24 Ottobre 2017

Compensi professionali dell’avvocato e “zone d’ombra” del foro del consumatore

di Mattia Polizzi Scarica in PDF

Cass., Sez. VI, ord. 9 giugno 2017, n. 14514

Liquidazione compensi avvocato – Opposizione a decreto ingiuntivo – Foro del consumatore – Società in accomandita semplice – Esclusione (Cod. proc. civ., art. 47, 633, 637; cod. civ., art. 1469 bis ss.; D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, c.d. codice del consumo, art. 3, 33)

[1] La regola del foro esclusivo del consumatore non trova applicazione nel caso di giudizio avente ad oggetto i compensi per l’attività svolta da un avvocato in favore del socio accomandatario di una S.a.s. qualora l’attività forense abbia riguardato l’attività imprenditoriale e commerciale del cliente. 

CASO

[1] Il provvedimento è già stato pubblicato in questo Settimanale, nel numero del 12 settembre 2017, con nota di F. Bontatibus, Il foro competente per la liquidazione di onorari di avvocato..

Il socio accomandatario di una S.a.s. propone regolamento di competenza ai sensi dell’art. 47 c.p.c. avverso un’ordinanza del Tribunale di Siena; con tale ordinanza il giudice a quo rigettava l’eccezione di incompetenza territoriale mossa dal socio medesimo nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dalla controparte, un avvocato che aveva svolto prestazioni professionali in favore del ricorrente. Reputa quest’ultimo che nel giudizio di merito sia stata violata la regola del foro esclusivo del consumatore che, come noto, dispone che il giudice territorialmente competente per le controversie aventi ad oggetto rapporti cc.dd. business-to-consumer sia quello del luogo di residenza o di domicilio del consumatore (cfr. art. 33, co. 2, lett. u) cod. cons.), in un’ottica di tutela della parte debole del rapporto contrattuale.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione, richiamando il proprio orientamento consolidato, rigetta il ricorso, affermando la non applicabilità della disciplina consumeristica: ciò in quanto il ricorrente non aveva ricevuto le prestazioni professionali del resistente in qualità di consumatore, ma – come affermato nel provvedimento impugnato – quale “persona fisica destinataria di cartelle di pagamento ricevute in qualità di socio di società di persone”. Risulta dunque applicabile, nella soluzione offerta dalla Suprema Corte, la norma di cui all’art. 637 c.p.c., che consente al professionista titolare di crediti ex art. 633, co. 2, n. 2, c.p.c. di proporre ricorso per decreto ingiuntivo al giudice del luogo ove è stata decisa la causa alla quale il credito si riferisce (co. 2) ovvero all’Ufficio del luogo ove si trova il Consiglio dell’Ordine di appartenenza (co. 3).

QUESTIONI

[1] La pronuncia in esame è espressione di un trend ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in forza del quale “[…] non trovano applicazione le regole sul foro del consumatore ove la prestazione professionale [dell’avvocato, n.d.a.] sia stata resa in un giudizio inerente l’attività imprenditoriale e professionale svolta dal cliente” (così Cass., Sez. VI, 19 gennaio 2016, n. 780; in senso conforme si v., ex pluribus, Cass., Sez. VI, 19 luglio 2017, n. 17848, in Diritto & Giustizia, 2017, 124, p. 47, con nota di R. Villani, Cass., Sez. VI, 24 gennaio 2014, n. 1464, Cass., Sez. III, 9 giugno 2011, n. 12685, in Resp. civ. e prev., 2013, I, pp. 202 ss., con nota di C. E. Bruno, Tutela del consumatore e foro applicabile. Il terzo contratto).

Preliminarmente può ricordarsi che il c.d. codice del consumo, approvato con D.Lgs. 206/2005, è intervenuto nell’ordinamento italiano, anche sulla spinta del diritto comunitario, operando una decisa implementazione delle tutele offerte al consumatore – prima limitate agli artt. 1469 bis ss. c.c. – inteso quale parte debole del rapporto con il professionista: la asimmetria (informativa) tra le due posizioni giustifica un plesso di maggiori garanzie in favore del soggetto debole.

Peraltro, dette garanzie non sono limitate alla dimensione sostanziale del rapporto, ma comprendono altresì tutele aventi ad oggetto il rapporto processuale che può coinvolgere il consumatore: tra queste merita di essere segnalato, per i fini che più da vicino interessano, il disposto dell’art. 33, co. 2, lett. u), cod. cons., a norma del quale si presumono vessatorie (salva prova contraria) le clausole che hanno per oggetto o effetto quello di stabilire, per le eventuali controversie, un foro diverso da quello speciale del consumatore, ossia quello del luogo ove quest’ultimo risiede o ha il domicilio.

È pertanto essenziale capire quando si possa parlare di “consumatore o utente” e di “professionista”: il codice del consumo definisce il primo come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (così l’art. 3, co. 1, lett. a), cod. cons.); il secondo è, invece, “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario” (art. 3, co. 1, lett. c), cod. cons.).

Nonostante l’indubbio vantaggio rappresentato da una cristallizzazione positiva delle qualifiche anzidette, soprattutto in termini di certezza del diritto, non può negarsi che, nella pratica commerciale, le situazioni possano risultare maggiormente complesse, tanto da rendere la qualificazione di un soggetto come consumatore o professionista (e la conseguente estensione o meno della disciplina di maggior tutela) un’operazione decisamente ardua.

Tra queste ipotesi ben può annoverarsi quella oggetto della pronuncia in commento: il socio accomandatario raggiunto dal decreto ingiuntivo del legale potrebbe, in astratto, essere considerato come un consumatore, in quanto utente finale di un servizio, quello dell’avvocato, che vede il socio quale fruitore ultimo della “filiera-giustizia”.

Una tesi, questa, indubbiamente suggestiva, ma che non fa i conti – nell’opinione della Cassazione – con il dato testuale dell’art. 3, co. 1, lett. a), cod. cons., che fonda la definizione di consumatore non solo sul dato soggettivo, ossia l’essere il soggetto una persona fisica, ma anche su di un elemento oggettivo, ossia l’essere il credito sorto nell’ambito di un rapporto estraneo alla attività di impresa: in tal modo, la Suprema Corte ha la possibilità di superare le apparenze, ravvisando nella fattispecie concreta un rapporto business-to-business, con conseguente applicazione della disciplina ordinaria sulla competenza, a norma dell’art. 637 del codice di rito.

Una interpretazione, peraltro, non solo conforme alla ratio della norma, ma altresì idonea ad evitare strumentalizzazioni formali della disciplina a tutela del consumatore.

Per approfondimenti sul tema, oltre ai contributi già evidenziati supra, si v. A. Negro, L’accordo tra avvocato e cliente soggiace alla normativa a tutela del consumatore, in Resp. civ. e prev., 2015, IV, pp. 1102 ss.; G. Chinè, M. Fratini, A. Zoppini, Manuale di diritto civile, Nel Diritto Editore, 2015, pp. 1524 ss.