30 Maggio 2017

Superfluità dell’integrazione del contraddittorio e inesistenza della notificazione

di Giorgia Vulpiani Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 2017, n. 4850

Impugnazioni civili – Ricorso per cassazione – Ricorso prima facie infondato – Litisconsorzio necessario – Integrazione contraddittorio – Ragionevole durata del processo – Superfluità

(Cost., artt. 24, 111, co. 2; cod. proc. civ., artt. 101, 102, 127, 175, 331)

[1] Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da sostanziali garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato sarebbe superflua la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti, atteso che la stessa si tradurrebbe in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali.

 Impugnazioni civili – Appello civile – Notifica atto appello – Notifica non perfezionata – Restituzione dell’atto al mittente – Inesistenza

(Cod. proc. civ., artt. 156, 160, 330)

[2] La notificazione dell’atto d’impugnazione è da considerarsi inesistente quando risulti meramente tentata e quindi priva della fase di consegna dell’atto con restituzione di quest’ultimo al mittente.

Impugnazioni civili – Appello civile – Notificazione inefficace o non perfezionata nei confronti di una o alcune delle parti –  Integrazione contraddittorio – Inammissibilità dell’impugnazione – Esclusione – Integrazione del contraddittorio – Necessità

(Cost. art. 111; cod. proc. civ., artt. 291, 330, 331)

[3] Nel caso di cause inscindibili, qualora l’impugnazione risulti proposta nei confronti di tutti i legittimati passivi, nel senso che l’appellante li abbia correttamente individuati e indicati come destinatari dell’impugnazione medesima, ma la notificazione sia rimasta comunque inefficace (omessa o inesistente) o non ne venga dimostrato il perfezionamento nei confronti di uno o alcuni di essi, deve trovare applicazione l’art. 331 c.p.c.., in ossequio al principio del giusto processo in ordine alla regolare costituzione del contraddittorio e non può essere dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione.

Impugnazioni civili – Appello civile – Integrazione contraddittorio – Termine fissato dal giudice – Perentorietà – Sussistenza – Prorogabilità – Esclusione

(Cod. proc. civ., artt. 153, 331)

[4] Il termine per integrare il contraddittorio in sede di impugnazione ai sensi dell’art. 331 c.p.c. è perentorio e non prorogabile.

CASO

In un giudizio in materia successoria, in primo grado veniva dichiarato il difetto di legittimazione attiva degli attori, in quanto non avevano provato la loro qualità di eredi. Questi proponevano appello nei confronti dei due convenuti nel giudizio di prime cure. In sede di prima udienza, tuttavia, gli appellanti chiedevano un nuovo termine per la notifica ad uno dei due appellati, in quanto questi risultava sconosciuto all’indirizzo a cui era stato correttamente notificato l’atto introduttivo in primo grado. La Corte d’Appello concedeva il termine richiesto, ma alla successiva udienza, gli appellanti chiedevano l’assegnazione di un termine ulteriore per la notifica degli atti introduttivi. Tale ultima richiesta veniva, tuttavia, rigettata e l’appello veniva dichiarato inammissibile.

I soccombenti proponevano ricorso per cassazione.

In particolare, denunciavano la violazione e falsa applicazione degli artt. 291 e 331 c.p.c. e affermavano che la Corte territoriale aveva errato nel considerare come inesistente la prima notifica dell’impugnazione, nonché nel ritenere di aver concesso il termine per la nuova notifica ai sensi dell’art. 331 c.p.c., anziché ai sensi dell’art. 291 c.p.c. E ciò in quanto l’art. 331 c.p.c. sarebbe applicabile all’ipotesi in cui la sentenza, pronunciata tra più parti in causa inscindibile, sia stata impugnata solo nei confronti di alcune di esse, mentre nel caso di specie l’appello era stato proposto ab initio nei confronti di tutte le parti.

SOLUZIONE

La Corte ha rigettato il ricorso.

