31 Luglio 2018

L’inammissibilità dell’appello nelle cause inscindibili per il mancato rispetto dei termini perentori di integrazione del contraddittorio

di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. VI, 9 aprile 2018, n. 8639 – Pres. Di Virgilio – Rel. Valitutti

[1] Impugnazioni civili – Ricorso per cassazione – Inammissibilità dell’appello – Integrazione del contraddittorio – Termini perentori – Cause inscindibili (Cod. proc. civ., artt. 153, 307 e 331)

[1] Quando il giudice abbia pronunciato l’ordine di integrazione del contraddittorio in causa inscindibile e la parte onerata non vi abbia provveduto, ovvero vi abbia ottemperato solo parzialmente, evocando in giudizio soltanto alcuni dei litisconsorti pretermessi, non può essere assegnato un nuovo termine per il completamento dell’integrazione, che equivarrebbe alla concessione di una proroga del termine perentorio precedentemente fissato, vietata espressamente dall’art. 153 c.p.c.  A tale principio può derogarsi nella sola ipotesi in cui l’istanza di assegnazione di un nuovo termine, tempestivamente presentata prima della scadenza di quello già concesso, si fondi sull’esistenza, idoneamente comprovata, di un fatto non imputabile alla parte onerata o, comunque, risulti che la stessa ignori incolpevolmente la residenza dei soggetti nei cui confronti il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato.

CASO

[1] Con sentenza del 2005 il Tribunale di Roma rigettava la domanda di declaratoria di nullità – o, in subordine, di annullamento per errore –  del contratto di compravendita con il quale gli istanti, Tizio e Caio, acquistavano un immobile sito in Roma da Mevia e Sempronio.

Proponevano, pertanto, appello dinanzi alla Corte d’appello di Roma che veniva dichiarato inammissibile per il mancato rispetto, da parte degli appellanti, del termine perentorio di integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c. nei confronti degli eredi di Sempronio. Proponevano, quindi, ricorso per cassazione fondando le loro censure su tre motivi.

SOLUZIONE

[1] La sesta sezione della Suprema Corte rigetta il ricorso condannando i soccombenti alle spese del giudizio. In particolare rispetto ai primi due motivi gli Ermellini hanno ritenuto insussistente l’invocata violazione e falsa applicazione degli artt. 110, 305 e 331 c.p.c. La pronuncia di secondo grado doveva considerarsi immune da censure poiché, nel caso di specie, gli appellanti non avevano rispettato il termine perentorio ex art. 331 c.p.c per l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti da essi indicati come eredi. Inoltre, stante la perentorietà del termine, non era accoglibile la richiesta di proroga.

QUESTIONI

[1] La soluzione adottata dalla Suprema Corte con l’ordinanza in commento conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato (Cass., 27 febbraio 2017, n. 4954; Cass., 11 aprile 2016, n. 6982; Cass., 26 novembre 2008, n. 28223; Cass., 29 novembre 2004, n. 22411; Cass., 19 agosto 2003, n. 12179) sull’inammissibilità dell’appello per il mancato rispetto dei termini perentori di integrazione del contraddittorio.

L’art. 331 c.p.c., che disciplina le cause c.d. inscindibili (sulla nozione di inscindibilità di cause, cfr. Ricci, Il litisconsorzio nelle fasi di impugnazione, Milano, 2005; SINISI, Il litisconsorzio nelle fasi di gravame, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1982, 668 e 1030), contiene la regola processuale per la quale non può ammettersi un giudizio di impugnazione a cui partecipino solo alcune delle parti del precedente giudizio. Se, infatti, la sentenza non è impugnata nei confronti di tutte le parti, il giudice disporrà l’integrazione del contraddittorio, stabilendo il termine per notificare l’impugnazione e, se necessario, fisserà l’udienza di comparizione. Se tale ordine non viene osservato la conseguenza è quella dell’inammissibilità dell’impugnazione.

La giurisprudenza ha sempre riconosciuto, in base agli artt. 151, 153 e 331 c.p.c., la perentorietà del termine di cui all’art 331 c.p.c., che come tale non sostituibile nè prorogabile neppure su accordo delle parti, con la conseguente pronunzia di inammissibilità dell’impugnazione che non sia stata notificata alle parti necessarie (Cass., 27 marzo 2007, n. 7528; Cass., 22 giugno 2006, n. 14428; Cass., 5 luglio 2001, n. 9090, in Giur. It., 2002, 1616; Cass., 21 luglio 1967, n. 1906, Foro it., Rep. 1967, voce Impugnazioni civili, n. 74; Cass., 25 gennaio 1969, n. 226, Foro it., Rep. 1969, voce Impugnazioni civili, n. 117).

Ne consegue che l’inadempimento, anche solo parziale, dell’ordine di integrazione determina l’inammissibilità dell’impugnazione, rilevabile anche d’ufficio e non sanabile neppure dalla tardiva costituzione della parte nei cui confronti doveva essere integrato il contraddittorio (Cass., 13 gennaio 2014, n. 465) senza che la predetta sanzione possa trovare limitazioni o deroghe in relazione alle ragioni determinanti l’inosservanza del termine assegnato (cfr. Costantino, Contributo allo studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, 190 ss.; Cerino Canova, Impugnazioni – dir. proc. civ., in Enc. giur., Roma, 1993, XVI, 17 ss.; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1984, II, 84; Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1959-1962, II, 60 ss. che adotta la medesima interpretazione sostenendo che la mancata ottemperanza all’ordine di integrazione del contraddittorio nel termine all’uopo fissato comporti l’inammissibilità dell’impugnazione, senza possibilità di deroga alcuna).

Deve, pertanto, ribadirsi l’applicazione in tali circostanze del principio, più volte affermato dalla Corte, secondo cui quando il giudice abbia pronunziato l’ordine di integrazione del contraddittorio in causa inscindibile e la parte onerata non vi abbia provveduto (ovvero vi abbia ottemperato solo parzialmente, evocando in giudizio soltanto alcuni dei litisconsorti pretermessi), non è consentita l’assegnazione di un nuovo termine per il completamento della già disposta integrazione, poiché tale assegnazione equivarrebbe alla concessione di una proroga del termine perentorio precedentemente fissato, la quale e’ vietata espressamente dall’articolo 153 c.p.c.

A tale regola, desumibile dal combinato disposto degli articoli 331 e 153 co. 2 c.p.c., è possibile derogare solo quando l’istanza di assegnazione di un nuovo termine (presentata anteriormente alla scadenza di quello in un primo tempo concesso) si fondi sull’esistenza, idoneamente comprovata, di un fatto non imputabile alla parte onerata o, comunque, risulti che la stessa non sia stata in colpa con riferimento all’ignoranza della residenza dei soggetti nei cui confronti il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato (già prima dell’introduzione del secondo comma dell’art 153 c.p.c., per mezzo dell’art. 49, co. 19 della L. 69/2009, si esprimeva in questi termini Cass., 15 gennaio 2007, n. 637, in Foro it., 2007, I, 3507, con nota di F. De Angelis, Omessa integrazione del contraddittorio in cause inscindibili: verso una generale rimessione in termini; Cass., sez. un., 21 gennaio 2005, n. 1238, in Foro it., 2005, I, 2401, con nota adesiva di R. Caponi, Un passo delle sezioni unite della Cassazione verso la rimessione nei termini di impugnazione).

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