30 Aprile 2019

L’istanza di attribuzione ex art. 720 c.c. non costituisce un’autonoma domanda ma una mera modalità attuativa della divisione

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. II, 6 febbraio 2019, n. 3497, Pres. Matera – Est. Falaschi

[1] Divisione ereditaria – Formazione dello stato attivo dell’eredità – Non comoda divisibilità – Attribuzione del bene ex art. 720 c.c. – Domanda – Modalità attuativa della divisione – Effetti – Fattispecie. (Cod. civ., art. 720; Cod. proc. civ., artt. 329, 336).

Nel giudizio di divisione, l’istanza di attribuzione di un bene immobile indivisibile ex art. 720 c.c. costituisce una modalità attuativa della divisione, risolventesi nella mera specificazione della domanda di scioglimento della comunione, sicché, non essendo domanda ma eccezione, può essere formulata o essere oggetto di rinuncia anche in grado d’appello. (Nella specie, il giudice d’appello aveva invece ritenuto inammissibile la domanda di vendita proposta in secondo grado, in quanto quella di assegnazione avanzata in prime cure e accolta dal giudice non era stata fatta oggetto di impugnazione ed era perciò passata in giudicato).

CASO

[1] Il Tribunale di Treviso, accogliendo la domanda di accertamento della lesione di legittima proposta da due sorelle, accertava il diritto delle medesime di partecipare all’eredità in ragione di un sesto ciascuno e, pronunciando lo scioglimento della comunione ereditaria, assegnava ex art. 720 c.c. l’unico bene al fratello convenuto, ponendo a suo carico il pagamento del conguaglio.

Proponeva appello il convenuto, il quale dapprima richiedeva la riduzione del conguaglio e poi, in sede di precisazione delle conclusioni, presentava richiesta di vendita del bene precedentemente assegnato, secondo la disciplina prevista dal già richiamato art 720 c.c.

La Corte d’Appello di Venezia riduceva l’importo dei conguagli ma giudicava inammissibile la domanda di vendita formulata in sede di impugnazione: tale istanza veniva giudicata tardiva e inoltre, in mancanza di un’impugnazione rivolta contro il capo di sentenza con cui era stata disposta, quale modalità di divisione, l’assegnazione del bene, tale volontà non poteva essere liberamente modificata nel senso di richiedere la vendita.

Avverso tale sentenza il convenuto proponeva ricorso per cassazione mediante il quale, per quanto qui interessa, lamentava la violazione dell’art. 720 c.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto inammissibile la richiesta di vendita del bene, in luogo dell’originaria istanza di assegnazione, non costituendo siffatta istanza una domanda in senso proprio, bensì una mera modalità attuativa dello scioglimento della comunione, che come tale ben poteva essere avanzata anche in grado d’appello; in secondo luogo, il ricorrente denunciava la violazione degli artt. 329 e 336 c.p.c., in quanto non poteva essergli richiesto di impugnare la decisione di primo grado di assegnare il bene, trattandosi di semplice modalità attuativa dell’unica domanda di divisione, sulla quale non poteva essersi formato il giudicato, né poteva esservi soccombenza.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione dichiara la fondatezza delle censure proposte. Più precisamente, si chiarisce come l’istanza di attribuzione del bene ex art. 720 c.c. costituisca una mera modalità attuativa della divisione ereditaria, in quanto tale formulabile anche in appello; di più, non integrando essa una autonoma domanda, sulla stessa non potrà mai formarsi il giudicato, con la conseguenza per cui, al fine di ottenere la rinuncia alla richiesta di attribuzione precedentemente formulata a favore della vendita del bene indivisibile, non è necessario impugnare la sentenza di primo grado.

QUESTIONI

[1] La questione giuridica affrontata dalla Suprema Corte si sostanzia nell’identificazione dell’esatta natura giuridica da riconoscersi all’istanza di attribuzione del bene di cui all’art. 720 c.c., al fine di identificarne il regime processuale e, in particolare, l’assoggettamento del relativo esercizio alle preclusioni previste nel giudizio ordinario di cognizione: ciò, al fine di stabilire se l’iniziativa intrapresa dal ricorrente – il quale ha richiesto solo in sede d’appello la vendita del bene indivisibile in luogo dell’attribuzione originariamente domandata in prime cure – possa essere considerata o meno tempestiva.

Anzitutto conviene ricordare la disciplina racchiusa nell’art. 720 c.c. in esame, il quale prevede, per l’eventualità in cui nell’eredità vi siano immobili non comodamente divisibili, l’attribuzione per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno o più coeredi se questi ne facciano richiesta ovvero, laddove nessuno dei coeredi sia disponibile in tal senso, la vendita all’incanto.

Con riferimento a tale iniziativa, la Cassazione aderisce all’orientamento, da considerarsi assolutamente maggioritario, secondo cui la stessa integrerebbe una modalità attuativa della divisione avente le vesti di eccezione, idonea a veicolare la volontà del soggetto di porre fine allo stato di comunione evitando la vendita all’incanto ovvero l’attribuzione del bene ad altro coerede (in tal senso Cass., 17 aprile 2013, n. 9367; Cass., 14 maggio 2008, n. 12119; Cass., 2 giugno 1999, n. 5392; Cass., 1° marzo 1995, n. 2335; Cass., 28 gennaio 1988, n. 763; Cass., 28 gennaio 1984, n. 684; Cass., 23 giugno 1981, n. 4105; Cass., 17 maggio 1973, n. 1407).

Tale iniziativa processuale rientrerebbe inoltre nel potere dispositivo di parte istante, potendo conseguentemente formare oggetto di rinuncia anche tacita quando, proposta una prima volta, risulti superata da successive richieste incompatibili (ancora Cass., n. 2335/1995).

Dunque, se la richiesta di attribuzione del bene ex art. 720 c.c. non integra una vera e propria domanda, ma esercizio di un’eccezione connessa a un diritto (quello a ottenere la divisione del bene) già dedotto in giudizio sin dalla domanda introduttiva del processo di primo grado, ad essa non saranno applicabili i limiti preclusivi cui, nel giudizio di cognizione ordinario, sono assoggettate le nuove domande; inoltre, trattandosi di mera modalità attuativa di un diritto già dedotto in giudizio, la stessa non potrà neppure essere qualificata alla stregua di nuova eccezione, inammissibile in appello a norma dell’art. 345 c.p.c. All’opposto, tale iniziativa è da ritenere liberamente esperibile per tutto il corso del giudizio.

D’altra parte, la natura riconosciuta all’istanza di attribuzione ex art. 720 c.p.c. impedisce di riconoscere alla stessa l’idoneità di passare autonomamente in giudicato: essendo una mera modalità di attuazione del giudizio di divisione, essa diventerà immodificabile soltanto nel momento in cui il giudicato verrà a cadere sull’intera vicenda divisoria, con la conseguenza per cui, laddove il capo di domanda sulla divisione sia devoluto alla cognizione del giudice di appello, resterà aperta pure in tal sede la possibilità di esercitare l’eccezione in discorso, anche nel senso – come avvenuto nel caso di specie – di mutare la decisione precedentemente intrapresa, rinunciando tacitamente all’istanza in un primo momento avanzata.