27 Novembre 2018

La tutela del marchio di rinomanza tra principi comunitari e interni

di Gian Luca Grossi - Studio Pirola Pennuto Zei & AssociatiMarcello Guerzoni - Studio Pirola Pennuto Zei & Associati Scarica in PDF

Corte di Cassazione Civile, Sez. I, ordinanza 8 giugno 2018, n. 26000, (dep. 17 ottobre 2018)

Parole chiave: marchi – registrazione marchio – requisiti registrazione – novità – contraffazione di marchio rinomato – rischio di confusione – rischio di associazione – nullità marchio – risarcimento danni

Il pregiudizio arrecato al carattere distintivo del marchio che gode di notorietà indicato anche con il termine di “diluizione”, si manifesta quando risulta indebolita la sua idoneità ad identificare i prodotti o servizi per i quali è stato registrato… La nozione di “vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio”, detto anche “parassitismo”, va invece ricollegato non al pregiudizio subito dal marchio quanto piuttosto al vantaggio tratto dal terzo dall’uso del segno identico o simile al marchio.

Disposizioni applicate: artt. 7, 12, 15, 20, 25 Codice proprietà intellettuale; art. 9 Reg. CE 207/2009.

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte si occupa del tema, invero assai dibattuto, della così detta “tutela del marchio” locuzione, dal significato piuttosto ampio, con la quale si comprendono sia i requisiti di registrazione, sia le specifiche garanzie e protezioni assicurate dall’ordinamento dall’anteriore annotazione, sia infine le conseguenze derivanti dalla carenza dei detti requisiti.

Giova subito precisare come la tutela del marchio sia una disciplina “mista”, in quanto come ben noto agli operatori che si occupano specificamente di marchi e brevetti, il nostro ordinamento ha recepito, segnatamente con il Codice della proprietà industriale (C.p.i.), gran parte dei principi dettati in ambito comunitario nelle Direttive, via via emanate, senza considerare peraltro le numerose pronunce in merito da parte della Corte di Giustizia citate nelle sentenze delle nostri Corti territoriali e dei Giudici di Legittimità.

Nella fattispecie una società titolare di un noto marchio aveva citato in giudizio la convenuta lamentando l’avvenuta registrazione ed utilizzazione da parte di quest’ultima di un marchio del tutto simile al proprio, chiedendo pertanto di accertarsi e dichiararsi  la contraffazione del proprio marchio di rinomanza con condanna al risarcimento nonché la dichiarazione di nullità del detto marchio.

Sia in primo grado sia in appello, ancorché la Corte d’Appello avesse correttamente rilevato come “la tutela dei marchi forti deve essere significativamente incisiva”, le domande dell’attrice erano state respinte, sulla base del rilievo che nel caso di specie fosse escluso il rischio di confusione con il marchio registrato, perché “quest’ultimo pur evocando sfacciatamente il simbolo … ne richiamava le fattezze impiegando lettere diverse e con un’impronta generale non graficamente sovrapponibile, con varianti che non potevano sfuggire ai clienti della rinomata casa” osservando inoltre che i prodotti della convenuta, non comparabili per qualità a quelli dell’attrice, non avrebbero potuto sfruttare la celebrità del relativo marchio. Si è arrivati così al vaglio in Cassazione ove la nota casa con il proprio ricorso ha lamentato con il primo motivo il rischio di confusione fra il proprio marchio e quello della convenuta (artt. 12 e 20 C.p.i.), e con il secondo la violazione dei principi nazionali e comunitari a tutela dei marchi noti così detti “di rinomanza”.

La Prima Sezione, investita del ricorso, osserva con riferimento al rischio confusorio che lo stesso Giudice di secondo grado aveva accertato come il marchio in questione fosse “forte”, onde soggetto alla più rigorosa tutela che “rende illegittime le variazioni anche originali che, comunque, lasciano intatto il nucleo ideologico che riassume l’attitudine individualizzante del segno, giacché anche lievi modificazioni, che il marchio debole deve invece tollerare, condurrebbero al risultato di pregiudicare il risultato conseguibile con l’uso del marchio“.

Si ricorda infatti come il rischio confusorio fra segni distintivi vadavalutato in via globale e sintetica (non già analitica), con riferimento alla” normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quella determinata categoria merceologica di prodotti” dovendo eseguirsi, di fatto, un raffronto fra il marchio che il consumatore guarda e il mero ricordo mnemonico dell’altro.