Più in particolare, il Collegio:

[1] in via preliminare, rilevato che il ricorso per cassazione era prima facie infondato, non ha disposto, perché superflua, l’integrazione del contraddittorio nei confronti di una delle parti necessarie del giudizio di cassazione (ex art. 331 c.p.c.);

[2] ha qualificato la notificazione dell’atto d’appello a uno dei litisconsorti come inesistente, in quanto l’atto era tornato al mittente con l’indicazione che il destinatario risultava sconosciuto all’indirizzo;

[3] ha ritenuto che la Corte d’appello avesse correttamente assegnato all’appellante un termine ex art. 331 c.p.c. per procedere alla rinnovazione della notificazione inesistente;

[4] sulla base della perentorietà del termine ex art. 331 c.p.c., ha ritenuto corretta la dichiarazione di inammissibilità dell’appello per violazione del termine.

QUESTIONI

La pronuncia in commento permette di soffermarsi su diverse questioni:

1) il rapporto tra integrazione del contraddittorio e ragionevole durata del processo;

2) la distinzione tra notifica nulla e inesistente;

3) l’ambito di applicazione dell’art. 331 c.p.c.;

4) la perentorietà del termine ex art. 331 c.p.c.

[1] In diverse sentenze di legittimità si riscontra la necessità di un bilanciamento tra il principio della ragionevole durata del processo e quello dell’integrità contraddittorio. Infatti, secondo l’orientamento consolidato, il principio dell’integrità del contraddittorio deve arretrare di fronte a quello della ragionevole durata del processo, ove il rispetto del primo si traduca in una formalità superflua che non comporti un’effettiva tutela della parte (v. Cass. Civ., sez. un., 3 novembre 2008, n. 26373, Cass. Civ., sez. II, 8 febbraio 2010, n. 2723; Cass. Civ., sez. III, 17 giugno 2013, n. 15106; Cass. Civ., sez. II, 6 novembre 2014, n. 23701;  Cass., sez. III, 20 gennaio 2016, n. 895).

Nella pronuncia in commento, la Corte, ponendosi nel solco della giurisprudenza prevalente, ha ritenuto che, essendo il ricorso prima facie infondato, la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio si sarebbe tradotto in un inutile allungamento dei termini per la definizione del giudizio, senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali.

Dunque, secondo la Corte, nel caso in cui un ricorso si riveli sin da subito infondato, il principio della ragionevole durata del processo, di cui agli artt. 111, co. 2, Cost., 6 e 13 della CEDU, deve risultare prevalente rispetto a quello dell’integrità del contraddittorio, imponendo così al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ., di evitare formalità superflue.

[2] La questione della distinzione tra nullità ed inesistenza dell’atto è stata a lungo discussa in dottrina e giurisprudenza. Infatti, secondo alcuni autori la contrapposizione tra le due categorie sarebbe priva di senso.

In generale, si ritiene che l’atto processuale inesistente sia un atto privo degli elementi essenziali che lo rendano inquadrabile in un determinato tipo. L’inesistenza non è espressamente prevista dal codice di rito ed è insanabile, a differenza della nullità che di regola è sanabile con effetto ex tunc.

Nella sentenza in commento, la Corte ha applicato i recenti insegnamenti delle Sezioni Unite in materia di notificazione (Cass., sez. un., 20 luglio 2016, n. 14916).

Al fine di tracciare il discrimen tra inesistenza e nullità della notifica, la Corte aveva individuato gli elementi costitutivi imprescindibili del “procedimento” di notificazione del ricorso per cassazione:

  1. a) nell’attività di trasmissione, che deve essere svolta da un soggetto qualificato, ovvero dotato in base alla legge della possibilità giuridica di compiere l’attività stessa, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato;
  2. b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento, in virtù dei quali la stessa debba comunque considerarsi ex lege eseguita, restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, sì da dover reputare la notifica meramente tentata, ma non compiuta, cioè omessa.

Sul tema, v. Poli, Rimessa alle sezioni unite la distinzione tra nullità ed inesistenza della notificazione, in Riv. dir. proc., 2015, 1100 e, in questa Rivista, Maffei, Le Sezioni Unite rivedono i confini tra nullità e inesistenza della notifica; Ricci, Le Sezioni Unite si pronunciano in tema di nullità e inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione; Picozzi, La sanatoria della notificazione inesistente.

