29 Agosto 2017

L’impugnazione del credito tempestivamente ammesso da parte del creditore tardivo

di Giovanni Chiappiniello Scarica in PDF

Cass. civ., sez. I, 4 aprile 2017, n. 8869- Pres. Didone – Rel. Terrrusi – P.M. Soldi (diff.)

Fallimento ed altre procedure concorsuali – accertamento del passivo –conflitto tra creditori – impugnazione dei crediti tempestivamente ammessi – creditore tardivo – proponibilità – termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c. – applicabilità

L’impugnazione di un credito tempestivamente ammesso a favore di un terzo può essere proposta dal creditore tardivo – contestualmente alla dichiarazione tardiva del suo credito, ove si sia in presenza di situazioni soggettive tra loro in conflitto – entro sei mesi dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo delle domande tempestive, in applicazione analogica dell’art. 327 c.p.c., salva la mancata conoscenza del processo fallimentare, della cui prova il creditore medesimo è onerato.

 CASO

[1] La domanda di ammissione tardiva al passivo di Caio viene rigettata perché avente ad oggetto pretesa creditoria già ammessa in favore di altro creditore. Avverso la precedente, altrui ammissione, Caio propone impugnazione e, contestualmente, propone opposizione avverso il provvedimento di rigetto della istanza tardiva di ammissione al passivo del suo credito.

Il Tribunale di Milano, con decreto del 5-7-2011:

– dichiara inammissibile l’impugnazione, per essere stata la stessa proposta oltre il termine di trenta giorni previsto dall’art. 99, comma 1°;

– rigetta l’opposizione, in quanto il credito per cui è chiesta l’insinuazione tardiva è già stato ammesso a favore di altro soggetto.

La parte soccombente propone ricorso per Cassazione, deducendo che, nel caso di domanda tardiva di insinuazione al passivo, il termine per l’impugnazione dei crediti ammessi decorre non dalla comunicazione del decreto di esecutività compiuta dal curatore a norma dell’art. 97 l. fall., ma dalla comunicazione del rigetto dell’istanza di insinuazione tardiva.

SOLUZIONE

[1] Nel corpus normativo di cui al r.d. 16 marzo 1942, n. 267, così come novellato dall’art. 85 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, l’introduzione del richiamo dell’art. 101 all’art. 99 determina che l’impugnazione del credito ammesso a favore di un terzo può essere proposta dal creditore tardivo – contestualmente alla dichiarazione tardiva del suo credito, ove si sia in presenza di situazioni soggettive tra loro in conflitto – entro sei mesi dalla chiusura dello stato passivo, giusta l’applicazione analogica dell’art. 327 c.p.c., necessitata dall’impossibilità di applicare l’art. 97 l. fall., per non essere il creditore tardivo materialmente destinatario della comunicazione disciplinata da tale norma.

QUESTIONI

[1] Con la presente sentenza, la Corte ha scrutinato questione finora mai trattata dalla giurisprudenza di legittimità, attinente al nuovo regime introdotto dall’art. 85 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, con cui il legislatore, nel modificare l’art. 101 l. fall., ha esplicitamente previsto che al procedimento di insinuazione tardiva al passivo fallimentare si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 93 a 99 l. fall.

Da tale esplicito richiamo, la Corte di legittimità ha fatto discendere la possibilità per il creditore insinuatosi tardivamente di impugnare il credito altrui, anche se già ammesso in virtù di domanda di insinuazione tempestiva.

Al fine di individuare il termine perentorio entro cui proporre l’impugnazione, la Suprema Corte ritiene inapplicabile l’art. 99 l. fall., in quanto il creditore tardivo non è destinatario della comunicazione di esecutività dello stato passivo ai sensi dell’art. 97 della medesima legge. Premettendo, pertanto, che il sistema soffre, sotto questo profilo, di «una lacuna suscettibile di essere colmata solo mediante ricorso all’analogia», la Corte ha ritenuto di poter applicare l’art. 327 c.p.c., quale strumento di impugnazione che «in materia processuale identifica il generale principio secondo cui, decorsi sei mesi dalla pubblicazione  del provvedimento assunto in funzione decisionale, non possono più essere proposte le impugnazioni ordinarie» (così in dottrina Montanari, sub. art. 98-99, in Aa.Vv., Il nuovo diritto fallimentare, a cura di A. Jorio-M. Fabiani, 1490).

