29 Maggio 2018

Il decreto di trasferimento e la cancellazione delle formalità pregiudizievoli

di Pasqualina Farina Scarica in PDF

Una volta riscontrato il regolare e tempestivo versamento del saldo ed escluse eventuali ipotesi di sospensione della vendita per ingiustizia del prezzo, il giudice è tenuto a trasferire l’immobile all’aggiudicatario, libero da vincoli pregiudizievoli, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 586 c.p.c. Tuttavia diverse sono le eccezioni, normativamente previste alla cd. efficacia purgativa della vendita forzata, che limitano la cancellazione dei vincoli.

Il carattere derivativo del trasferimento e la continuità delle trascrizioni.

Se da una prospettiva meramente processuale il decreto di trasferimento rappresenta il momento conclusivo della fase di liquidazione, volta a convertire in denaro l’immobile espropriato, da un punto di vista sostanziale tale provvedimento consente di attribuire all’aggiudicatario lo stesso diritto di cui è titolare il debitore, ex art. 2919 c.c. Con tale disposizione il legislatore ha difatti recepito il principio nemo plus juris in alium transferre potest quam ipse habet.

Il carattere derivativo del trasferimento coattivo impone, inoltre, il rispetto del principio della continuità delle trascrizioni ai sensi dell’art. 2650 c.c. Per questa ragione il giudice (ovvero il professionista delegato, in sede di predisposizione della bozza del decreto di trasferimento) deve verificare l’effettiva continuità delle trascrizioni e la titolarità, in capo al debitore, del diritto reale pignorato. Ecco allora che dalla documentazione depositata dal creditore procedente, ovvero integrata per ordine dello stesso giudice ai sensi dell’art. 567 c.p.c., deve risultare la trascrizione di un titolo di acquisto in favore dell’esecutato.

Tale verifica attiene ai profili formali e non sostanziali, avendo ad oggetto gli indici di appartenenza del bene desumibili dalle risultanze dei registri immobiliari. Per questa ragione, se il creditore procedente deve soltanto dimostrare la trascrizione di un titolo d’acquisto a favore del debitore, nonché l’assenza di trascrizioni a carico dello stesso debitore relative ad atti di disposizione del bene, precedenti la trascrizione del pignoramento, va escluso che il decreto di trasferimento contenga l’accertamento dell’appartenenza del bene al soggetto esecutato (Cass., 10 novembre 1993, n. 1109).

La cancellazione delle formalità pregiudizievoli.

Dopo la pronuncia del decreto di trasferimento, il vincolo del pignoramento ha esaurito la funzione di cui all’art. 2910 c.c.: la soddisfazione dei creditori non è più garantita dal bene ma dalla somma ricavata. Ai sensi dell’art. 586, comma 1, c.p.c. il decreto di trasferimento deve, pertanto, contenere l’ordine di cancellare le trascrizioni di pignoramenti ed iscrizioni ipotecarie (sempre che queste non riguardino obbligazioni assunte dall’aggiudicatario ex art. 508 c.p.c.) anche successive alla trascrizione del pignoramento.

Discorso in parte diverso va fatto per alcune formalità come il pignoramento successivo, la sentenza dichiarativa di fallimento ed il sequestro conservativo.

Quanto al pignoramento successivo, va detto che il decreto di trasferimento deve ordinare la cancellazione di tutti i pignoramenti che colpiscono il bene. È appena il caso di precisare che è indispensabile l’avvenuta riunione delle due procedure, perché in difetto il procedente e gli intervenuti nella seconda procedura sarebbero, di fatto, esclusi dalla fase distributiva. Si aggiunga che la riunione rimane preclusa in caso di trascrizione del pignoramento dopo l’annotazione del decreto di trasferimento nei registri immobiliari, con conseguente dichiarazione, da parte del giudice della seconda procedura, dell’inefficacia del pignoramento successivo, fermo restando che, in mancanza, l’aggiudicatario-acquirente può esperire il rimedio dell’opposizione 619 c.p.c.

