Sull’onere di disconoscimento delle ‘riproduzioni informatiche’
di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDFI. Il contenuto dell’onere ex art. 2712 c.c. negli orientamenti della giurisprudenza.
Come è noto, l’art. 2712 c.c. stabilisce che le riproduzioni fotografiche e cinematografiche (e, dopo il D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, anche quelle informatiche, e con la precisazione giurisprudenziale che l’elenco in ogni caso “non è tassativo”: così Trib. Roma, 3 giugno 2016, in www.dejure.it, che vi aggiunge i “messaggi spediti e ricevuti mediante posta elettronica ordinaria non certificata”), nonché le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose “formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.
Malgrado il legislatore del codice civile abbia utilizzato la stessa espressione (“disconoscimento”) adottata dal codice di rito nella disciplina della contestazione delle scritture private ex artt. 214 ss. c.p.c., l’onere di cui si discute non è assolvibile, come in quel diverso contesto, attraverso la semplice affermazione di non riconoscere l’autenticità della sottoscrizione Laddove infatti, in materia di disconoscimento della scrittura privata, è principio consolidato quello per cui devono ritenersi superflue formule sacramentali (da ultimo Cass., 22 gennaio 2018, n. 1537; Cass., 27 maggio 2016, n. 11048) e ciò che rileva e risulta sufficiente è che dal disconoscimento emerga la formale negazione dell’autenticità della sottoscrizione (Cass., 27 maggio 2016, n. 11048; Cass., 6 maggio 2016, n. 9255), la giurisprudenza ritiene invece che la contestazione delle riproduzioni informatiche non possa “limitarsi a formule di stile, clausole generiche, o ad un ‘mero disconoscimento’” (Cass., 19 gennaio 2018, n. 1250): il che, pur nella già richiamata coincidenza lessicale tra i due “disconoscimenti”, avvicina semmai agli effetti pratici la disciplina dettata dall’art. 2712 c.c. a quella prevista dall’art. 2719 c.c. in materia di disconoscimento delle copie fotografiche.
Nel contesto dell’art. 2719 c.c., infatti, si richiede una ricostruzione più impegnativa da parte del soggetto che procede alla contestazione rispetto a quella sufficiente a chi disconosce la scrittura privata, e, nella fattispecie, lo si onera di indicare in quali punti la copia costituisce un “falso” (Cass., 30 giugno 2014, n. 14804), ossia sia stata materialmente contraffatta nel suo originario contenuto, o, più semplicemente, non corrisponde integralmente all’originale non prodotto (ad esempio, perché ne riproduce soltanto alcune parti), e di offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che la scrittura presentava nella versione originale del documento (v. in tal senso Cass., 15 ottobre 2014, n. 21842, che ha ritenuto invalido il “generico ed apodittico disconoscimento delle fotocopie delle fatture”, tanto più che “la parte non aveva mai concretamente specificato i motivi del disconoscimento”).
I principi sopra esposti in materia di art. 2712 c.c. – ossia la necessità che il disconoscimento sia “chiaro, circostanziato ed esplicito” e si manifesti “nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta” – sono stati recentemente ribaditi dalla giurisprudenza, tra il resto, a proposito di
- registrazione su nastro magnetico di una conversazione tra le parti (Cass., 19 gennaio 2018, n. 1250; Cass., 1° marzo 2017, n. 5259;
- riproduzione fotografica di una “buca” nel manto ritenuta causa di un sinistro stradale (Cass., 30 novembre 2017, 28665);
- documento informatico privo di firma elettronica (Trib. Vicenza, 22 novembre 2016, in ilprocessotelematico.it);
- estratti conto prodotti dalla banca, quando non si tratti di copie fotografiche o fotostatiche di scritture originali esistenti (nel qual caso di applicherebbe l’art. 2719 c.c.), ma costituiscono “riproduzioni meccaniche di supporti magnetici, vale a dire della stampa di un’elaborazione computerizzata effettuata dal sistema contabile della banca” (Cass., 16 novembre 2016, n. 23389);
- riproduzione cinematografica che ritrae il dipendente mentre esegui lavori di riparazione del tetto della propria abitazione nel periodo di malattia (Cass., 21 settembre 2016, 18507).
