19 Maggio 2020

Accertamento paternità naturale: utilizzabili campioni biologici detenuti dalla struttura ospedaliera

di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Civ. sez. III sentenza 05 maggio 2020 n.8459

Prove accertamento paternità naturale – trattamento dei dati personali

Art. 269 c.c. – Regolamento UE n. 679/2016

Non viola la normativa sulla privacy, l’utilizzo del materiale biologico detenuto dalla struttura ospedaliera e acquisito dal CTU nel giudizio per l’accertamento della paternità naturale.

E’ lecita la conservazione dei dati personali da parte dell’ente pubblico per il perseguimento di interessi pubblici prevalenti, tra i quali l’impiego giudiziario del campione biologico.

CASO

Un uomo agisce per far accertare dal tribunale il proprio status di figlio naturale. Nel corso del giudizio, il presunto padre muore e prosegue il giudizio il suo erede. Il tribunale accoglie la domanda dichiarando la paternità naturale, ma la sentenza è appellata dall’erede. La Corte territoriale di Venezia dichiarava inammissibili i motivi di gravame e confermava la decisione di primo grado.

La difesa in appello si basava sostanzialmente sull’eccezione di nullità della CTU, per la violazione delle disposizioni del D. Lgs. n. 196/2003 (Codice della Privacy) – applicabile ratione temporis, successivamente abrogato dal D. Lgs. 10 agosto 2018 n. 101 e riformulato nel testo – con conseguente illegittima utilizzazione dei dati personali, quali campioni di sostanze biologiche e dati genetici dagli stessi ricavati, appartenenti al padre defunto.

L’uomo ricorre per la Cassazione della sentenza di riconoscimento della paternità, reiterando le eccezioni di nullità ritenute inammissibili dal giudice di appello.

Nel ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 16 del Codice della Privacy, dell’art. 13 Cost. e dell’art. 8 CEDU.

I dati personali posti a fondamento dei risultati della CTU, non sarebbero stati utilizzabili nel processo civile, poiché illecitamente ceduti dalle strutture ospedaliere, stante l’espresso divieto di utilizzazione di prove illegittimamente acquisite in forza dell’art. 191 c.p.. La Cassazione ha respinto il ricorso ritenendo infondati i motivi.

SOLUZIONE

La sentenza della Cassazione chiarisce in primis che non può parlarsi di prove acquisite illegittimamente nel processo, ai sensi della legge penale.  La Corte ha escluso l’applicazione diretta o per analogia della norma processuale penale al giudizio civile, tenuto conto della diversa rilevanza degli interessi coinvolti nel giudizio penale e in quello civile, nel quale si utilizzano anche prove atipiche.

Secondo la Cassazione, non è fondato l’assunto secondo cui il CTU non avrebbe potuto acquisire presso le Aziende ospedaliere i vetrini con i campioni biologici, in quanto dati personali, e che alla data di cessazione del trattamento, avrebbero dovuto essere distrutti, e non potevano essere ceduti dalle strutture sanitarie.

L’art. 74 D. Lgs. n. 196/2003 definiva i limiti del diritto del titolare dei dati, attribuendo prevalenza all’utilizzo degli stessi per ragioni di giustizia, ossia quando sono direttamente connessi alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie.

Il Regolamento UE n. 679/2016, art. 9, par. 1 e 2, lett. f), prevede che il divieto di trattamento di alcuni dati personali, non si applichi nei casi in cui il trattamento si renda necessario “per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali”.

La sentenza in commento richiama il principio enunciato dalla stessa Corte a sezioni unite (Cass. Civ. n. 3034/2011) secondo cui, in tema di protezione dei dati personali, non costituisce violazione della relativa disciplina, il loro utilizzo attraverso lo svolgimento di attività processuale, quando i dati stessi siano raccolti e gestiti nell’ambito di un processo.

La conservazione del dato funzionale all’accesso alla giustizia.

Anche la conservazione del materiale biologico da parte della struttura sanitaria pubblica, rientra nelle operazioni di trattamento e può trovare giustificazione rispetto alle finalità istituzionali dell’ente pubblico, che ha obblighi di archiviazione dei dati per il perseguimento di interessi pubblici prevalenti, tra i quali l’impiego giudiziario del campione biologico, oppure l’utilizzo per fini scientifici o statistici.

Conseguentemente è stata giudicata infondata anche l’asserita violazione del divieto di “cessione” dei suddetti campioni in quanto dati personali.

A fronte della richiesta dell’ausiliario nominato dal Giudice, formulata in conformità ai compiti e alle attività al medesimo affidate, la consegna dei vetrini da parte delle Aziende ospedaliere costituiva – secondo la Cassazione – adempimento alle prescrizioni del provvedimento giudiziario di conferimento dell’incarico, con il quale il CTU veniva autorizzato anche ad acquisire informazioni presso terzi ex art. 194 c.p.c..

QUESTIONI: i dati genetici

Prima dell’entrata in vigore del GDPR, l’art. 90 del D.lgs n. 196 del 2003, prevedeva che il trattamento dei dati genetici, da chiunque effettuato, fosse consentito nei soli casi previsti da apposita autorizzazione rilasciata dal Garante sentito il Ministro della salute. L’autorizzazione individuava anche gli ulteriori elementi da includere nell’informativa ai sensi dell’articolo 13, con specificazione delle finalità perseguite e dei risultati conseguibili, anche in relazione alle notizie inattese conosciute per effetto del trattamento dei dati, e al diritto di opporsi al medesimo trattamento per motivi legittimi.

La materia è ora regolata dall’art. 4.1, n. 13) del Regolamento UE 2016/679 che definisce dati genetici “i dati personali relativi alle caratteristiche genetiche ereditarie o acquisite di una persona fisica che forniscono informazioni univoche sulla fisiologia o sulla salute di detta persona fisica, e che risultano in particolare dall’analisi di un campione biologico della persona fisica in questione”.

Attualmente, tutti di dati personali, compresi quelli sensibili e genetici sono disciplinati dall’art. 9 del GDPR, il quale ne vieta il trattamento se non nei casi di deroga espressamente previsti.

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