Il giudice dell’esecuzione deve altresì ordinare la cancellazione della sentenza dichiarativa di fallimento trascritta dopo il pignoramento sempre che:

  1. i) il curatore sia subentrato nell’esecuzione ai sensi dell’art. 107, comma 6, l. fall.;
  2. ii) l’esecuzione sia iniziata o proseguita dal creditore fondiario ex 41 t.u.b. In quest’ultimo caso il giudice dell’esecuzione (ovvero il professionista delegato) è tenuto ad informare il giudice delegato (o il curatore) dell’ordine impartito per evitare un’inutile duplicazione delle attività processuali.

Laddove invece il curatore abbia scelto di proseguire nelle forme dell’esecuzione concorsuale la cancellazione del pignoramento e della sentenza dichiarativa di fallimento sono ordinate dal giudice delegato ex art. 108 l. fall. (sul punto, cfr., si vis, P. Farina, L’aggiudicazione nel sistema delle vendite forzate, Napoli 2012, 466 ss.).

Passando ad esaminare la problematica del sequestro conservativo, va detto che se il creditore ottiene sentenza di condanna esecutiva, il predetto vincolo si converte ex lege in pignoramento ex artt. 686, comma 1, c.p.c. e 156 disp. att. c.p.c. e, pertanto, va senz’altro, cancellato. Si aggiunga che, anche se al momento della pronuncia del decreto di trasferimento il sequestro non è stato ancora convertito, il vincolo va cancellato, con conseguente impossibilità di intraprendere un nuovo, autonomo pignoramento sull’immobile in danno del debitore: ed infatti, l’art. 158 disp. att. c.p.c. prevede il diritto del sequestrante di ricevere l’avviso ex art. 498 c.p.c. perché possa intervenire per far valere il suo credito. Da qui la conclusione che in forza della cancellazione del vincolo il sequestrante deve essere collocato nel progetto di distribuzione, salvo precisare che il giudice non può distribuirgli le somme che vanno, invece, accantonate ex artt. 499 e 510 c.p.c.

La pronuncia del decreto di trasferimento estingue, in forza dell’art. 2877, n. 7 c.c., l’ipoteca. L’effetto purgativo o estintivo della vendita riguarda ogni iscrizione ipotecaria indipendentemente dalla circostanza che il creditore iscritto sia intervenuto nella procedura. Nel tentativo di alleggerire i registri immobiliari da inutili formalità anche l’ipoteca successiva al pignoramento deve essere cancellata; nonostante il creditore non abbia titolo a concorrere al riparto (art. 2916 n. 1 c.c.), essa è definitivamente inopponibile all’acquirente dell’immobile espropriato (art. 2919 c.c.), se non addirittura estinta per effetto del decreto di trasferimento (art. 2878 n. 7 c.c.). Scopo della norma è quello di agevolare la commerciabilità del bene laddove l’acquirente intenda alienare o concedere ipoteca sull’immobile.

Stesso discorso deve essere fatto per i privilegi speciali gravanti sull’immobile, ancorché assistiti da diritto di seguito nei confronti degli aventi causa del debitore originario ex art. 2747 c.c. Anche in questo caso la norma di riferimento è l’art. 2916 c.c. nella parte in cui stabilisce che nella distribuzione del ricavato occorre tenere conto anche delle ipoteche e dei privilegi iscritti o sorti prima del pignoramento, e, pertanto, come evidente corrispettivo, le garanzie relative debbono estinguersi. Va altresì precisato che, in caso di privilegio speciale immobiliare, all’effetto estintivo operante ex lege, non segue di norma un ordine del giudice. Sul punto va segnalato infatti che, ad eccezione del privilegio ex art. 2775 bis c.c., la causa di prelazione opera indipendentemente dalla pubblicazione nei registri immobiliari (Astuni, Il trasferimento dell’immobile. Stabilità dell’aggiudicazione e della vendita, in AA.VV., Il processo di esecuzione, Padova 2011, 790 ss.).

Alcune eccezioni all’effetto purgativo della vendita forzata.