Ciò che non risulta però univoco, approfondendo l’esame delle motivazioni delle suddette decisioni, è il punto di vista della giurisprudenza quanto alle modalità pratiche attraverso le quali deve estrinsecarsi il disconoscimento ex art. 2712 c.c. per sortire l’effetto processuale perseguito dalla parte nei cui confronti è stato prodotto il supporto, ossia l’esclusione del valore di “piena prova” dei fatti rappresentati (il che si spiega, forse, anche in ragione del fatto che, scorrendo i repertori, parrebbe statisticamente più facile rinvenire arresti che ritengono invalida la contestazione)
Per rimanere ai casi più recenti, la citata Cass., 1250/2018, in materia di registrazione fonografica della voce di una delle parti, ha infatti escluso la validità del disconoscimento operato tramite affermazione della “inutilizzabilità della predetta cassetta anche dal punto di vista fonico, assolutamente inattendibile come specificato dallo stesso c.t.u.”; in quell’occasione la Corte ha negato la sufficiente “specificità” della contestazione, che “non spiega perché l’audiocassetta sarebbe inattendibile; non vi si dice quali “altri” punti di vista, oltre quello fonico, la rendevano inattendibile; non si espone quali elementi ne paleserebbero la falsità”.
Cass., 30 novembre 2017, n. 28665, pur richiamandosi ai principio sopra ricordati, ha escluso la necessità del disconoscimento di una riproduzione fotografica che, pur mirando a dimostrare un fatto – la predetta “buca” – determinato nelle sue coordinate temporali e spaziali, sia tuttavia sfornita di riferimenti cronologici: nel caso di specie la fotografia attestava sì l’esistenza di un dissesto del manto stradale nel punto in cui si era verificato il sinistro, ma senza alcun riferimento da cui desumere che la buca fosse già presente nel giorno dell’incidente, e non fosse stata invece realizzata ad hoc dall’attore in data successiva, come sostenuto l’Amministrazione convenuta.
Il Tribunale di Vicenza nella citata decisione del 22 novembre 2016 ha rilevato come una copia cartacea di una pagina web tratta dalla rete sia già di per sé la riproduzione meccanica di un documento informatico originale, “per cui la stampa di un testo pubblicato su Internet può essere considerata una riproduzione di un documento, a prescindere da un suo specifico valore probatorio” e come tale ha “l’efficacia probatoria prevista dall’articolo 2712 c.c., nel senso che esso va ricompreso tra le riproduzioni fotografiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica (ed ora elettronica) di fatti e di cose, le quali formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”, e dunque “a fronte di un documento informatico privo di firma digitale, costituente comunque una rappresentazione meccanica (elettronica) di fatti o di cose, il disconoscimento, volto a rimuovere l’efficacia probatoria di detto documento, deve essere circostanziato e deve concernere la sua capacità rappresentativa della realtà e quindi la sua genuinità ed attendibilità”.
Cass., 21 settembre 2016, n. 18507 ha ritenuto inidonea, ai fini di cui all’art. 2712 c.c., la semplice negazione, da parte del lavoratore “filmato” nell’atto di adempiere ad attività di riparazione del tetto in un giorno in cui era assente dal lavoro per malattia, “della data e dell’ora del video”, non avendo egli proceduto ad altra difesa in grado di porre in discussione la “relazione di identità tra la realtà riprodotta” dalla ripresa video e “quella fattuale”
II. Una recente (e poco condivisibile) decisione in materia di art. 2712 c.c.
Sulla base della dichiarata adesione dei suddetti principi la Cassazione, con decisione n. 7595 del 28 marzo 2018, ha precisato che i dati risultanti dal cronotachigrafo digitale apposto in un autocarro – ossia di uno strumento (installato obbligatoriamente sui veicoli adibiti al trasporto di cose di peso complessivo superiore alle 3,5 tonnellate e su veicoli adibiti al trasporto di passeggeri con numero di persone, compreso il conducente, superiore a nove) idoneo a “salvare” i tempi e movimenti eseguiti dal veicolo attraverso un sistema di carte a microprocessore (smart card), cc.dd. carte tachigrafiche – “fanno piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, salvo il disconoscimento chiaro, circostanziato ed esplicito proveniente dalla controparte”.
