Accordi di ristrutturazione dei debiti, la nozione di creditori estranei e requisiti di validità dell’attestazione
di Carlo Trentini, Avvocato Scarica in PDFCassazione Civile, Sez. I, 15 maggio 2023, n. 13154 – Pres. M. Cristiano – Rel. L. Abete
Parole chiave: 1) Accordo di ristrutturazione dei debiti – Omologazione – Suddivisione dei creditori tra aderenti, “estranei contrattualizzati” ed “estranei puri” – Inammissibilità; 2) Accordo di ristrutturazione dei debiti – Attestazione – Mancata verifica dell’attuabilità dell’accordo con specifico riferimento ai creditori estranei, comunque denominati – Inammissibilità
Massime: “Nell’ambito di una procedura di accordi di ristrutturazione dei debiti, regolata dalla legge fallimentare, i creditori vanno suddivisi tra creditori aderenti e creditori non aderenti, essendo inammissibile l’introduzione di una terza categoria, intermedia, di creditori che abbiano raggiunti accordi di dilazione di pagamento con l’imprenditore, ma che non siano stati fatti oggetto di autenticazione e pubblicazione.
La relazione di attestazione rilasciata da un professionista indipendente, a norma dell’art. 182-bis l.fall., deve dare atto dell’attuabilità dell’accordo con particolare riguardo alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei, di talché è affetta da nullità insanabile la relazione che contenga un’attestazione che si sostanzi in “una valutazione complessiva di attuabilità” e non contenga la specifica verifica di idoneità dell’accordo per quanto riguarda indistintamente tutti i creditori estranei, senza discriminare all’interno dell’unitaria nozione”.
Riferimenti normativi: Legge fallimentare art. 182-bis
Caso e soluzione accolta
Contro la decisione della corte d’appello che aveva rigettato il reclamo avverso il decreto di diniego dell’omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti e la contestuale dichiarazione di fallimento viene proposto ricorso per cassazione, lamentandosi non avere, la corte di merito, adeguatamente valutato la prospettazione del ricorrente, che aveva suddiviso i creditori in aderenti, estranei puri ed estranei contrattualizzati. La Suprema Corte rigetta il ricorso negando potersi suddividere i creditori secondo la tripartizione proposta, dovendosi classificare tra gli estranei indifferenziatamente tutti i creditori non aderenti, e dichiarando insanabilmente nulla la relazione di attestazione che non aveva espressamente asseverato l’idoneità dell’accordo ad assicurare, in particolare, l’integrale soddisfazione di tutti i creditori estranei.
Commento Al fine di rendere più comprensibile la questione esaminata e risolta dalla Corte di Cassazione, va chiarito che, nel procedimento avanti il tribunale, l’istante aveva ripartito i creditori in tre distinti gruppi: i creditori aderenti (rappresentanti il 65.17% del totale del monte crediti), per i quali aveva provveduto alla autenticazione e alla pubblicazione dei relativi accordi; i “creditori estranei contrattualizzati” (complessivamente titolari del 33,70% dell’indebitamento), con i quali accordi (di riscadenzamento dei debiti) erano stati raggiunti, ma non autenticati né pubblicati (donde un’istanza di concessione di un congruo termine per la regolarizzazione e pubblicazione dei documenti contrattuali); ed, infine, i “creditori estranei puri”, con cui non era stato stipulato alcun accordo, e che rappresentavano soltanto l’1,5% del totale dei debiti.
La decisione della Corte di cassazione prende le mosse dalla constatazione che, per espresso riconoscimento dello stesso ricorrente, i creditori estranei contrattualizzati dovevano ricondursi al novero degli estranei, di talché doveva ritenersi radicalmente ed insanabilmente viziata l’attestazione priva della specifica assicurazione dell’idoneità dell’accordo ad assicurare, in particolare, l’integrale pagamento dei creditori estranei.
La corte di legittimità, poi, dichiara inammissibile l’ulteriore censura mossa nel ricorso in ordine al giudizio “contenutistico-valutativo” della relazione di attestazione, siccome giudizio di fatto, non riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Parimenti inammissibili vengono dichiarate le ulteriori censure, per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c.
Il ricorso viene pertanto rigettato.
La sentenza va senz’altro condivisa, sia nel suo tessuto motivazionale sia nel suo approdo conclusivo. Se un rilievo può ammettersi, è quello di non aver affrontato l’esame della nozione di creditori estranei, dando per scontata la classificazione – non necessariamente corretta – fornita dalla parte ricorrente. Ma, ad onor del vero, va aggiunto che non consta che la questione sia stata già esaminata dalla giurisprudenza; in letteratura, i contributi sono rari e alquanto stringati.
Quanto alla nozione di “creditori estranei”, va detto che le definizioni in termini negativi sono spesso inappaganti o quanto meno faticose, costringendo il lettore ad una spesso difficile ricostruzione a contrario.
Nel caso che ci occupa è peraltro difficile non partire da una elementare constatazione di segno negativo: sono creditori estranei tutti i creditori che non rientrano nel novero dei creditori aderenti[1]. E, quindi, in via di prima approssimazione, si definiscono estranei tutti quei creditori che non abbiano aderito agli accordi[2].
Se si vuole individuare una possibile distinzione (sostanzialmente irrilevante) all’interno del genus degli estranei, si può aggiungere che rientrano nel novero degli estranei sia i creditori (dichiaratamente) dissenzienti[3], sia, più semplicemente, tutti i creditori i quali non abbiano aderito agli accordi, sia perché non abbiano inteso farlo, anche se sia stata loro avanzata una proposta, sia per il semplice fatto di essere stati ignorati, e cioè di non essere stati contattati dall’imprenditore in stato di crisi[4].
