16 Maggio 2017

Ordinanza di inammissibilità della c.d. Class Action. Questioni preliminari e natura del provvedimento che definisce il giudizio

di Alessandro Benvegnù Scarica in PDF

Cassazione civile, Sezioni unite, 1 Febbraio 2017, n. 2610 – Amoroso Presidente – Petitti Relatore

 Tutela Giurisdizionale-Diritto soggettivo- Domanda risarcitoria- Diritti individuali e omogenei -Azione di classe-Dichiarazione di inammissibilità-Ricorso per Cassazione ex art. 111 cost.-Ammissibilità-Esclusione

Allorquando l’azione di classe di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 140 bis, sia stata dichiarata inammissibile con ordinanza adottata dalla corte d’appello in sede di reclamo  tale provvedimento non è impugnabile con ricorso straordinario ex art. 111 Cost., comma 7, in quanto non incide sui diritti soggettivi né degli appartenenti alla classe né del singolo proponente che può far valere il proprio diritto individuale al risarcimento del danno in via ordinaria. (1)

Tutela Giurisdizionale-Diritto soggettivo- Domanda risarcitoria- Diritti individuali e omogenei-Azione di classe-Dichiarazione di inammissibilità-Riproponibilità-Limiti soggettivi

La dichiarazione di inammissibilità di un’azione di classe preclude la riproposizione dell’azione ex art. 140 bis. D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 da parte dei medesimi soggetti che l’hanno presentata e di quanti siano stati parte, in senso processuale di quel giudizio, ma non impedisce l’autonoma iniziativa di chi non abbia aderito all’azione oggetto di quella pronuncia preliminare a contenuto negativo. (2)

CASO

Due soggetti privati, persone fisiche, danno mandato a un’associazione di consumatori di promuovere un’azione di classe contro un’impresa del tabacco per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali da loro subiti, quantificati in cifre equitative simboliche inferiori a 10.000,00 €, derivanti da una dipendenza da fumo causata dall’acquisto delle sigarette poste in commercio dalla società convenuta. A seguito di una prima pronuncia di inammissibilità da parte del Tribunale, gli attori propongono rituale reclamo alla Corte d’Appello di Roma, secondo la quale il giudizio preliminare di inammissibilità dell’azione di classe è sempre negativo sulla base delle seguenti, plurime, motivazioni, tra loro cumulate: inapplicabilità ratione temporis dell’art. 140 bis Codice del Consumo, difetto della natura omogenea del diritto fatto valere e, nel merito, pure assenza di prova del danno lamentato. Viene così proposto ricorso per Cassazione contro cui la società convenuta eccepisce il carattere non decisorio dell’ordinanza di inammissibilità e la sua conseguente non ricorribilità ex art. 111 Cost., chiedendo quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso avversario.

SOLUZIONE

Nell’interpretare l’art. 140 bis D.lgs. 206/2005 le Sezioni Unite ricostruiscono la pronuncia sull’ammissibilità dell’azione di classe come provvedimento circa l’esistenza dei presupposti processuali per la prosecuzione del procedimento, al fine di giungere a una pronuncia sul merito, in materia di interessi collettivi. La struttura e la funzione del giudizio di ammissibilità dell’azione di classe, che richiama i procedimenti camerali di cui all’art. 737 e segg. c.p.c., comporterebbero il carattere non definitivo del provvedimento finale negativo, ontologicamente inidoneo ad acquisire autorità di giudicato e ad incidere in via definitiva su diritti soggettivi.

Richiamando quindi un  orientamento consolidato espresso sia con riferimento ai giudizi camerali relativi al diritto di famiglia, Cass., Sez. Unite, 15 luglio 2003, n. 11026 Giur. It., 2004, 6, nota di PERILLI e confermato anche per i provvedimenti di volontaria giurisdizione in materia societaria,  Cass., Sez. un., 3 marzo 2003, n. 3073, in Foro It., 2003, I, 2090, secondo la ricostruzione fornita dalla Corte, la verifica del rispetto di norme che stabiliscono condizioni processuali per l’esercizio dell’azione in materia di class action si salda a un provvedimento di contenuto necessariamente omogeneo, cioè privo dei requisiti di stabilità e definitività che accompagnano invece una decisione nel merito e, pertanto, non ricorribile in cassazione ex art. 111 Cost.

Il ricorso per cassazione dell’ordinanza della Corte di Appello di Roma proposto dall’associazione dei consumatori, quale mandataria dei soggetti che si assumevano danneggiati ed esponenti di una classe omogenea di potenziali titolari del diritto al risarcimento di un danno giuridicamente rilevante, viene così dichiarato inammissibile.

