Accertamento in sede di legittimità dell’indispensabilità della prova ex art. 345 c.p.c.: la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. II, 30 settembre 2020, n. 20870, Pres. Di Virgilio – Est. Cosentino
[1] Appello civile – Preclusioni istruttorie – Nuovi documenti indispensabili – Decisione del giudice d’appello di non ammettere le prove – Sindacato della Corte di cassazione – Ammissibilità – Limiti (art. 345 c.p.c.)
Ai sensi dell’art. 345, co. 3, c.p.c. (nel testo anteriore alla modifica recata dal D.L. n. 83/2012, conv. in L. n. 134/2012) l’ammissibilità di documenti nuovi in appello richiede una valutazione circa l’indispensabilità della prova che deve essere effettuata dalla Corte di Cassazione, trattandosi di giudizio che non attiene al merito della decisione ma al rito, atteso che la corrispondente questione rileva ai fini dell’accertamento della preclusione processuale eventualmente formatasi in ordine all’ammissibilità di una richiesta istruttoria di parte. Ne consegue che, quando venga dedotta, in sede di legittimità, l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello, la Cassazione, chiamata ad accertare un error in procedendo, è giudice anche del fatto, ed è, quindi, tenuta a stabilire se si trattasse di prova indispensabile. Tale apprezzamento di indispensabilità viene svolto dalla Corte in astratto, ossia al solo fine di stabilire la idoneità teorica della prova ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione dei fatti di causa, senza alcuna assunzione di poteri cognitori di merito da parte della Suprema Corte, spettando pur sempre al giudice di merito, in sede di rinvio, l’apprezzamento in concreto delle inferenze desumibili dalla prova, ai fini della ricostruzione dei fatti di causa. (massima ufficiale)
CASO
[1] Una società immobiliare proponeva nei confronti dei coniugi acquirenti di un immobile domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di compravendita immobiliare stipulato con gli stessi. In sede di comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, i coniugi deducevano la nullità di tale contratto per violazione del divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c. In particolare, veniva affermata l’esistenza di un collegamento negoziale tra lo stesso e altri due contratti di compravendita relativi allo stesso immobile – contratti prodotti dai coniugi in sede di udienza di precisazione delle conclusioni -, dal quale emergeva come l’operazione complessiva fosse funzionale a far acquisire alla società immobiliare (il cui amministratore era creditore di uno dei due coniugi) la proprietà dell’immobile per il caso in cui il coniuge-debitore non fosse stato in grado di pagare il proprio debito.
Il Tribunale, rilevato come la questione di nullità fosse stata sollevata tardivamente e non fosse rilevabile d’ufficio, accoglieva la domanda dichiarando la risoluzione del contratto.
L’adita Corte d’Appello, pur affermando la rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto, disattendeva la relativa questione giudicando inammissibile, in quanto tardiva, la produzione dei documenti consacranti gli altri contratti, avvenuta soltanto all’udienza di precisazione delle conclusioni; conseguentemente, rigettava l’appello, confermando la decisione di primo grado.