Dal punto di vista cronologico, poi, rientrano certamente nel novero degli estranei sia i creditori aventi titolo anteriore agli accordi, sia quelli il cui credito sia sorto successivamente; è indifferente il titolo del loro credito, così come il tempo in cui questo si è formato; da questo angolo prospettico non vi è alcuna possibile rilevanza della loro collocazione temporale[5].
Ma sarebbe insufficiente e addirittura ingannevole la definizione di “estranei” che richiami esclusivamente la mancata conclusione di accordi proposti da – o comunque conclusi con – il debitore.
Anche nella vicenda processuale che ci occupa, parte ricorrente aveva, esattamente, appostato nel novero degli estranei quei creditori che avevano raggiunto un accordo con il debitore (nella specie, un accordo di riscadenzamento), senza che tale accordo fosse stato pubblicato nel registro delle imprese e depositato con la domanda di omologa. La ragione di una tale tassonomia è palese: per essere qualificati “aderenti” non è sufficiente che tra il debitore e i creditori sia stato raggiunto un accordo, è necessario che possa predicarsi un’altra condizione, vale a dire che l’accordo (o gli accordi) siano stati pubblicati (e, prima ancora, autenticati o comunque resi certi quanto alla proveneinza), e che, quindi, la domanda di omologazione della procedura si basi su accordi non solo raggiunti (ça va sans dire) ma, altresì, autenticati, depositati in tribunale, pubblicati al registro delle imprese.
Ne segue che, se pure il debitore abbia concluso con uno o più creditori un qualsiasi accordo (e quelli riguardanti dilazioni di pagamento sono frequenti nella procedura di accordi di ristrutturazione dei debiti), ma questo non sia stato ritualmente depositato (con la domanda di omologazione) e pubblicato (al registro delle imprese), quel creditore o quei creditori dovranno considerarsi “estranei”, e agli stessi dovrà riconoscersi la peculiare tutela dell’ordinamento, tanto in tema di contenuto dell’attestazione, quanto, a stare alla giurisprudenza più accorta, all’ampiezza dello scrutinio demandato al tribunale circa l’attuabilità dell’accordo, a presidio delle ragioni di creditori che subiscono, più che gli aderenti, le conseguenze potenzialmente dannose che derivano dall’omologazione degli accordi[6].
Conclusioni
La soluzione accolta dalla Corte di cassazione è senz’altro da condividere. La distinzione tra creditori aderenti e creditori estranei e la loro conseguente diversità di regime costituiscono veri e propri capisaldi dell’istituto. Una volta collocato uno o più creditori fra gli estranei, a tutti coloro che siano stati ricompresi in questo ceto vanno, indiscriminatamente, riconosciute le particolari garanzie che l’ordinamento loro appresta, sia per quanto attiene al trattamento da assicurare loro, sia, prima ancora, quanto al contenuto della relazione d’attestazione.
[1] Per brevità, parleremo della categoria impiegando il numero (grammaticale) plurale, a patto di tenere bene a mente che gli accordi possono essere raggiunti anche con un solo creditore, purché questo sia titolare almeno del 60% del totale del montecrediti (circa l’ammissibilità di accordi conclusi con un solo creditore, cfr. Trib. Ancona 12 novembre 2008, in www.ilcaso.it). Già la dottrina formatasi, alla fine del secolo scorso, in tema di concordato stragiudiziale osservava che poteva darsi un concordato raggiunto da due sole parti (il debitore ed un solo creditore), con tutto ciò senza che tale caratterizzazione comportasse il venir meno della natura plurilaterale del contratto, qualificazione tipica di tutti i contratti associativi: E. Frascaroli Santi, Il concordato stragiudiziale, Padova, 1984, 242-243. Per altro verso, si ricordi che è imprescindibile che l’accordo sia raggiunto almeno con un creditore: App. Milano 23 febbraio 2023, in www.ilcaso.it, ha dichiarato inammissibile la domanda di omologazione di accordi che si basava unicamente sull’istanza di considerare aderente, per cram down, l’Agenzia delle Entrate, senza che il debitore avesse raggiunto accordi con alcun creditore.
[2] V. Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010, 607.
[3] Compresi gli opponenti all’omologazione, ex art. 51 CCII: E. Staunovo-Polacco, in C. Pagliughi – E. Staunovo-Polacco – M.E. Pillon, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nel Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2023, 58.
[4] Questa summa divisio (tra estranei che non hanno inteso aderire e quelli con cui non sono in corso trattative) si rinviene – relativamente ad un procedimento ex art. 182-bis, comma 6, l.fall. – in Cass. Civ. 19 giugno 2018, n. 16161.
[5] B. Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis legge fallim.: natura, profili funzionali e limiti dell’opposizione degli estranei e dei terzi, in Dir. fall., 2012, I,, 19; E. Staunovo-Polacco, in C. Pagliughi – E. Staunovo-Polacco – M.E. Pillon, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nel Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2023, 58.
[6] Cfr. Cass. Civ. 8 maggio 2019, n. 12064, che sottolinea che, in sede di omologazione, il tribunale non deve limitarsi ad un controllo di legalità formale, ma deve compiere una verifica circa gli aspetti di legalità sostanziale, in particolare in ordine a “quelli inerenti la effettiva garanzia di soddisfacimento dei creditori estranei all’accordo”. In termini analoghi Trib. Bologna 28 giugno 2023, in www.ilcaso.it; Trib. Campobasso 13 marzo 2018, in Juris Data.
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