10 Ottobre 2017

Quando la lavorazione incide sulla non imponibilità della cessione UE

di Redazione Scarica in PDF

Nella sentenza Toridas, di cui alla causa C-386/16 del 26 luglio 2017, la Corte di giustizia ha dovuto stabilire non solo se l’esenzione prevista per le cessioni intraunionali di beni sia applicabile nella specifica vendita “a catena” presa in considerazione, ma anche se la lavorazione avente per oggetto i beni già oggetto di cessione possa incidere sul regime di esenzione ad essa applicabile.

Come altrove ricordato (http://www.ecnews.it/destinatario-finale-guida-trattamento-iva-della-triangolazione/), il caso esaminato è quello di una società lituana che cede i beni ad una società estone con consegna in Lituania, quindi con clausola “franco partenza”. A sua volta, la società acquirente vende i beni ai propri clienti, identificati ai fini IVA in altri Paesi membri, organizzando il relativo trasporto “a destino”.

Dai fatti di causa si desume che la società lituana, dopo la cessione, custodisce i beni in attesa del loro trasporto nel Paese di destinazione finale, che deve avvenire entro 30 giorni.

Nella situazione descritta, in cui il primo cedente assume la veste di depositario dei beni, la Corte ha ritenuto che la corrispondente cessione sia imponibile, con esenzione limitata alla seconda cessione, alla quale è riconducibile il trasporto intraunionale organizzato dalla società estone.

Come anticipato, con la pronuncia richiamata, l’ulteriore questione risolta dai giudici dell’Unione è se l’esenzione prevista per le cessioni intraunionali sia applicabile nel caso in cui i beni già oggetto della cessione iniziale siano lavorati su incarico del soggetto intermedio.

In proposito, viene osservato che l’articolo 138, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE, nel definire le condizioni sostanziali dell’esenzione, nulla prevede in ordine all’ipotesi in cui la lavorazione sia effettuata dopo la prima cessione, per cui – conclude la Corte – “una trasformazione dei beni, durante una catena di due successive cessioni, come quella di cui al procedimento principale, sulla base delle istruzioni dell’acquirente intermediario ed effettuata prima del trasporto verso lo Stato membro dell’acquirente finale, non incide sulle condizioni dell’eventuale esenzione della prima cessione, allorché tale trasformazione è posteriore alla prima cessione”.

Ai fini dell’individuazione delle condizioni sostanziali dell’esenzione, il riferimento giurisprudenziale è dato dalla sentenza Euro Tyre (causa C-21/16 del 9 febbraio 2017), in base alla quale è richiesto che il potere di disporre del bene come proprietario sia stato trasmesso all’acquirente e che il venditore provi che tale bene sia stato spedito o trasportato in altro Stato membro.

È, inoltre, indispensabile che il cessionario sia un soggetto passivo che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso da quello di partenza dei beni, laddove la nozione di soggetto passivo è quella definita dall’articolo 9, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE, che fa riferimento esclusivamente a chi svolge, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, quali che siano gli scopi e i risultati di tale attività. La soggettività passiva prescinde, quindi, sia dal possesso del numero di identificazione IVA, eventualmente specifico per la realizzazione di operazioni intracomunitarie, sia dall’iscrizione nel sistema VIES, che rappresentano requisiti soltanto formali, non idonei in quanto tali a porre in discussione il diritto del cedente a beneficiare dell’esenzione se ricorrono le predette condizioni sostanziali; sicché, in merito al profilo da ultimo considerato, non v’è dubbio che la disciplina italiana in materia di VIES sia tuttora illegittima sul piano unionale, anche dopo le semplificazioni introdotte dal D.Lgs. 175/2014 (http://www.ecnews.it/iscrizione-al-vies-irrilevante-ai-fini-dellesenzione-iva/).

L’irrilevanza della lavorazione sul trattamento di esenzione eventualmente applicabile alla prima cessione è coerente anche con la sentenza Fonderie 2A (causa C-446/13 del 2 ottobre 2014), secondo cui, per attribuire la detassazione ad una operazione, deve sussistere un “nesso temporale e sostanziale sufficiente” tra la cessione e la spedizione.

Tale nesso manca se, come nel caso esaminato dalla pronuncia, la spedizione transfrontaliera è finalizzata in un primo tempo alla lavorazione, mentre s’intende realizzato quando i beni spediti all’acquirente sono conformi alle previsioni contrattuali.

Nella fattispecie dedotta in giudizio, una società italiana ha venduto pezzi metallici ad una società francese previa verniciatura effettuata, per conto della società italiana, da un’altra società francese.

Dato che, ai sensi dell’articolo 32 della Direttiva n. 20067112/CE, per le cessioni di beni con trasporto/spedizione rileva il luogo in cui il bene si trova nel momento iniziale del trasporto/spedizione a destinazione dell’acquirente, si tratta di stabilire se la spedizione delle parti metalliche a destinazione del cliente francese sia iniziata in Italia, quando il fornitore ha spedito i beni al terzista francese ai fini della verniciatura, oppure in Francia, quando le parti metalliche, una volta verniciate, sono state consegnate al cliente.

La Corte di giustizia ha affermato che la cessione non può considerarsi effettuata in Italia, in quanto il contratto di compravendita ha per oggetto il prodotto finito, cioè le parti metalliche verniciate, presenti in Francia (e non in Italia) nel momento iniziale del trasporto/spedizione a destinazione dell’acquirente, per cui il luogo della cessione – inteso come quello in cui avviene il trasferimento all’acquirente del potere di disporre del bene come proprietario, ai sensi dell’articolo 14, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE – non è l’Italia, ma la Francia.

Sussiste, pertanto, un “nesso sostanziale” della spedizione con la lavorazione del bene, anziché con la sua cessione all’acquirente, quando il “nesso sostanziale sufficiente” della spedizione del bene con la cessione dello stesso sorge in un secondo tempo, nella specie quando la merce spedita all’acquirente è conforme alle previsioni contrattuali.

La conclusione della Corte conferma la legittimità della previsione di non imponibilità prevista dall’articolo 41, comma 1, lett. a), del D.L. 331/1993, riconosciuta anche se i beni sono “sottoposti per conto del cessionario, ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione, trasformazione, assiemaggio o adattamento ad altri beni”.

In pratica, occorre distinguere a seconda che l’ordine di acquisto del cliente comunitario abbia per oggetto il bene lavorato o il bene non lavorato.

Nel primo caso (cessione del bene lavorato), in cui il costo della lavorazione, essendo fatturato dal terzista nei confronti del cedente italiano, è incorporato nel prezzo di vendita del bene ceduto, ai fini della fatturazione in regime di non imponibilità della cessione è richiesto che la lavorazione sia effettuata in Italia, in conformità alle indicazioni della sentenza Fonderie 2A.

Nel secondo caso (cessione del bene da lavorare), invece, in cui il costo della lavorazione, essendo fatturato dal terzista direttamente nei confronti del cessionario comunitario, non risulta incorporato nel prezzo di vendita praticato dal cedente italiano, si rientra nell’articolo 41, comma 1, lett. a), del D.L. 331/1993, nella parte in cui stabilisce che le cessioni intracomunitarie si considerano non imponibili anche se i beni sono “sottoposti per conto del cessionario, ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione, trasformazione, assiemaggio o adattamento ad altri beni” (si veda anche la C.M. n. 13-VII-15-464/1994, § B.2.1).

Articolo tratto da “Euroconferencenews“