[3] L’art. 331 c.p.c. disciplina l’impugnazione avverso una sentenza pronunciata nei confronti di più parti in cause inscindibili o tra loro dipendenti e ha la funzione di garantire l’unità del giudizio di impugnazione nei processi oggettivamente e soggettivamente complessi, al fine di evitare che: a) un processo svoltosi fra più parti nel giudizio di prime cure si frantumi in più giudizi di impugnazione; b) si verifichi un contrasto di giudicati.

Quanto all’ambito di applicazione dell’art. 331 c.p.c. si registrano in giurisprudenza due orientamenti.

Secondo un orientamento restrittivo l’art. 331 c.p.c. troverebbe applicazione solo quando l’atto di impugnazione sia stato notificato soltanto ad alcune parti. Pertanto, nelle ipotesi in cui la parte abbia correttamente individuato tutte le parti necessarie in sede di impugnazione, ma la notifica eseguita nei loro confronti risulti nulla, inesistente ovvero la parte non riesca a rimostrarne il perfezionamento, il giudice –  non ricorrendo gli estremi per l’applicazione in via analogica dell’art. 331 c.p.c. per difetto di eadem ratio e alla luce del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. – dovrà dichiarare l’impugnazione inammissibile, salvo che non sussistano i presupposti per la rimessione in termini (in questo senso v. Cass. Civ., sez. III, 10 novembre 2008, n. 26889; Cass. Civ., sez. III, 13 maggio 2009, n. 11053; Cass. Civ., sez. I, 21 luglio 2010, n. 17106).

Secondo un’interpretazione estensiva, invece, condivisa dalla sentenza in commento, l’art. 331 c.p.c. sarebbe applicabile anche all’ipotesi in cui l’impugnazione sia stata da principio proposta nei confronti di tutte le parti, ma la notificazione dell’atto nei confronti di una di esse si sia rivelata inesistente, «in ossequio al principio del giusto processo in ordine alla regolare costituzione del contraddittorio da ritenersi prevalente, di regola, rispetto al principio della ragionevole durata del processo» (in questo senso v., Cass. Civ., sez. III, 23 marzo 2005, n. 6220; Cass. Civ., sez. un., 11 giugno 2010, n. 14124; Cass. Civ., sez. III, 15 aprile 2011, n. 8727; Cass. Civ., sez. lav., 13 ottobre 2015, n. 20501).

[4] Quanto all’ultima questione, l’orientamento prevalente ritiene che il termine di cui all’art. 331 c.p.c. sia perentorio e non possa essere prorogato, neppure su accordo delle parti, né possa essere sanato dalla tardiva costituzione della parte nei confronti della quale doveva essere integrato il contraddittorio (v. Cass. Civ., sez. III, 11 febbraio 2002, n. 1887; Cass. Civ., 29 novembre 2004, n. 22411). L’inutile decorso del termine comporta l’inammissibilità dell’impugnazione, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza.

In giurisprudenza si è dibattuto circa la possibilità per il giudice di concedere un nuovo termine per l’integrazione del contraddittorio.

Secondo un primo orientamento la proroga non sarebbe possibile in nessun caso (v. Cass. Civ., sez. II, 29 aprile 2003, n. 6652, secondo cui la perentorietà del termine non può subire eccezioni neanche per fatti riconducibili al caso fortuito o alla forza maggiore e comunque non imputabili alla parte, né per colpa, né per dolo) e l’inosservanza del termine sarebbe rilevabile d’ufficio (v. Cass. Civ., sez. II, 27 marzo 2007, n. 7528; Cass. Civ., sez. II, 14 gennaio 2009, n. 749). Un diverso orientamento ritiene invece che il giudice possa concedere un nuovo termine per l’integrazione del contraddittorio quando la parte che faccia istanza di assegnazione di un nuovo termine fornisca la prova di non essere stata in grado di rispettare il primo termine per un fatto non imputabile (Cass. Civ., sez. un. 21 gennaio 2005, n. 1238; Cass. Civ., sez. III, 15 gennaio 2007, n. 637; Cass. Civ., sez. un., 11 giugno 2010, n. 14124).

La sentenza in commento sembrerebbe aderire all’indirizzo più restrittivo, in quanto afferma che la parte non ha «nemmeno allegato o provato le circostanze che giustificavano la richiesta di concessione di una proroga del termine, la cui natura perentoria era peraltro preclusiva della stessa proroga richiesta».