La Corte precisa anche che l’ordinanza negativa di cui all’art. 140 bis d.lgs 206/2005, se da un lato non pregiudica il diritto soggettivo individuale del proponente al risarcimento del danno, che può quindi trovare tutela in un autonomo giudizio promosso  in proprio nelle forme ordinarie, tuttavia acquisisce una sua sorta di stabilità che impedisce l’accesso alla tutela in forma collettiva da parte di chi è stato destinatario di questa valutazione preliminare di inammissibilità e di quanti hanno aderito alla sua iniziativa processuale. Tale conclusione non pare pienamente coerente con le premesse.

QUESTIONI

La pronuncia in commento si inserisce nel solco di un dibattito originato dalle riforme degli ultimi anni e che vede riproporre in relazione a una serie di “filtri” processuali previsti dal legislatore un dibattito dottrinale più risalente in tema di giudizio camerale e tutela dei diritti (per chi volesse approfondire LANFRANCHI, Profili sistematici dei procedimenti decisori e sommari, Riv. trim. dir. e proc. civ., 1987, 88; FAZZALARI, Procedimento camerale e tutela dei diritti, Riv Dir. Proc. 1988, 909, MANDRIOLI, C.D. Procedimenti camerali sui diritti e ricorso straordinario per Cassazione, Riv. Dir. Proc. 1988, 921, LANFRANCHI, La camerilizzazione del giudizio sui diritti, in Giur. It. 1989, IV, 83, MONTESANO, Dovuto processo su diritti incisi da giudizi camerali e sommari, in Riv. Dir. Proc., 1989, 915).

In una prospettiva diacronica, e con un moto discendente dal massimo grado al primo, le Sezioni Unite della Cassazione, in relazione a ipotesi di giudizio sommario, dove viene delibata preliminarmente la domanda giudiziale della parte come prerequisito per un più completo esame nel merito, hanno quindi interpretato e ridefinito:

  • Il vaglio preliminare di ammissibilità del ricorso in Cassazione di cui all’art. 360 bis c.p.c., prima riqualificando il contenuto della norma come infondatezza nel merito a dispetto del tenore letterale della rubrica (Cass. Sez. un. 6 settembre 2010 n. 19051 in Nuova Giur. Civ. Comm., 2011, 167 e nota di CARNEVALE)e poi torna, con una recentissima pronuncia a qualificarlo in termini di ammissiblità: Cass., sez. un., 21 marzo 2017, n. 7155 (in questo Notiziario, 9 maggio 2017, con nota critica di RUSSO, Le Sezioni unite tornano sull’inammissibilità ex art. 360 bis, n. 1 c.p.c.)
  • Il giudizio sulla ragionevole probabilità di accoglimento dell’appello, c.d. «filtro in appello» ex art. 348 bis e ter c.p.c., con identificazione delle patologie da cui può essere affetto e i rimedi esperibili avverso il provvedimento che chiude questo procedimento (Cass. Sez. un. febbraio 2016, n. 191, in ECLEGAL, con esame esplicativo di CICCARè Sul regime d’impugnazione dell’ordinanza filtro ex artt. 348 bis e ter c.p.c.)
  • Da ultimo, e con il caso esaminato, il giudizio di ammissibilità dell’azione di classe ex art. 140 Bis Codice del Consumo, specificando oggetto dell’accertamento del provvedimento negativo e limiti alla riproposizione della domanda (in ECLEGAL con nota di DONZELLI, Le Sezioni Unite sul ricorso straordinario in cassazione nei confronti dell’ordinanza d’inammissibilità dell’azione di classe).

In tutte queste ipotesi, secondo un modello di giudizio destrutturato, il Giudice svolge un esame preliminare della domanda, al cui esito decide se entrare compiutamente nel merito della lite, da cui conseguirebbe la stabilità e l’efficacia della cosa giudicata.

A fronte del fatto che rispetto alla categoria epistemologica dell’inammisibilità processuale corrisponde una “carenza di un requisito processuale di ordine formale o extraformale, che impedisce al giudice di pronunciarsi sul merito della controversia” ì(GRAZIOSI, Riflessioni in ordine sparso sulla riforma del giudizio in cassazione (l. n. 69 del 2009),in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, 37); oppure un’inammissibilità genetica, che attiene alla confezione dell’atto introduttivo del giudizio e non può, pertanto, essere sanata successivamente all’atto della sua formale proposizione (Cass., sez. un., 21 marzo 2017, n. 7155 cit), la soluzione offerta dalle pronunce in esame è possibilista nel riconoscere a questi giudizi prognostici natura di esame nel merito al di là di quello che è il termine semantico usato dal legislatore.