Avverso tale decisione, i coniugi proponevano ricorso per cassazione di cui, in particolare, verranno esaminati due motivi. Col primo, riferito all’art. 360, n. 4), c.p.c., essi lamentavano la violazione degli artt. 112 e 183, 6°co., c.p.c., nella misura in cui la Corte d’Appello avrebbe errato nel giudicare inammissibile, in quanto effettuata all’udienza di precisazione delle conclusioni, la produzione dei documenti comprovanti gli ulteriori contratti di compravendita; secondo i ricorrenti, infatti, gli stessi avrebbero dovuto ritenersi comunque ammissibili, in quanto funzionali a provare la fondatezza dell’eccezione di nullità del contratto, sulla scorta dei principi affermati da Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242. Con il secondo motivo, parimenti riferito all’art. 360, n. 4), c.p.c., i ricorrenti lamentavano violazione dell’art. 345, 3°co., c.p.c., nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche intervenute con d.l. 22 giugno 2012, n. 83, per avere la Corte d’Appello errato, laddove ha ritenuto non valutabili i documenti tardivamente prodotti in primo grado, ancorché gli stessi dovessero trovare ingresso nel giudizio d’appello in quanto dotati del requisito della “indispensabilità” prescritto dalla norma invocata.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte disattende il primo motivo di ricorso sulla base della specificazione dei principi affermati dalla invocata pronuncia delle Sezioni Unite del 2014. Tale pronuncia – che, come noto, rappresenta una pietra miliare della riflessione, giurisprudenziale e non, in tema di nullità contrattuali e poteri di rilevazione ufficiosa delle stesse nel corso del giudizio -, ha infatti stabilito che le parti possono spiegare attività probatoria, in deroga al sistema delle preclusioni istruttorie, a sostegno della propria domanda di accertamento della nullità del contratto, solo laddove la proposizione di tale domanda consegua alla rilevazione ex officio della nullità; mentre tale attività resterebbe preclusa nel caso in cui – come avvenuto nella fattispecie in esame -, le parti vogliano proporre istanze istruttorie in deroga al sistema delle preclusioni processuali in assenza di una previa rilevazione ufficiosa della nullità.
Il secondo motivo di ricorso, viceversa, viene giudicato fondato. In particolare, la Cassazione precisa come, versandosi in ipotesi di error in procedendo, la stessa sia giudice del fatto e abbia, quindi, il potere di valutare l’indispensabilità della prova, non ai fini del merito bensì al fine di verificare l’ammissibilità della stessa agli effetti di cui all’art. 345 c.p.c.; ciò chiarito, e risolta positivamente la questione circa l’indispensabilità dei documenti comprovanti gli ulteriori contratti invocati allo scopo di dimostrare la violazione del divieto di patto commissorio dell’operazione compiuta, la Suprema Corte accoglie il motivo e cassa l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello affinché la stessa, preso atto dell’indispensabilità dei documenti de quibus, li valuti ai fini dell’accertamento della nullità contrattuale dedotta dai ricorrenti.
Si preannunzia che, in sede di analisi delle singole questioni coinvolte dalla pronuncia in commento, sarà esaminato esclusivamente il secondo motivo di ricorso per cassazione che si è riportato.
QUESTIONI
[1] La Corte di Cassazione, investita del motivo di ricorso denunciante la violazione dell’art. 345, 3°co., c.p.c., si è dunque interrogata su quali siano i propri poteri nel caso in cui, per l’appunto, il ricorrente si dolga della circostanza che la Corte d’Appello non abbia ammesso i documenti dallo stesso tardivamente prodotti, non ritenendoli indispensabili.
Si ricordi, infatti, che l’appello è disciplinato, dal nostro ordinamento processuale, quale giudizio sostanzialmente chiuso ai c.d. nova: per quanto di interesse nella presente sede, infatti, il richiamato 3°co. dell’art. 345 c.p.c. dispone che «non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio».
Tale dettato, a dire il vero, è la risultante delle modifiche intervenute con il menzionato d.l. n. 83/2012; il precedente testo della norma – applicabile, ratione temporis, al caso in esame -, prevedeva infatti che nuovi mezzi di prova e nuovi documenti potessero essere ammessi (e prodotti) anche nell’eventualità in cui il collegio li ritenesse «indispensabili ai fini della decisione della causa». La nozione di indispensabilità, come noto, ha generato notevoli incertezze fra gli operatori del diritto; senza addentrarci eccessivamente nell’esame della questione – che esulerebbe, inoltre, dal tema centrale del presente commento -, si può qui richiamare la nozione elaborata da Cass., sez. un., 4 maggio 2017, n. 10790, fatta propria e utilizzata anche dalla pronuncia in commento, secondo cui «nel giudizio di appello costituisce prova nuova indispensabile […] quella di per sé idonea a eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado» (per autorevoli commenti a tale pronuncia, si rinvia a C. Consolo, F. Godio, Un ambo delle Sezioni Unite sull’art. 345 (commi 2 e 3). Le prove nuove ammissibili perché indispensabili (per la doverosa ricerca della verità materiale) e le eccezioni (già svolte) rilevabili d’ufficio, in Corr. giur., 2017, 1406 ss.; E. Merlin, Indispensabilità delle prove e giudizio d’appello, in Riv. dir. proc., 2019, 553 ss.).