Una eccezione alla cancellazione delle iscrizioni ipotecarie è costituita dall’art. 508 c.p.c. e cioè dall’assunzione del debito da parte dell’aggiudicatario. In questa particolare fattispecie il creditore (titolare di una causa legittima di prelazione sull’immobile pignorato) conserva la propria garanzia, di grado anteriore rispetto a quella di altri eventuali creditori dell’aggiudicatario (o dell’assegnatario), con conseguente parziale rinuncia all’effetto purgativo della vendita forzata. L’accollo, inoltre, costituisce titolo esecutivo nei confronti dell’aggiudicatario, ma si esclude abbia la medesima efficacia anche contro l’assegnatario, stante il particolare carattere dell’ordinanza di assegnazione. Quanto alla patologia dell’accollo va segnalato che l’inadempimento dell’aggiudicatario (o dell’assegnatario) non travolge il trasferimento della titolarità del diritto, poiché il creditore può agire in executivis direttamente nei confronti del terzo acquirente (Bonsignori, Assegnazione forzata e distribuzione del ricavato, Milano 1962, 66).

L’accollo postula un’apposita istanza dell’aggiudicatario e può essere autorizzato dal giudice sempre che non risulti pregiudizievole ai creditori, né determini effetti dannosi per la procedura.

La concessione dell’autorizzazione determina l’esclusione dal piano di riparto del creditore ipotecario, che non può più pretendere dall’esecutato (ormai liberato) il saldo del debito. L’effetto liberatorio non può, dunque, essere ritardato o sospeso, né condizionato all’adempimento dell’aggiudicatario. Per la liberazione del debitore e dei garanti non rileva che il titolare del credito ipotecario sui beni espropriati sia diventato un soggetto diverso dal creditore originario, come ad es. il confideiussore solvens, per effetto della surrogazione disposta ex art. 1949 c.c. (Cass., 11 luglio 1967, n. 1712, in Banca, borsa e tit. cred., 1968, II, 165). In effetti, la tutela delle ragioni del creditore privilegiato rimane affidata proprio all’ipoteca che continua a gravare sull’immobile, sia pure nei limiti del prezzo che l’aggiudicatario è dispensato dal versare. Occorre, inoltre, avvertire che la medesima situazione si verifica quando l’immobile viene aggiudicato ad un creditore ipotecario poiché, anche in questo caso, il giudice autorizza il creditore-aggiudicatario a corrispondere solo parte della somma e a trattenere il resto. A ben guardare, tale istituto agevola sia il creditore privilegiato, sia l’aggiudicatario che, ex art. 508 c.p.c., è stato autorizzato dal giudice ad assumersi il debito, con le garanzie inerenti allo stesso. Il creditore ipotecario-aggiudicatario del bene ha comunque diritto alla limitazione, poiché opera una compensazione fra quanto dovuto per il credito garantito e la somma da versare alla procedura. In tal caso si ha una vera e propria compensazione fra credito vantato e prezzo di compravendita (Cass., 9 giugno 1990, n. 5641, in Il fall., 1990, 1108, che ammette la possibilità di prevedere la compensazione quale clausola accessoria alla aggiudicazione. In arg. v., pure, Cass., 5 novembre 1981, n. 5846, in Mass. Giust. civ., 1981, 11, secondo cui l’assunzione del debito, ex art. 508 c.p.c., non costituisce un atto esecutivo e pertanto, ancorché anteriore al provvedimento di assegnazione, non può trovare applicazione l’art. 2929 c.c.).

L’importo versato entra a far parte del progetto di distribuzione, con la conseguenza che il debito nei confronti del creditore-aggiudicatario può dirsi saldato solo dopo l’approvazione del progetto.

Per completezza occorre segnalare che in forza del quinto comma dell’art. 41, tub., l’aggiudicatario (o l’assegnatario) può, anche senza autorizzazione del giudice, subentrare nel contratto di finanziamento stipulato dal debitore purché, entro quindici giorni dal decreto previsto dall’art. 574 c.p.c. (ovvero dalla data dell’aggiudicazione o dell’assegnazione), corrisponda direttamente al creditore fondiario l’importo garantito da ipoteca ex art. 2855 c.c.