Si tende quindi a canonizzare il c.d. criterio della ragione più liquida ampliando  l’area di operatività dell’inammissibilità, che in presenza di un aggancio  normativo permette di qualificare come viziata da questa “patologia” la domanda introduttiva del giudizio non solo per vizi formali, ma anche in presenza di ragioni di merito che portano al suo rigetto e risultino agevolmente percepibili e, perciò, suscettibili di un più snello iter motivazionale.

Secondo l’ordinanza di inammissibilità 140 bis d.lgs. 206/2005 non  sarebbe, invece, mai, un provvedimento di merito nemmeno quando chi promuove l’azione in forma collettiva ha proposto una domanda manifestamente infondata.

Ma nel caso dell’ordinanza d’inammissibilità ex art. 140 bis d.lgs. 206/2005 la soluzione proposta non convince: se nell’art. 360 bis c.p.c. l’interpretazione fornita salva la norma da censure di costituzionalità (cfr. CARNEVALE, cit., 173) e in relazione all’art. 348-ter c.p.c. si compone un contrasto dove un filone interpretativo arrivava all’estremo di vedere in questa ordinanza un provvedimento assolutamente inimpugnabile e privo di qualsiasi controllo giudiziale (Cass., 17 aprile 2014, nn. 8940, 8941, 8942, 8943 in Giur. It.,2014, 1112 con nota critica di CARRATTA, Ordinanza sul «filtro» in appello e ricorso per cassazione) nel caso della class action seguendo la soluzione interpretativa delle Sezioni Unite si hanno due non condivisibili punti di approdo: un giudicato secundum eventum litis per il proponente e l’insorgere di una barriera processuale all’accesso alla giustizia non prevista dal dato positivo.

Se la pronuncia di manifesta infondatezza nel merito non vincola il proponente, il quale può riproporre come singolo la propria azione, l’istituto della pubblicazione della ordinanza negativa ex comma 8 art. 140 bis. C.d.c. perde qualsiasi funzione teleologica (come fatto notare nell’ordinanza che ha rimesso la questione alle sezioni unite Cass., 24 aprile 2015, n. 8433, in I Contratti, 2015, 979 con nota di SCHIRRIPA), in quanto la stessa parte soccombente può riformulare e proporre in proprio l’azione tentata in via collettiva, magari correggendo errori di impostazione o deficienze del proprio onere probatorio per giungere a una pronuncia diametralmente opposta a quella oggetto di delibazione sommaria.

Più coerente sarebbe stato, allora, fare una distinzione per questa ipotesi, e riconoscere che nel caso di manifesta infondatezza prevista dall’art. 140 bis Codice del Consumo si incide nel merito il diritto del proponente, con efficacia di giudicato, fatto per cui è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione: la forma camerale di questo giudizio non ne esclude la natura contenziosa e quindi  la natura decisoria del provvedimento che accerta la manifesta infondatezza del diritto fatto valere e la sua definitività per assenza di ulteriori mezzi di impugnazione (cfr. DENTI, Norme sulla giurisdizione – La Magistratura, in Commentario della Costituzione a cura di Giuseppe Branca, IV, Bologna – Roma, 1987,15).

In un’ottica di sistema, dove il ricorso ex art. 111 cost. è dichiarato  norma cardine del giusto processo (cfr. CARRATTA, La Corte costituzionale e il ricorso per cassazione quale “nucleo essenziale” del «giusto processo regolato dalla legge»: un monito per il legislatore ordinario, in Giur. It., 2010, 627) il sottotesto a questa ricostruzione dell’art. 140 bis d.lgs. 206/2005 pare esser  la preoccupazione di garantire una gestione efficiente della giustizia, i.e. cercare di ridurre il carico di questioni potenzialmente pendenti avanti la Cassazione; ma se ci si pone sul piano dei diritti, allora la situazione non doveva essere molto difforme da quella assunta in relazione all’art. 348 ter c.p.c., dove una precisa tassonomia delle possibili pronunce che concludono il giudizio sulla ragionevole probabilità di accoglimento dell’appello, come l’erronea liquidazione delle spese (questione questa ad esempio non affrontata dalla pronuncia del 2017 sulla class action, ma del tutto omologa a quella decisa Cass. Sez. un. febbraio 2016, n. 191), consente alla parte soccombente, a determinate condizioni, l’accesso a un successivo grado di giudizio avanti il Giudice di legittimità, affinchè svolga la sua funzione di nomofilachia e controllo.