Definito il quadro normativo, è possibile tornare alla questione inerente ai poteri di cui è investita la Cassazione nel momento in cui debba valutare la violazione, in cui sia incorso il giudice di seconde cure, della previsione in parte qua dell’art. 345, 3°co., c.p.c.
Il vizio è senz’altro classificabile tra gli errores in procedendo, ossia tra le ipotesi di nullità della sentenza o del procedimento censurabili – come avvenuto nel caso di specie – tramite il motivo di cui all’art. 360, n. 4), c.p.c.: ed è noto come, in tali ipotesi, la Suprema Corte sia giudice anche del c.d. fatto processuale, ossia possa procedere al riesame degli atti processuali, a indagini e accertamenti in fatto nonché all’interpretazione e alla diretta valutazione delle risultanze processuali (sul tema, M. De Cristofaro, sub art. 360 c.p.c., in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, II, Milano, 2018, 1490). Sul punto, del tutto coerentemente, la giurisprudenza di legittimità aveva già precisato come la valutazione di indispensabilità della prova, funzionale ai fini di stabilire l’ammissibilità dei documenti nuovi in appello ex art. 345 c.p.c., «ben [possa] essere effettuata dalla Corte di cassazione, in quanto detto giudizio non attiene al merito della decisione ma al rito, atteso che la corrispondente questione rileva ai fini dell’accertamento della preclusione processuale eventualmente formatasi in ordine all’ammissibilità di una richiesta istruttoria di parte; con la conseguenza che, quando venga dedotta, in sede di legittimità, l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello, la Cassazione, chiamata ad accertare un error in pocedendo, è giudice anche del fatto, ed è, quindi, tenuta a stabilire se si tratti di prova indispensabile» (così, Cass., 25 gennaio 2016, n. 1277; Cass., 8 febbraio 2017, n. 3309).
In altri termini, la Cassazione può e deve valutare l’indispensabilità della prova nuova: ma ciò, beninteso, non ai fini del merito della controversia, bensì esclusivamente allo scopo di verificarne la sua ammissibilità in appello ex art. 345 c.p.c., ossia un profilo attinente al rito e coincidente con l’insussistenza, in relazione a detta attività istruttoria, di una preclusione processuale.
Ciò chiarito, i giudicanti sono allora passati a esaminare la questione se, nel caso di specie, e alla luce della nozione di indispensabilità poco sopra richiamata, i documenti tardivamente prodotti potessero essere ritenuti indispensabili e, in quanto tali, ammissibili in grado d’appello: quesito, questo, al quale il provvedimento in commento offre risposta positiva, considerato che l’indagine sulla dedotta nullità del contratto di compravendita immobiliare per violazione del divieto di patto commissorio presupponeva proprio l’esame di tali documenti medesimi, in quanto i contratti in essi consacrati, per tempistiche di stipulazione e rapporti intercorrenti tra le parti, rivelavano senz’altro una certa interferenza con il contratto oggetto del giudizio.
In definitiva, all’esito dell’esercizio dei suoi poteri di giudice del fatto a fronte di un error in procedendo, valutata l’indispensabilità dei nuovi documenti prodotti e, con essa, la loro ammissibilità in appello, la Cassazione ha accolto il motivo di gravame e cassato con rinvio la sentenza impugnata, contestualmente affermando il principio di diritto di cui alla massima riportata al principio del presente contributo.