Conflitto reale negativo di giurisdizione, parziale diversità di parti e di petitum formale
di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDFCass., sez. un, 24 gennaio 2019, n. 2083 Pres. Mammone – Rel. Doronzo
Giurisdizione civile – Giurisdizione ordinaria e amministrativa – Conflitto reale negativo di giurisdizione – Autorità giudiziaria amministrativa
(C.p.c., artt. 362, co. 2, n. 1)
[1] La denuncia del conflitto reale, positivo o negativo, di giurisdizione, a norma dell’art. 362 c.p.c. è ammissibile anche nel caso in cui fra i giudizi, svolti dinanzi a due diversi ordini giurisdizionali, vi sia una parziale diversità di parti e di “petitum” formale, allorché la prima non incida sulla sostanziale identità soggettiva e la seconda sia comunque posta in relazione alla medesima “causa petendi”.
[2] Ove la tutela giurisdizionale sia chiesta per fasi progressive, la decisione di merito emessa nel giudizio primario vale anche a fissare la giurisdizione del giudice che tale decisione ha emesso anche per i giudizi direttamente dipendenti. Ne consegue che, dopo che sia stata pronunciata condanna generica al risarcimento del danno, non rileva l’entrata in vigore di uno ius superveniens, determinante un nuovo criterio di riparto.
CASO
[1] Il Tar Abruzzo, sez. dist. Pescara, accoglieva i ricorsi proposti da M.P., dichiarando il suo diritto al pagamento delle somme dovute a titolo di lavoro straordinario, reperibilità e recupero festività relativi agli anni dal 1993 al 1998, nonché condannando la Gestione liquidatoria della AUSL locale e l’Azienda Usl al pagamento, in favore del ricorrente, delle somme richieste. La sentenza passava in giudicato.
M.P. – in sede di giudizio di ottemperanza – chiedeva che ai due debitori fosse ordinato di dare esecuzione alla sentenza, provvedendo, in particolare, al conteggio dei corrispettivi richiesti. Sebbene, infatti, la AUSL gli avesse corrisposto nella busta paga un compenso aggiuntivo per i titoli rivendicati, l’importo non corrispondeva a quanto a lui spettante in forza della pronuncia del Tribunale.
Il Tar Abruzzo dichiarava il difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario, rilevando che il ricorso non aveva ad oggetto l’ottemperanza della sentenza del giudice amministrativo, ma la proposizione di una nuova domanda di tipo cognitorio, sulla quale era venuta meno – per ius superveniens – la propria giurisdizione, trattandosi di materia rientrante nel pubblico impiego contrattualizzato. Anche questa sentenza passava in giudicato
M.P. proponeva, allora, ricorso per decreto ingiuntivo avanti il Tribunale di Pescara nei confronti della AUSL per ottener il pagamento di Euro 62.861,38, oltre accessori, a titolo di differenze degli emolumenti solo in parte riconosciuti dall’amministrazione. La debitrice proponeva opposizione e il Tribunale dichiarava inammissibile il ricorso per ingiunzione – così revocando il decreto – per difetto di giurisdizione, trattandosi di controversia relativa a prestazioni nascenti dal rapporto di lavoro anteriori al 30 giugno 1998 e rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo.
Contro la sentenza M.P. proponeva ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., co. 2, n. 1, per la risoluzione del conflitto negativo di giurisdizione. Resisteva con controricorso l’Azienda Unità Sanitaria Locale, che chiedeva il rigetto del ricorso.
SOLUZIONE
La Corte, decidendo sul conflitto, ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo.
QUESTIONI
[1] L’art. 362 c.p.c. sancisce la possibilità di ricorrere in cassazione per risolvere i conflitti positivi o negativi di giurisdizione (sul tema, Glendi, La giurisdizione nel quadro evolutivo di nuovi assetti ordinamentali, in Il giusto proc. civ., 2009, 337 ss.; Verde, Obsolescenza di norme processuali: la disciplina della giurisdizione, in Riv. dir. proc., 2014, 834). La denuncia del conflitto (con atto soggetto agli stessi requisiti formali del ricorso per cassazione) può essere fatta valere in ogni momento, anche se le decisioni sono state pronunciate solo in primo grado ed indipendentemente dal fatto che siano passate in giudicato (cfr. Cass. sez. un. 30 marzo 2017, n. 8246; Cass. sez. un. 17 febbraio 2017, n. 4247; Cass. sez. un. 15 novembre 2016, n. 23224; Cass. sez. un. 7 gennaio 2013, n. 150, in Foro amm. CDS, 2013, 62; Satta, Punzi, Diritto processuale civile, Padova, 2005, 10). Conseguentemente, tale rimedio non rappresenta un mezzo d’impugnazione, bensì, un modo di risoluzione del conflitto tra giudici, confermato anche dalla circostanza che sono portate innanzi alla Suprema Corte non una, ma entrambe le sentenze (Cass. sez. un. 14 novembre 2003, n. 17207; Cass. sez. un. 16 dicembre 1997, n. 12727; contra, Cass. sez. un. 14 novembre 2012, n. 19828).
Nel caso in esame, tanto il giudice ordinario, quanto il giudice amministrativo hanno negato con sentenza la propria giurisdizione sulla medesima controversia, pur senza sollevare d’ufficio il conflitto.