Se poi si dovesse leggere la questione anche in chiave economica, la tutela collettiva è spesso l’unico mezzo per garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, in quanto i costi che il singolo affronta per promuovere la domanda in proprio sono superiori ai benefici che ottiene in caso di totale vittoria nel merito, fatto per cui la tesi della libera riproponibilità in proprio della domanda dichiarata inammissibile ex art.140 bis d.lgs. 206/2005 è solo…. una parvenza di tutela giudiziale. La proponibilità astratta di una domanda, quando si scontra con la preclusione di fatto all’accesso alla giustizia è, senza possibilità di esclusione, incostituzionale (così come riconosciuto Corte costituzionale del 10 febbraio 2006, n. 50 in Giur. cost. 2006, 446, con nota di F. Gambini in relazione alla delibazione preliminare di ammissibilità sull’azione di accertamento  della paternità ex art. 274 c.c.)

Non convince, allora, la stabilità che questo accertamento negativo, che sarebbe di natura solo processuale, acquista  così nei confronti del solo soccombente quando l’intero giudizio è strutturato sulle forme del procedimento in camera di consiglio, per cui quell’ordinanza di inammissibilità dovrebbe essere sempre revocabile e modificabile ex art. 742  c.p.c., anche alla luce di fatti sopravvenuti e non solo di una differente difesa in diritto (Cfr. BOCCAGNA, Una condivisibile pronuncia della Corte di cassazione sulla non ricorribilità ex art. 111 Cost. dell’ordinanza che dichiara inammissibile l’azione di classe, in Riv. Dir. Proc., 2013, 197. Per approfondimenti e una casistica sulle sentenze sul processo e la loro opponibilità tra le medesime parti e a terzi vedi anche Turroni, L’efficacia delle sentenze «a contenuto processuale» in questo Notiziario, 3 maggio 2017). Solo una precisa identità della nuova richiesta di tutela in via collettiva con quella dichiarata inammissibile, sia soggettiva che oggettiva, sarebbe coerente con l’impostazione dell’improponibilità della domanda da parte dell’originario consumatore, perché non vi sarebbe quella variazione che rende revocabile il provvedimento precedente di diniego.

Corollario della precedente critica è l’estensione di questo fenomeno di consumazione dell’azione a tutti gli aderenti all’iniziativa dell’originario attore che promuove l’azione collettiva, atteso che la norma dell’art. 140 bis d.lgs. 206/2005 vieta l’intervento volontario, ma prevede il fenomeno dell’adesione e conseguente estensione del futuro giudicato sul merito a terzi, solo dopo il vaglio positivo di ammissibilità da parte del Tribunale, che determina anche condizioni e modalità con cui l’adesione viene esercitata (Cfr. Trib. Torino, 10 aprile 2014, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2014, 580 e nota di ANTONUCCI). Individuare con precisione i soggetti cui questa preclusione si applichi, là dove l’adesione sia un atto non tipizzato e suscettibile di contestazione in relazione alla sua validità ed efficacia, può generare ulteriore contenzioso allorchè un terzo aderente voglia successivamente assumere in proprio il ruolo di proponente di una azione di classe e contesti l’opponibilità nei suoi confronti della precedente ordinanza di inammissibilità eccependo… la nullità della propria adesione!

In conclusione, la struttura e la funzione astratta di un giudizio, non mi pare ne muti la natura in concreto, specie se di tipo contenzioso e svoltosi nel contraddittorio tra due o più parti: il ricorso al modello camerale in via preliminare di delibazione di una domanda giudiziale non esclude che il provvedimento negativo entri nel merito e neghi il bene della vita al soggetto attore, né che l’assenza di mezzi di impugnazione tipici valga ad escluderne la definitività. Se questa procedura non ha quindi correttivi al suo interno, per eventuali patologie da cui dovesse essere affetta, la soluzione deve essere cercata all’esterno, con un ricorso straordinario per cassazione avverso il provvedimento che chiude questo giudizio o, come sostenuto da alcuni, con una querela nullitatis sul medesimo oggetto (Così CARRATTA, Sulla Tutela del diritto soggettivo di natura processuale «inciso» dal provvedimento camerale, in Giur. it., 1996, I, 1, 751 ss.). Se poi questa pronuncia “in rito” acquisisce un’efficacia pro iudicato, con conseguente stabilità del provvedimento tra le medesime parti del giudizio, quasi alla pari di una questione di giurisdizione, un ulteriore mezzo di controllo formale su un provvedimento che acquisisce carattere definitivo mi pare soluzione necessitata.