23 Maggio 2017

Termini processuali: se il dies a quo è indicato dal giudice, il giorno iniziale si conteggia ?

di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDF

Trib. Padova, 26 gennaio 2017 

Termini – Decorrenza – Giorno iniziale – Esclusione – Udienza di prima comparizione (C.p.c. artt. 155, 183)

Qualora il termine iniziale per l’espletamento dell’attività processuale sia fissato con specifico provvedimento del giudice che autonomamente individua il primo giorno di decorrenza, non si applica l’art. 155, comma 1 c.p.c. nella parte in cui dispone che, nel computo dei termini a giorni o ad ore, si escludono il giorno o l’ora iniziali.

IL CASO

In prima udienza, il giudice assegna i termini di cui all’art. 183, comma 6 c.p.c. “con decorrenza dal 31.10.16”.

L’attore deposita la seconda memoria il 30 dicembre dello stesso anno e la terza memoria il 19 gennaio 2017.

LA SOLUZIONE

Il giudice ritiene tardivi i due depositi, osservando, nella memoria con cui fissa l’udienza di precisazione delle conclusioni, che il secondo termine scadeva il 29 dicembre 2016 e il terzo il 18 gennaio 2017, non potendosi escludere il giorno iniziale (ossia il 31 ottobre 2016) atteso che “nel caso di specie non si è in presenza della applicazione di una norma astratta che non esplicita il giorno di decorrenza, bensì di uno specifico provvedimento del giudice che autonomamente individua il primo giorno di decorrenza”.

LA QUESTIONE

La quaestio iuris ruota intorno all’interpretazione dell’art. 155, comma 1 c.p.c., il cui tenore letterale recita: “nel computo dei termini a giorni o ad ore, si escludono il giorno o l’ora iniziali” e che, nel caso di specie, è stato ritenuto operante nei soli casi in cui “una norma astratta esplicita il giorno di decorrenza”.

Si pensi al caso in cui il giudice, all’udienza di precisazione delle conclusioni, concede senza altre specificazioni i termini di legge per le comparse conclusionali e le memorie di replica, o, per rimanere alla fattispecie in esame, all’ipotesi in cui, in prima udienza, le parti chiedano l’appendice di trattazione scritta ex art. 183, comma 6 c.p.c. e il giudice – anziché, come avvenuto nel caso di specie, accogliere l’istanza di parte “con decorrenza” da un giorno indicato ad hoc – conceda i tre termini senza precisare il dies a quo: in tali ipotesi, pacificamente, il termine dovrà intendersi decorrente dal giorno successivo alla data dell’udienza.

Quid iuris se invece il giudice (in udienza, o  con provvedimento emesso in assenza delle parti e comunicato alle stesse dalla cancelleria) individua un giorno iniziale?

In queste ipotesi, la questione attiene all’individuazione del “primo giorno” da cui la parte deve contare i giorni di cui si compone il termine.

La lettura dell’art. 155 c.p.c. suggerisce – se non impone – che il giorno indicato dal giudice sia escluso dal conteggio.

Secondo il Tribunale di Padova, al contrario, in tale ipotesi l’art. 155 c.p.c. non si applica e, conseguentemente, il primo giorno di decorrenza è quello indicato nel provvedimento.

La distinzione tra termini “legali” e “giudiziali a decorrenza differita” (per i quali non opererebbe l’art. 155 c.p.c., e pertanto la data indicata dal giudice costituirebbe il primo giorno utile) non sembra in realtà recepita dalla giurisprudenza dominante.

E’ vero infatti che per i primi è affermata senza incertezze l’applicabilità dell’art. 155 c.c., e dunque il giorno iniziale non si computa: (i) il termine di cui all’art. 15, comma 3 L.F., nel testo risultante dall’art. 2, comma 4, D. Lgs. 169/2007, “ha natura dilatoria ‘a decorrenza successiva’ e va computato, secondo il criterio generale di cui all’art. 155, comma 1, c.p.c., escludendo il giorno iniziale” (Cass., 12 luglio 2016, n. 14179); (ii) nelle controversie tributarie, il termine per proporre ricorso è a decorrenza successiva “e va, pertanto, computato escludendo il giorno iniziale e conteggiando quello finale, è soggetto all’art. 155” (Cass., 31 maggio 2016, n. 11269); (iii) ai fini della verifica della tempestività della costituzione dell’appellato, il termine di cui all’art. 166 c.p.c. “va calcolato escludendo il giorno iniziale, ovvero il giorno dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di citazione […] in applicazione dell’art. 155, comma 1, c.p.c.” (Cass., 2 settembre 2013, n. 20117).