A ben guardare il quinto comma dell’art. 41 t.u.b. rappresenta un’eccezione all’operatività dell’art. 508 c.p.c., per il quale il subentro nel contratto di mutuo necessita sempre di una preventiva autorizzazione del giudice e del consenso dell’istituto di credito. Ciò in quanto il mutuo fondiario è un finanziamento speciale, a lungo ed a medio termine, oggetto di particolare tutela a causa delle finalità pubblicistiche che lo contraddistinguono. Da qui la scelta del legislatore di privilegiare la continuità della rateizzazione delle somme da pagare per il rimborso del mutuo, rinviando la risoluzione del contratto al momento della vendita del bene e, in particolare, alla scelta dell’acquirente di non subentrare nel contratto di mutuo. Nella vendita forzata degli immobili ipotecati a garanzia di un credito fondiario, l’aggiudicatario può dunque subentrare nel mutuo, a condizione che corrisponda all’istituto di credito le semestralità scadute, gli accessori e le spese. (In arg. v. Lodolini, L’esecuzione individuale del creditore fondiario, in Riv. es. forz., 2009, 548 ss.; Saletti, L’espropriazione per credito fondiario alla luce delle modifiche normative e dei primi orientamenti interpretativi in Riv. es. forz., 2000, 14 ss.

I vincoli non cancellabili.

Il decreto di trasferimento non può ordinare la cancellazione di trascrizioni diverse o assimilabili al pignoramento; permangono, pertanto, le trascrizioni delle domande giudiziali proposte da terzi per l’accertamento del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento. Si tratta di soluzione imposta dal fatto che la cancellazione di tali domande postula necessariamente il consenso delle parti interessate ovvero una sentenza passata in giudicato ex art. 2668 c.c. (Cass., 10 settembre 2003, n. 13212). A riprova della correttezza di tale assunto va considerato che il soggetto (che ha trascritto sull’immobile una domanda giudiziale) non ha diritto all’avviso ex art. 498 c.p.c.

L’effetto estintivo della vendita forzata non riguarda, inoltre, le obbligazioni propter rem che gravano sul bene (come quelle dovute ad oneri condominiali), le convenzioni matrimoniali, il verbale di assegnazione della casa coniugale al coniuge affidatario della prole, gli atti di asservimento urbanistici o cessioni di cubatura, il retratto successorio di cui all’art. 732 c.c.

Né al giudice è consentito ordinare la cancellazione della trascrizione del fondo patrimoniale ex art. 167 c.c. Sullo sfondo rimane la considerazione che tale cancellazione risulterebbe superflua: ed infatti, ai fini dell’opponibilità ai terzi rileva l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio e non la trascrizione che svolge una mera funzione di pubblicità notizia (Cass. 8 ottobre 2008, n. 24798). In ogni caso deve essere precisato che il vincolo del fondo patrimoniale costituisce un’ipotesi d’impignorabilità del bene, da dedurre ex 615 c.p.c.; pertanto, se il bene è stato venduto in difetto di opposizione, il suddetto vincolo è inidoneo a pregiudicare le ragioni dell’aggiudicatario (Cass. 22 gennaio 1991, n. 576).

I diritti di servitù, usufrutto, uso e abitazione trascritti dopo l’ipoteca, ma prima del pignoramento, sono inopponibili al creditore ipotecario che può far subastare la cosa coma libera. Ai sensi dell’art. 2812 c.c., tali diritti si estinguono in forza della espropriazione del fondo e i titolari sono ammessi a far valere le loro ragioni sul ricavato “con preferenza rispetto alle ipoteche iscritte posteriormente alla trascrizione dei diritti medesimi”. In seguito all’estinzione del diritto, costoro sono equiparati ai creditori privilegiati risultanti dai pubblici registri, sia perché vanno soddisfatti prima dei chirografari, sia perché hanno diritto a ricevere l’avviso ex art. 498 c.p.c. Sembra, quindi, legittima la cancellazione (o l’annotazione di inefficacia: art. 2655 c.c.) della trascrizione dei relativi diritti (Astuni, op.loc.cit.).