Nel caso di specie, è stato ritenuto dalla Corte inidoneo ai fini di cui all’art. 2712 c.c. il disconoscimento operato tramite contestazione della pertinenza del rilievo, che, secondo la prospettazione di parte convenuta, si riferiva ad una manovra (la presunta invasione di una corsia di marcia) effettuata in un giorno differente – come dimostrato dall’indicazione di una “data diversa” sul disco – da quello nel quale era avvenuto l’incidente che aveva portato al decesso del congiunto degli attori.
La severità nell’apprezzamento – che parrebbe presupporre un onere per chi procede al disconoscimento ex art. 2712 c.c. di non limitarsi ad una contestazione che il dispositivo attesti il vero, ancorché chiara ed esplicita come quella effettuata nel caso di specie, ma di fornire una “circostanziata” versione alternativa a quella emergente dalla riproduzione – appare in controtendenza con il più morbido orientamento (sostenuto da ultimo da Cass., 1° marzo 2017, n. 5259 e in via di obiter dictum, in tema di ripresa audiovisiva, da Cass., 19 gennaio 2018, n. 1250) che riconosce invece la validità del disconoscimento, in materia di registrazioni telefoniche su nastro magnetico, anche in caso di mera “contestazione che la conversazione sia realmente avvenuta e che abbia avuto il tenore risultante dal nastro”.
Sostenere che la manovra sulla quale il giudice del merito ha fondato la decisione non è quella “incriminata”, perché avvenuta in un diverso momento cronologico, è censura che appare sufficientemente “specifica”, nonché basata sull’“allegazione di un elemento [n.d.A.: la data appunto] attestante la non corrispondenza tra la realtà fattuale” accertata dalla sentenza “e la realtà riprodotta” dalla prova, e il giudizio di difetto di specificità non pare coordinarsi con la giurisprudenza che, nell’applicazione della medesima norma, ritiene invece sufficiente la semplice affermazione che la riproduzione è inveritiera.
Non convince, infine, l’affermazione in sentenza per cui il valido disconoscimento del supporto è “idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandol[o] a presunzione semplice”: secondo la sentenza, in altre parole, l’effetto del disconoscimento effettuato con le modalità prescritte (ossia “chiaro, circostanziato ed esplicito”) è la retrocessione del valore persuasivo della riproduzione da prova libera sottoposta al prudente apprezzamento del giudice ex art. 116 c.p.c. a “presunzione semplice” (e pertanto inidonea a fondare di per sé la decisione del giudice, ma “ammissibile” ex art. 2729 c.c. soltanto se accompagnata da altra presunzione “grave, precisa e concordante”)
La conclusione appare difficilmente compatibile con il tenore lettera dell’art. 2712 c.c., che effettivamente prevede una retrocessione ma da un diverso valore persuasivo iniziale (lo status di prova piena) e, significativamente, si astiene dall’indicare il valore finale, il che induce a ritenere che il supporto informatico ritualmente disconosciuto, a differenza di quanto ritenuto dalla Cassazione, non costituisca una presunzione semplice ma abbia al valore “zero”.
Lo conferma un argomento sistematico (l’irrilevanza processuale della scrittura privata oggetto di tempestivo disconoscimento, a cui non faccia seguito il vittorioso esperimento del giudizio di verificazione e dunque la prova dell’autenticità della prova infondatamente disconosciuta) e l’osservazione contenuta nella Relazione al codice civile, par. 1110, che precisa come il disconoscimento ex art. 2712 c.c. “non esclud[a] che la conformità possa essere altrimenti dimostrata con mezzi di prova precostituiti o con indagini od esperimento compiuti in corso di giudizio”: cioè con mezzi di prova diversi, sull’evidente presupposto che la riproduzione meccanica sia ormai inutilizzabile.