La Corte non specifica, tuttavia, perché non debba applicarsi, in subiecta materia, la disciplina del reclamo ex art. 26 l. fall., quale generale strumento di impugnazione previsto dalla lex specialis, disposizione che prevede, al comma 4°, che «Indipendentemente dalla previsione di cui al terzo comma, il reclamo non può più proporsi decorso il termine perentorio di novanta giorni dal deposito del provvedimento in cancelleria».

L’obiezione secondo cui il reclamo non sarebbe proponibile, essendo già previsto l’apposito rimedio dell’impugnazione ex art. 98 (es. Cass 3 dicembre 2012, n. 21596, Cass. 10 giugno 2011, n. 12732) inesorabilmente cade di fronte la constatazione che anche l’art. 26, al pari dell’art. 327 c.p.c., sarebbe applicato in via meramente analogica, al limitato fine di individuare, in assenza di espressa disciplina normativa, il termine perentorio entro cui il creditore tardivo può contestate l’ammissione al passivo del credito altrui.

La applicazione della lex specialis, oltre che più corretta sotto il profilo formale, sembra anche maggiormente coerente con le esigenze di speditezza e celerità della procedura fallimentare.

Neppure priva di ombre può considerarsi l’interpretazione dell’art. 101 l.fall. data dalla Corte, la cui opzione ermeneutica postula l’ammissibilità dell’impugnazione da parte del creditore tardivo anche verso un credito tempestivamente (rectius: precedentemente) ammesso.

Le logiche del procedimento di accertamento del passivo, infatti, così come delineato al Titolo II, capo V del r.d. 26 marzo 1942, n. 267, potrebbero suggerire che il richiamo all’art. 99, lungi dal permettere un’impugnazione anche “tardiva”, nei termini riconosciuti dalla Corte, semplicemente disporrebbe, in realtà, che qualsiasi creditore, intervenuto tardivamente, può impugnare il credito di altro soggetto, intervenuto nella medesima fase di accertamento (tardiva) ed inserito, pertanto, nel medesimo supplemento di stato passivo. Vi sarebbe, in altre parole, rispetto a ciascuna fase di accertamento, un rapporto di netta indipendenza, a tutela delle esigenze di celerità e speditezza che la riforma del 2006 ha sicuramente tentato di esprimere.

Ulteriore presupposto della pronuncia in commento è costituito dall’inapplicabilità, in assenza dell’eventus a quo, del termine di trenta giorni previsto dall’art. 99 L. Fall.

Eppure, premesso che l’iter di accertamento delle domande tardive coincide con quello delle domande tempestive, tale assunto non appare condivisibile, nei termini assoluti in cui è posto. Se il creditore tardivo non può ricevere, evidentemente, la comunicazione dello stato passivo relativo alle domande tempestive, è pur vero, però, che non appena il giudice delegato dichiarerà esecutivo il supplemento di stato passivo, relativo alle domande tardive, il curatore procederà, analogamente a quanto avviene nell’ordinario iter di accertamento del passivo fallimentare, a darne comunicazione ai creditori. Da tale momento decorrerà il termine di trenta giorni per la proposizione dell’impugnazione, la quale dovrebbe poter essere rivolta, allora, soltanto nei confronti dei crediti accertati nella medesima – tardiva – fase, non anche nelle fasi precedenti, i cui decreti, decorso il termine per la proposizione delle relative impugnazioni, dovrebbero essere considerati definitivi ed immodificabili (sostanzialmente in tal senso, Lamanna, Il nuovo procedimento di accertamento del passivo, Milano, 2006, 687).

Non sussisterebbe, in questi termini, la lacuna legislativa riscontrata dalla Corte, potendosi altresì osservare, in termini di interpretazione autentica della normativa de qua, che la netta separazione, a fini impugnatori, delle distinte fasi di accertamento dei crediti, si porrebbe in perfetto parallelismo con il meccanismo di ripartizione dell’attivo nei confronti dei creditori tardivamente ammessi, il quale è chiaramente ispirato, così come disciplinato dall’art. 114, l. fall., al principio che il creditore tardivo non può incidere sulle fasi della procedura già esaurite al momento della sua effettiva insinuazione.