Prosegue la Corte osservando che il rischio di confusione deve essere l’effetto congiunto i) della somiglianza tra segni distintivi (fra il marchio noto è quello registrato posteriormente) e ii) dell’affinità o identità tra i prodotti o servizi contrassegnati. Vi è confusione quindi nella misura in cui vi sia interdipendenza tra analogia di segni e di prodotti distinti da quel dato marchio (in tal senso anche Cassazione n. 11031/2016 ivi citata).

L’esperienza commerciale ci insegna che più il marchio è “noto” ovvero “di rinomanza” più è insito il pericolo che altri operatori vogliano utilizzare segni simili (cd. fenomeno di appropriazione del marchio). La Prima Sezione osserva in proposito, correttamente, che “la presenza sul mercato di una grande quantità di prodotti coperti da segni simili potrebbe ledere il marchio”, poiché ne risulterebbe compromesso il carattere distintivo, “mettendo quindi in pericolo la sua funzione essenziale, che è di garantire ai consumatori la provenienza dei prodotti” (principio peraltro affermato anche dalla Corte di Giustizia con la nota sentenza, 10 aprile 2008, nella causa C 102/07).

Al fine di escludere un pericolo di confusione nei consumatori occorre pertanto analizzare in primo luogo se la “somiglianza non riguardi il nucleo ideologico caratterizzante il messaggio”; in secondo luogo “l’affinità tra i prodotti” ed infine “apprezzare il rischio di associazione”.

In relazione al secondo profilo di doglianza, consistente nella violazione delle tutele nazionali e comunitarie di cui gode il marchio di rinomanza, la Prima Sezione ricorda l’insegnamento, mutuato dal diritto comunitario e oggetto di recepimento negli artt. 12 e 20 del C.p.i., secondo il quale l’ordinamento deve intervenire con le proprie tutele “quando il marchio di impresa anteriore gode di notorietà …e l’uso del marchio d’impresa successivo senza giusto motivo trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o recherebbe pregiudizio allo stesso”.

In termini generali si ricorda come l’ordinamento interno, facendo applicazione dell’insegnamento di matrice comunitaria, punisce la contraffazione del marchio consistente in un indebito vantaggio tratto da altri, derivante dall’utilizzo di un segno distintivo altrui rinomato (cd agganciamento parassitario). Peraltro quando il marchio è rinomato l’ombrello della tutela è più ampio poiché comprende marchi riferibili a prodotti non simili ma anche a prodotti simili.

Ma vediamo quali sono le condizioni ai fini dell’attivazione della tutela.

Osserva la Prima Sezione che occorre innanzitutto che il contraffattore faccia un “uso ingiustificato del segno posteriore che trae (danno) o potrebbe trarre (pericolo) indebitamente vantaggio” dal marchio anteriore. Il vantaggio indebito consiste quindi nel profittare del carattere distintivo del marchio registrato anteriormente.

Com’è noto le violazioni contro le quali è assicurata la tutela da parte dell’ordinamento sono i) il pregiudizio al carattere distintivo, vale a dire l’indebolimento dell’idoneità a contraddistinguere i propri prodotti e/o servizi (cd. diluizione del marchio); ii) il pregiudizio alla notorietà, ossia quando risulta svilito il carattere attrattivo del marchio fra i consumatori (cd. corrosione); iii) il vantaggio indebito tratto dal terzo per effetto dell’uso dal segno identico o simile al marchio anteriore di rinomanza (cd. parassitismo). Precisa la Corte che “è sufficiente che ricorra anche uno solo di questi tre tipi di violazione perché l disposizione vada applicata.

Si rileva peraltro che in materia di marchi noti la tutela scatta indipendentemente dal fatto che vi sia o non vi sia un rischio di confusione per il pubblico. In punto di onere della prova, conformemente ai principi generali, esso spetterà al titolare del marchio anteriore il quale dovrà dimostrare che “l’uso del marchio posteriore trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà… o gli recherebbe pregiudizio” nei termini di una violazione attuale ed effettiva ovvero di un rischio serio che tale violazione si produca in futuro.

La Prima Sezione, sulla base dei principi enunciati, rilavata la indiscussa notorietà del marchio anteriore, ha così accolto il ricorso rinviando la causa al Giudice d’Appello.