20 Febbraio 2018

Grado di affidabilità delle diverse consulenze tecniche d’ufficio e onere di motivazione

di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDF

Cass., 25 ottobre 2017, n. 25249. Pres. Amendola, Est. Scrima

Consulenza tecnica d’ufficio – Rinnovazione – Appello – Giudice – Motivazione (C.p.c., artt. 116, 132, 191, 195; disp. att. c.p.c., art. 118 )

Qualora nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche d’ufficio in tempi diversi con risultati difformi, il giudice può seguire il parere che ritiene più congruo o discostarsene, dando adeguata e specifica giustificazione del suo convincimento; in particolare, quando intenda uniformarsi alla seconda consulenza, non può limitarsi ad una adesione acritica ma deve giustificare la propria preferenza indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente, salvo che queste risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione.

CASO

Il tribunale, aderendo alle conclusioni contenute nella consulenza tecnica d’ufficio, accoglie la domanda proposta dall’attore e vòlta alla condanna del medico convenuto “per errori commessi nella diagnosi e nella prestazione delle conseguenti cure”.

In secondo grado, la sentenza è integralmente riformata sulla base degli opposti riscontri emergenti dalla nuova consulenza tecnica d’ufficio disposta dalla corte d’appello in rinnovazione della prima.

Avverso la decisione è proposto ricorso per cassazione, che lamenta l’erroneità della sentenza (i) per aver disposto il secondo giudice una nuova perizia senza fornire alcuna motivazione in ordine alle ragioni della scelta, tanto più che nessun “fatto patologico ulteriore” era subentrato rispetto a quelli già esaminati nella precedente consulenza; e (ii) per essersi fondata la decisione in via esclusiva sulle risultanze della seconda perizia, senza dare “adeguata motivazione in relazione alle ragioni per cui [la corte] ha escluso la fondatezza delle conclusioni cui era pervenuto il primo C.T.U.”.

SOLUZIONE

La Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato, osservando che rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la disposizione (o meno) di una consulenza tecnica e che, in concreto, la corte territoriale ha effettivamente motivato, “sia pure sinteticamente”, in ordine alla condivisibilità delle conclusioni del secondo consulente in rapporto alla c.t.u. resa in prima istanza.

QUESTIONE

La sentenza in commento conferma l’insindacabilità, in sede di legittimità, della valutazione del giudice del merito in ordine all’opportunità di disporre una consulenza tecnica d’ufficio ovvero di rinnovare l’indagine a seguito della ritenuta insufficienza della prima, laddove la decisione sia sorretta da adeguata motivazione.

La Cassazione aggiunge, in tema, che un limite è rappresentato dal caso in cui la decisione della controversia dipenda unicamente dalla risoluzione di una questione tecnica: poiché in tal caso, “i fatti da porre a base del giudizio non possono essere altrimenti provati ed accertati, non può il giudice da un lato non utilizzare le nozioni tecniche di comune conoscenza e neppure disporre (anche d’ufficio) indagini tecniche, e dall’altro respingere la domanda perché non risultano provati i fatti che avrebbero potuto accertarsi soltanto con l’impiego di conoscenze tecniche”, incorrendo altrimenti in un vizio di contraddittorietà della motivazione (Cass., 1° marzo 2007, n. 4853).

Neppure sussiste un onere di motivazione sulle ragioni che hanno indotto il giudice a recepire in sentenza le conclusioni del C.T.U.

Il giudice infatti, nell’aderire ai rilievi del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, delle osservazioni dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non è quindi necessario che si soffermi sulle contrarie deduzioni dei periti che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte (Cass., 2 febbraio 2015, n. 1815; Cass., 15 luglio 2014, n. 16149; Cass., 4 marzo 2011, n. 5229; Cass., 9 giugno 2010, n. 13433; orientamento non condiviso in dottrina da Comoglio, Le prove civili, Torino, 2010, 891 ss., secondo il quale il principio costituzionale del giusto processo impone al giudice, anche in caso di adesione ai rilievi del C.T.U., di fornire “particolareggiata motivazione” circa la condivisibilità delle sue conclusioni).

Per altro il peculiare caso di specie, ossia la riforma della sentenza di primo grado sulla base della totale discordanza della consulenza esperita in grado d’appello rispetto alle conclusioni del primo perito, era stato deciso in maniera conforme dalla Corte in precedenti occasioni.

Già con la decisione 30 ottobre 2009, n. 23063, citata anche in motivazione, la Cassazione aveva affermato che il giudice, il quale intenda uniformarsi alla seconda consulenza, deve giustificare la preferenza indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente qualora queste non risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione, e per questa ragione aveva cassato la sentenza di merito che aveva acriticamente recepito le risultanze della C.T.U. di secondo grado, senza fornire adeguata motivazione sugli elementi che escludevano la fondatezza delle conclusioni raggiunte dalla consulenza espletata avanti al tribunale.