Ma è tutt’altro che pacifico che i termini di decorrenza differiti per provvedimento giudiziale siano sottratti all’ambito di operatività dell’art. 155 c.c.

Nella giurisprudenza di legittimità, infatti, non si rinvengono precedenti conformi alla decisione in esame, mentre, presso le Corti di merito (e anche presso lo stesso Tribunale di Padova), è stato recentemente espresso il condivisibile principio opposto, che esclude il giorno iniziale anche in caso di indicazione giudiziale della decorrenza: in tal senso Trib. Roma, 5 luglio 2013, in http://www.altalex.com/documents/news/2017/03/01/computo-del-dies-a-quo-provvedimento-reso-dal-giudice-istruttore-fuori-udienza, e lo stesso Tribunale di Padova, che, nella motivazione dell’ordinanza 1.6.2016 (consultabile per esteso in http://www.altalex.com/~/media/Altalex/allegati/2017/allegati-free/tribunale-padova-ordinanza-1-giugno-2016%20pdf.pdf), così precisava: “il Giudice istruttore assegna alle parti termine perentorio di trenta giorni indicando quale dies a quo il giorno 01/11/2016 (che essendo dies a quo non va computato nel termine)”.

L’orientamento di cui alla massima è invece accolto da Trib. Como, 7 marzo 2011, in www.dejure.it, secondo cui “in caso di decorrenza differita di un termine processuale nota ad entrambe le parti, non trova applicazione la regola dell’art. 155 comma 1 c.p.c., la quale si fonda sul presupposto che il dies a quo (o il dies ad quem nel caso di termini che si devono computare a ritroso) sia o debba presumersi indisponibile per l’attività difensiva in quanto giorno nel quale avviene o si realizza l’atto o il fatto processuale (o cade l’udienza: art. 166 c.p.c.) in relazione al quale è riconosciuto il diritto al compimento (in un dato termine) dell’attività o all’esercizio (in un dato termine) del potere processuale”, mentre trova un sostegno soltanto parziale in una pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione (Cass., S.U., 28 marzo 1995, n. 3668), a sua volta confermativa di quanto a suo tempo statuito sempre dalle sezioni unite dodici anni prima (Cass., 14 luglio 1983, n. 4814): in entrambi i casi, affrontando il problema relativo ad un termine decorrente da un atto verificatosi nel periodo di sospensione feriale ex L. 7 ottobre 1969, n. 792, la Corte ha statuito che il 16 settembre (primo giorno successivo all’ultimo giorno di sospensione, sino all’anticipazione al 1° settembre introdotta dall’art. 16 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132) “rientra nel computo”.

Con la citata sentenza n. 3668 del 1995, la Corte ribadì tale conclusione (già accolta medio tempore da Cass., 27 maggio 1991, n. 5981; Cass., 1° agosto 1990, n. 7720; Cass., 30 marzo 1988, n. 2689) fondando l’assunto sull’esame della ratio della disposizione, e prima ancora del principio dies seu hora a quo non computatur in termino, ossia “l’esigenza di dare rilievo (quando il termine è a giorni) a giorni interi, trascurando le frazioni di giorno relative al momento in cui si sia verificato l’atto che costituisce il punto di riferimento del termine, nonché l’effetto giuridico di quell’atto”.

Argomento, quest’ultimo, che non appare in grado di superare il chiaro tenore letterale dell’art. 155, comma 1 c.c., che configura evidentemente una norma di carattere generale e non sembra tollerare un’interpretazione che, introducendo una distinzione tra termini “legali” e termini a decorrenza differita fissata dal giudice che non trova agganci nella disciplina positiva, risulta anche ingiustificatamente pericolosa per il diritto di difesa delle parti (il che appare ancora meno accettabile, se si considera che l’interpretazione, più che praeter, appare contra legem).

L’’“errore” nel calcolo dei termini può infatti cagionare conseguenze processuali gravi e virtualmente decisive ai fini dell’esito della lite, dall’inammissibilità delle istanze di prova diretta e contraria formulate nelle memorie ex art. 183, comma 6, nn. 2 e 3 c.p.c. (come avvenuto nel caso di specie ai danni dell’attore); al ritardo nel deposito del fascicolo di parte (nelle cause ancora dotate di fascicoli cartacei) a seguito del ritiro autorizzato dal giudice all’udienza di precisazione delle conclusioni ai sensi dell’art. 169, commi 1 e 2 c.p.c. e dell’art. 77 disp. att. c.p.c., che, per giurisprudenza consolidata, comporta il dovere del giudice di decidere allo stato degli atti, sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione, in conformità al principio dispositivo delle prove (Cass., 22 novembre 2012, n. 20704).