Sul punto va precisato che, con l’art. 59, legge 18 giugno 2009, n. 69, i conflitti di giurisdizione sono così risolti: a fronte di una sentenza che dichiari il proprio difetto di giurisdizione, la parte riassume la controversia davanti al giudice dichiarato fornito di giurisdizione, senza bisogno di proporre nuovamente la domanda. Il giudice adito in riassunzione non può più declinare la propria giurisdizione, ma solo (eventualmente) sollevare la questione di giurisdizione davanti alle Sezioni Unite. Questa disciplina, sostanzialmente destinata a far scomparire i conflitti negativi di giurisdizione, non copre, tuttavia, l’intero arco delle situazioni processuali determinate dalla declinatoria di giurisdizione, né ha abrogato l’art. 362 c.p.c. (cfr., Cass. sez. un. 21 settembre 2017, n. 21975; Cass. sez. un. 5 luglio 2013, n. 16883; Cass. sez. un. 24 gennaio 2013, n. 1714, in Corr. giur. 2013, 427; Cass. sez. un. 20 giugno 2012, n. 10139; Cass. sez. un. 5 maggio 2011, n. 9841 e Cass. sez. un. 10 marzo 2011, n. 5681). Essa interviene, infatti, nell’ipotesi in cui il secondo giudice non sottoponga la questione alle Sezioni Unite e declini, a sua volta, la propria giurisdizione. In tal caso, non ricorre un conflitto virtuale – risolvibile con istanza di regolamento preventivo, ex art. 41 c.p.c. – ma un conflitto reale negativo, denunciabile alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., co. 2, n. 1, (in dottrina, diffusamente, Bianchi, La questione di giurisdizione nell’ordinamento italiano (con particolare riguardo al processo tributario) ed in quello tedesco: un confronto in prospettiva di futuri interventi sull’art. 59 l. n. 69 del 2009, in Dir e prat. trib. 2016, 1951; Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano, 2015, 449).
Nel caso in esame, la Suprema Corte ravvisa identità della causa petendi, nonché del petitum mediato (cfr. Cass. sez. un. 29 agosto 2008, n. 21928, in Foro amm. CDS, 2008, 2935; Cass. sez. un. 23 marzo 2007, n. 7108). A nulla rileva che nella causa dinanzi al Tribunale ordinario di Pescara fossero esattamente determinate le somme pretese, mentre il giudizio promosso innanzi al Tar aveva ad oggetto la richiesta di quantificazione degli importi, la cui liquidazione operata dal datore di lavoro era stata ritenuta insufficiente dal ricorrente. Rimanevano comunque immutati, infatti, tanto la causa petendi – costituita dall’accertamento del diritto contenuto nella sentenza del Tar, che era il titolo in forza del quale il ricorrente aveva agito – che il petitum immediato, costituito dalla condanna al pagamento degli emolumenti che di quel diritto sono espressione.
Allo stesso modo, la Corte rileva come non vi sia una perfetta identità tra le parti (in quanto la Gestione liquidatoria della Usl risulta presente solo nel giudizio davanti al Tar). Tale parziale diversità, tuttavia, non incide sulla sostanziale identità soggettiva dei due giudizi, entrambi rivolti nei confronti della AUSL, quale ente datore di lavoro che si assume obbligato al pagamento degli emolumenti. Sul tema, infatti, la Corte si era già pronunciata in passato, sancendo l’ammissibilità del conflitto ex art. 362 c.p.c nel caso in cui fra i giudizi, svolti dinanzi a due diversi ordini giurisdizionali, vi sia una parziale diversità di parti e di petitum formale, allorchè la prima non incida sulla sostanziale identità soggettiva e la seconda sia, comunque, posta in relazione alla medesima causa petendi (Cass. sez. un. 29 agosto 2008, n. 21928, in I Contratti 2008, 2935; Cass. sez. un. 10 agosto 1996, n. 7408; Cass. 15 aprile 1982, n. 2287).
[2] Nel merito, le Sezioni Unite risolvono il conflitto con l’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo. Trova, infatti, applicazione il principio – più volte enunciato dalla Corte – secondo cui, ove la tutela giurisdizionale sia chiesta per fasi progressive, la decisione di merito emessa nel giudizio primario vale anche a fissare la giurisdizione del giudice che tale decisione ha emesso anche per i giudizi direttamente dipendenti. Ne consegue che, dopo che sia stata pronunciata condanna generica al risarcimento del danno, non rileva l’entrata in vigore di uno ius superveniens, determinante un nuovo criterio di riparto. Questo non spiega, infatti, alcun effetto di fronte ad un giudicato sostanziale, il quale, comportando che sul medesimo rapporto non abbiano a pronunciare giudici appartenenti ad ordini diversi di giurisdizione, prevale sull’applicabilità del diritto sopravvenuto (Cass. sez. un. 9 agosto 2010, nn. 16193 e 16195; Cass. sez. un. 11 febbraio 2002, n. 1946, in Giust. civ., 2002, I 967; cfr. anche Cass. sez. un. 28 maggio 2014, n.11912). Ne consegue che, con la prima sentenza, il giudice amministrativo ha affermato la sua giurisdizione che resta ferma anche per il successivo giudizio concernente la quantificazione del credito. In altri termini, il giudicato sostanziale emesso sul diritto fatto valere, ancorché conclusosi con una condanna generica, implica necessariamente la formazione del giudicato anche sulla giurisdizione che funge da presupposto, la quale rimane intangibile e insensibile alle vicende successive, come la privatizzazione del rapporto di lavoro. Né tale giudicato può dirsi a sua volta travolto dalla successiva pronuncia del Tar, la quale è stata emessa non già sulla domanda di condanna delle amministrazioni convenute al pagamento di quanto spettante al M.P., previa quantificazione del quantum, bensì sulla diversa questione della ammissibilità del giudizio di ottemperanza, nella specie esclusa dallo stesso Tar.