In precedenza, Cass., 8 giugno 1996, n. 5345, nel ritenere inattendibile la scelta della corte d’appello di operare una media strettamente aritmetica tra i due divergenti esiti delle consulenze d’ufficio disposte in primo e secondo grado, ha precisato come il giudice del merito, qualora insoddisfatto della qualità della seconda perizia, sia tenuto a disporre una terza indagine tesa a gettare una risolutiva luce sulle questioni tecniche già insufficientemente esaminate dai primi due ausiliari (nella fattispecie, con ragionamento definito dalla Cassazione inammissibilmente “salomonico”, il giudice di secondo grado aveva individuato nella misura del 50% la stessa perdita della capacità lavorativa della ricorrente che il C.T.U. nominato dal tribunale aveva limitato a 25 punti percentuali e che l’ausiliare incaricato dallo stesso giudice dell’impugnazione aveva invece elevato a 75).

Si osserva infine che, ancorché la sentenza non si soffermi sul punto, gli orientamenti confermati dalla Cassazione (ossia, in estrema sintesi, l’insindacabilità avanti alla Corte della scelta di disporre o meno una C.T.U. e l’insufficienza di un vero e proprio onere di argomentare la condivisibilità delle conclusioni tecniche del perito, laddove le censure dei consulenti di parte siano state congruamente esaminate nella versione definitiva della perizia d’ufficio) trovano un argomento in più nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 5 c.p.c., e, in particolare, nella restrittiva interpretazione della norma adottata dalle sezioni unite con la decisione n. 8053 del 7 aprile 2014.

E’ noto infatti che il legislatore del 2012 ha eliminato il motivo di cassazione fondato sull’omessa, insufficiente ovvero contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostituendovi il nuovo motivo (in realtà sostanzialmente coincidente con la formulazione del n. 5 introdotta dalla “controriforma” del 1950) che permette la censurabilità della decisione qualora il giudice abbia “omesso” l'”esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Le sezioni unite hanno confermato l’“esplicita scelta” dei legislatore – in realtà emergente anche dai lavori preparatori – “di ridurre al minimo costituzionale il sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità”, e conseguentemente hanno ritenuto che il vizio di motivazione sia ancora censurabile soltanto in caso di motivazione radicalmente “omessa”, “apparente”, o affetta da “manifesta e irriducibile contraddittorietà”, tale da “non permettere” neppure “di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum“.

E in tale ristretta classe di ipotesi non appare rientrare il caso, integrato nel caso di specie, in cui, pur mancando in sentenza l’esplicitazione del percorso logico-giuridico che ha condotto il giudice a ritenere maggiormente attendibili le conclusioni del secondo perito rispetto agli opposti rilievi del primo consulente, la sentenza d’appello abbia motivato sul punto (almeno) per relationem richiamando l'”esame critico”, contenuto nella perizia d’ufficio, delle conclusioni della C.T.U. esperita in primo grado.

Va infine chiarito che una pur acritica adesione del giudice del merito alla seconda C.T.U. non costituisce un vizio censurabile in cassazione, risultando difficilmente riconducibile la pur sintetica preferenza accordata alla seconda perizia ai casi (restrittivamente individuati dalla giurisprudenza cui si è fatto cenno) di radicale omissione della motivazione, e apparendo estranea al tema in esame la diversa fattispecie, presa in considerazione dall’attuale motivo n. 5 dell’art. 360 c.p.c, di “omesso esame” relativamente ad un fatto della controversia.

Il ricorrente infatti, nel dolersi della carente illustrazione delle ragioni che hanno persuaso il giudice a fondare la decisione sui riscontri della seconda consulenza, non lamenterebbe un “omesso esame” del fatto tecnicamente valutato dal C.T.U., ma, indirettamente, il “cattivo esame” del medesimo fatto da parte del giudicante, estrinsecatosi nell’adesione ad una delle due perizie d’ufficio esperite (e, nella percezione del ricorrente, a quella meno condivisibile): censura che attiene tuttavia al diverso profilo delle modalità di esercizio del prudente apprezzamento ai sensi dell’art. 116 c.p.c, che la Cassazione, ancora recentemente, ha “decisamente escluso” possa essere veicolata nel nuovo motivo n. 5 (e, tutt’al più, può rientrare nel motivo n. 3 tramite l’evidenziazione che il giudice “ha mal sussunto la vicenda sotto la norma che ha applicato, perché tale norma non sarebbe stata applicabile se la ricostruzione fosse stata quella esatta”: Cass., 10 giugno 2016, n. 11892).

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