota di F. Macario, che dichiarò l’inammissibilità di una proposta concordataria che prevedeva il pagamento dei chirografari nella percentuale dello 0,03%; per la tesi secondo cui il concordato debba prevedere la soddisfazione dei creditori per una certa percentuale, minima, ma non irrisoria, cfr. pure Trib. Pesaro 13 novembre 2014, in www.ilcaso.it, (secondo cui una percentuale di soddisfazione dei chirografari ricompresa tra un massimo di 1,76% e un minimo di 1,49% sarebbe “evidentemente irrisoria e quindi non idonea a soddisfare le finalità della procedura concordataria”).
[14] Cass. Civ., SS.UU., 23 gennaio 2013, n. 1521.
[15] Per l’inesistenza di “una disciplina della percentuale minima”, cfr. A. Crivelli, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, diretto da F. Di Marzio, Milano, 2022, 297.
[16] Trib. Modena 3 settembre 2014, in www.ilcaso.it.
[17] Trib. Rimini 10 dicembre 2014, in www.ilcaso.it.
[18] Cass. Civ. 8 febbraio 2019, n. 3863, in One LEGALE https://onelegale.wolterskluwer.it/: “Non rientra nell’ambito della verifica della fattibilità, riservata al giudice, il sindacato riguardante l’aspetto pratico-economico della proposta di concordato preventivo e la convenienza della stessa, neppure in ordine al profilo della misura minimale del soddisfacimento dei crediti rappresentati, in quanto si tratta di valutazioni che sono riservate ai creditori, e non è possibile individuare una percentuale fissa minima al di sotto della quale la proposta concordataria debba ritenersi inadatta a perseguire la causa concreta cui la procedura è volta consistente nel consentire il superamento della condizione di crisi dell’imprenditore e nel riconoscere agli aventi diritto la realizzazione del credito vantato in tempi ragionevolmente contenuti, sia pure per una minima consistenza.” (massima ufficiale).
[19] Ancorché un margine di dubbio sembrava essere consentito dall’art. 7, comma 1, primo periodo, parte finale L. n. 3/2012, che, dopo aver affermato che il piano deve necessariamente prevedere il regolare pagamento dei crediti impignorabili, aggiunge che questo deve stabilire “scadenze e modalità di pagamento dei creditori …”, ove il riferimento alle “scadenze” apre forse la strada ad una lettura più liberale.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia