Liquidazione del compenso degli avvocati e ambito applicativo del procedimento «sommario»: aspettando le Sezioni Unite
di Giacinto Parisi Scarica in PDFLa questione concernente l’ambito di applicazione del procedimento per la liquidazione del compenso degli avvocati di cui all’art. 14 d.leg. 150/2011 è stata (finalmente) rimessa al vaglio delle Sezioni Unite con l’ordinanza interlocutoria n. 13272/2017. In attesa del pronunciamento del massimo organo della nomofilachia, sono qui ricostruiti i termini del contrasto con l’individuazione dei «nodi» che le Sezioni Unite dovranno sciogliere al fine di fornire una risposta che soddisfi le esigenze di chiarezza degli operatori del diritto.
- Premessa. Con ordinanza interlocutoria n. 13272 del 25 maggio 2017 (reperibile su http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/), la VI-2 sezione civile della Corte di cassazione ha (finalmente) rimesso al primo presidente, per la (eventuale) assegnazione alle Sezioni Unite, la questione relativa all’ambito applicativo del procedimento per la liquidazione del compenso degli avvocati per prestazioni svolte nell’ambito di un giudizio civile di cui all’art. 14 d.leg. 150/2011.
Sul punto si avvertiva da tempo l’esigenza di un intervento chiarificatore da parte del massimo organo della nomofilachia, come dimostrato dal fatto che, già prima della pubblicazione dell’ordinanza interlocutoria sopra citata, era stato organizzato per il 31 maggio 2017 presso la Corte di cassazione un incontro di studio nell’ambito dei «Dialogoi sulla giustizia civile» dal titolo «Il rito applicabile alle controversie sulla liquidazione degli onorari agli avvocati» (https://urly.it/21y63), il quale aveva proprio lo scopo di segnalare il contrasto giurisprudenziale già emerso sul punto e sollecitare la rimessione della questione alle Sezioni Unite.
- La questione sub Julio. La problematica che la Suprema Corte dovrà affrontare nei prossimi mesi non è nuova alla giurisprudenza di legittimità e, anzi, affonda le sue radici addirittura nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della l. 794/1942, la quale, nella versione precedente alla novella di cui al d.leg. 150/2011, disciplinava il procedimento camerale finalizzato alla liquidazione degli onorari forensi.
Invero, subito dopo l’entrata in vigore della l. 794/1942, la giurisprudenza di legittimità si era andata consolidando nel senso di ritenere che nell’oggetto del procedimento in esame rientrassero non soltanto le controversie circa il quantum del compenso del professionista, ma anche quelle relative all’an (tra le più recenti, Cass., sez. un., 28 ottobre 1966, n. 2688, Giust. civ., 1967, I, 18; 8 gennaio 1966, n. 152, Foro it., 1966, I, 1312).
Tuttavia, a fronte delle preoccupazioni espresse da parte della dottrina per l’inidoneità del procedimento camerale, per sua natura privo di una fase di istruzione probatoria, a garantire al convenuto il pieno esercizio del diritto di difesa (A. Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 e ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, I, 392; E. Garbagnati, Procedimento sommario di opposizione a decreto ingiuntivo, in Riv. dir. proc., 1968, 200, il quale richiama anche la Relazione ministeriale di accompagnamento alla l. 794/1942, nonché il tenore letterale dell’art. 29 l. 794/1942, che si riferisce alla sola «liquidazione» del compenso professionale, ossia la «determinazione della cifra numerica cui ammontano le spese, diritti, ed onorari dovuti dal cliente»; V. Andrioli, Sugli articoli 28 a 30 della legge 13 giugno 1942 sugli onorari dei professionisti forensi, in Foro it., 1943, I, 294), la giurisprudenza di legittimità aveva mutato il proprio orientamento, giungendo a ritenere che l’oggetto del procedimento camerale di cui agli artt. 28 ss. l. 794/1942 dovesse essere limitato al solo accertamento del quantum del compenso spettante all’avvocato (Cass. 5 maggio 2014, n. 9627, Foro it., Le banche dati, voce Cassazione civile; 23 gennaio 2012, n. 876, in http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/; 15 marzo 2010, n. 6225, Foro it., Rep. 2010, voce Avvocato, n. 231; 29 marzo 2005, n. 6578, id., Rep. 2005, voce cit., n. 196; 21 aprile 2004, n. 7652, id., Rep. 2004, voce cit., n. 229; sez. un., 23 marzo 1999, n. 182, id., Rep. 1999, voce Amministrazione Stato (rappresentanza), n. 5), con conseguente inammissibilità della domanda proposta nelle forme del rito speciale (Cass., 14 ottobre 2010, n. 21233, in Pluris; 12 febbraio 2004, n. 2701, Foro it., Rep. 2004, voce Avvocato, n. 219; 7 agosto 2002, n. 11882, Giur. it., 2003, 2271) ovvero con la conversione di detto rito in quello ordinario di cognizione (Cass., 5 febbraio 2016, n. 2297, Foro it., Le banche dati, voce Cassazione civile; 23 maggio 2014, n. 11548, ibid.).
- L’art. 14 d.leg. 150/2011 e la tesi «restrittiva». Era dunque questo il quadro giurisprudenziale che aveva dinanzi a sé il legislatore quando ha ricondotto il procedimento speciale per la liquidazione del compenso degli avvocati nell’alveo del rito sommario di cognizione di cui agli artt. 3 e 14 d.leg. 150/2011.
Nel nuovo contesto normativo la dottrina prevalente (A. Tedoldi, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, Torino, 2013, 642; M. Abbamonte, sub art. 14, in Commentario alle riforme del processo civile dalla semplificazione dei riti al decreto sviluppo, a cura di R. Martino e A. Panzarola, Torino, 2013, 192; A Carratta, La «semplificazione» dei riti e le nuove modifiche del processo civile, Torino, 2012, 60; R. Tiscini, sub art. 14, in La semplificazione dei riti civili, a cura di B. Sassani e R. Tiscini, Roma, 2011, 133), seguita anche da una prima pronuncia della giurisprudenza di legittimità (Cass., 5 ottobre 2015, n. 19873, Foro it., Rep. 2015, voce Avvocato, n. 183), ha continuato a ritenere che l’oggetto precipuo del rito speciale dovesse essere limitato all’accertamento del quantum della pretesa creditoria del professionista.
Secondo l’orientamento dottrinale sopra citato, infatti, la sottoposizione della materia al rito sommario di cognizione non avrebbe comportato una modifica dei presupposti applicativi del procedimento di cui all’art. 28 l. 794/1942, in considerazione, innanzitutto, dell’inequivoco tenore letterale della Relazione illustrativa del d.leg. 150/2011, e, poi, dei limiti imposti dall’art. 54, comma 4°, legge delega n. 69/2009 prevedendosi che il legislatore delegato avrebbe dovuto ricondurre al modello del rito sommario di cognizione solo quei procedimenti in cui, sulla base della legislazione previgente, fossero «prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione».
A tale soluzione ha peraltro aderito anche la prevalente giurisprudenza di merito, la quale si è tuttavia poi divisa nell’individuare le conseguenze che si vengono a determinare, nel contesto della nuova disciplina, nel momento in cui una delle parti del processo chieda comunque al giudice di pronunciarsi anche rispetto all’an del diritto al compenso.
Ad un primo, e senz’altro maggioritario orientamento, secondo cui il tribunale, non potendo disporre il mutamento del rito sommario in quello ordinario di cognizione (in virtù del disposto di cui all’art. 3, comma 1°, d.leg. 150/2011), deve dichiarare l’inammissibilità (rectius l’improcedibilità) della domanda proposta (tra le più recenti, Trib. Catania 28 gennaio 2016, in Pluris; Trib. Bologna 24 dicembre 2015, ibid.; Trib. Lucca 3 luglio 2015, in www.eclegal.it; Trib. Torino 21 gennaio 2015, in www.altalex.com; Trib. Torino 18 luglio 2014, Foro it., Le banche dati, archivio Merito ed extra; in un obiter dictum anche Corte cost. 1° aprile 2014, n. 65, Foro it., 2014, I, 1363), se ne contrappone un altro, secondo cui, in caso di contestazioni circa l’an della pretesa, il giudice adito sarebbe tenuto a disporre il mutamento del rito in quello ordinario di cognizione, rimettendo la causa dinanzi al Tribunale in composizione monocratica, in applicazione del disposto di cui all’art. 4 d.leg. 150/2011 (Trib. Milano 22 settembre 2016, in www.eclegal.it; Trib. Mantova 4 ottobre 2016 e 16 dicembre 2014, in www.ilcaso.it; Trib. Napoli 26 gennaio 2012, Giur. Merito, 2012, 1537).
Per una parte della dottrina, invece, nel caso in cui il thema decidendum si estenda in corso di causa all’accertamento dell’an della pretesa creditoria, il giudice non potrebbe né disporre il mutamento del rito, stante l’espresso disposto di cui all’art. 3, comma 1°, d.leg. 150/2011, né separare la domanda sul quantum da quella sull’an, e, dunque, al fine di evitare che la domanda proposta nelle forme di cui all’art. 14 cit. venga dichiarata improcedibile l’unica soluzione possibile sarebbe quella di applicare l’art. 40, comma 3°, c.p.c., il quale disciplina l’ipotesi in cui le domande cumulate in un unico giudizio siano assoggettate a riti diversi, con conseguente prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario di cognizione (A. Carratta, La «semplificazione» dei riti, cit., 62).
- La tesi «estensiva». La prima pronuncia di legittimità che, invece, riprendendo gli spunti forniti da una parte minoritaria della dottrina (G. Balena, sub art. 14, in Codice di procedura civile commentato, diretto da C. Consolo, Milano, 2012, 198), si è espressa per la tesi «estensiva» ed ha ritenuto che al procedimento (nonché al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo) avente ad oggetto l’accertamento e la liquidazione del compenso degli avvocati debba applicarsi esclusivamente il rito sommario di cognizione disciplinato dagli artt. 3 e 14 d.leg. 150/2011, è stata Cass. 29 febbraio 2016, n. 4002 (pubblicata in www.eclegal.it, nonché in Giur. it., 2017, 367; Foro it., 2016, I, 1712), cui hanno fatto seguito successive pronunce nello stesso senso della Suprema Corte (Cass. 3 maggio 2017, n. 10679, in http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/; 8 marzo 2017, n. 5842, Foro it., Rep. 2017, voce Avvocato, n. 18; 15 febbraio 2017, n. 3993, in Dir. & Giust., 2017, 30, 6; 11 gennaio 2017, n. 548, in www.eclegal.it), tant’è che oggi si può senz’altro affermare che questo sia divenuto l’orientamento prevalente nell’ambito della giurisprudenza di legittimità (in senso contrario, tuttavia, Cass. 24 giugno 2016, n. 13175, Foro it., Le banche dati, archivio Cassazione civile; 14 giugno 2016, n. 12248, ivi, Rep. 2016, voce Avvocato, n. 143).
Secondo tale secondo orientamento, la pienezza della cognizione del procedimento di cui agli artt. 702 bis ss. c.p.c., riconosciuta dalla stessa Relazione illustrativa al d.leg. 150/2011, consentirebbe infatti di ritenere che anche le controversie relative all’an della pretesa possano essere trattate con il rito speciale di cui all’art. 14 cit.
Peraltro, tale soluzione sarebbe altresì rispettosa «dell’impianto generale del d.leg. 150/2011, in cui la tipologia del rito è il frutto di una decisione legislativa senza possibilità di scelte discrezionali della parte o del giudice» (così Cass. 29 febbraio 2016, n. 4002, cit.), nonché dei principi di economia processuale e di conservazione degli atti processuali, poiché, ove si propendesse per la tesi opposta, non potendosi comunque procedere alla conversione del rito, in virtù di quanto previsto dall’art. 3, comma 1°, d.leg. 150/2011, si dovrebbe necessariamente pervenire alla dichiarazione di inammissibilità della domanda.
- I «nodi» al vaglio delle Sezioni Unite. Ricostruiti i termini del contrasto nel senso dianzi esposto, e rinviando a quanto detto in altra sede circa gli aspetti problematici della tesi «estensiva» (si vis G. Parisi, Liquidazione del compenso degli avvocati e procedimento sommario di cognizione, in Giur. it., 2017, 370), non resta dunque che attendere per vedere quale sarà la risposta che le Sezioni Unite daranno all’annosa questione, la quale non può che passare attraverso la disamina ordinata dei seguenti profili problematici:
- l’individuazione dell’oggetto del procedimento disciplinato dall’art. 14 d.leg. 150/2011, anche attraverso la ricostruzione sia dei limiti imposti dalla legge delega n. 69/2009 che del contenuto della Relazione illustrativa al d.leg. 150/2011;
- la verifica della compatibilità dell’oggetto così come individuato nel precedente punto (i) con il procedimento sommario di cognizione «speciale», disciplinato dagli artt. 3 e 14 d.leg. 150/2011, il quale, si rammenta, prevede che il provvedimento conclusivo non possa essere fatto oggetto di appello, ma solo impugnato direttamente mediante ricorso per cassazione;
- ove si aderisca alla tesi «restrittiva», il chiarimento delle conseguenze derivanti dall’ampliamento dell’oggetto del giudizio promosso ai sensi dell’art. 14 d.leg. 150/2011 alle contestazioni concernenti l’an della pretesa creditoria.
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