La norma di interpretazione autentica può escludere la giurisdizione con efficacia retroattiva? Sì, ma se maschera una norma innovativa allora è incostituzionale
di Stefano Nicita Scarica in PDFCass. civ. Sez. Unite, Ordinanza, 28 dicembre 2016, n. 27074 – Pres. Rodorf – Est. Perrino
Giurisdizione – Giurisdizione in materia di tasse e diritti aeroportuali – Giurisdizione tributaria – Norma interpretativa sopravvenuta – Attribuzione al giudice ordinario – Questione di legittimità costituzionale (Cost. artt. 3, 24, 25, 102, 111 e 117; CEDU art. 6; C.p.c. art. 5; Prel. art. 11; D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, art. 39 bis; L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 478).
[1] E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 478, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 che ha modificato la norma di interpretazione autentica di cui al 1° comma dell’art. 39 bis del D.L. n. 159 del 2007, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 102, 111 e 117 Cost.
CASO
[1] Nel luglio 2009 l’ENAC richiede a tredici società di gestione di aeroporti il versamento delle somme dovute onde alimentare, in base alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1328, il fondo istituito per finanziare il servizio antincendi negli aeroporti nazionali. Le società coinvolte ricorrono al giudice tributario contro tale pretesa.
La Commissione tributaria provinciale di Roma afferma, in primo grado, la giurisdizione del giudice tributario ed accoglie il ricorso, dichiarando le società non obbligate a corrispondere il contributo a far data dal 1 gennaio 2009, in base alla considerazione che le risorse confluite nel fondo antincendi sarebbero state destinate a finalità estranee a quelle previste dalla legge che quel fondo aveva istituito.
Da parte sua, invece, la Commissione tributaria regionale del Lazio, in appello, dichiara il proprio difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario, affermando che “la norma attribuisce al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie riguardanti il pagamento delle tasse e dei diritti aeroportuali”. Ciò a seguito delle innovazioni legislative introdotte nel 2007 da una norma di interpretazione autentica (D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, art. 39 bis, aggiunto, in sede di conversione, dalla L. 29 novembre 2007, n. 222) e, poi, ampliate (successivamente alla proposizione dell’iniziale ricorso tributario) dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art.1, comma 478 (la quale ha novellato il citato D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, art. 39 bis).
Avverso questa sentenza le società propongono ricorso Cassazione ponendo preliminarmente la questione della giurisdizione del giudice tributario. Le amministrazioni coinvolte rispondono con controricorso e chiedono che venga dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
SOLUZIONE
[1] La Corte Suprema, come riportato nella massima, rimette alla Consulta la questione di legittimità costituzionale della disposizione da ultimo richiamata.
Il Collegio pone svariate questioni di ordine costituzionale alla base di tale decisione: (a) innanzitutto, la norma, intervenendo in assenza di una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo e della sua applicazione, appare lesiva del canone generale della ragionevolezza delle norme stabilito dall’art. 3 Cost.. In secondo luogo, non sembra manifestamente infondato il dubbio che la legge in esame abbia “snaturato” la materia, sottraendola al giudice precostituito per legge, in violazione dell’art. 25 Cost.. (b) Per di più, pare di dubbia tenuta la legittimità costituzionale anche in relazione agli artt. 102, comma 1, 111 e 117 Cost., letti in combinato con l’art. 6 della CEDU, rispetto al principio di “affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico come specchio della ragionevolezza della legge”, poiché nel caso in esame non paiono ravvisabili: né un motivo imperativo, proprio delle leggi interpretative, di sciogliere incertezze; né un motivo imperativo atto a garantire una coerente attribuzione al giudice ordinario. (c) Infine, gli Ermellini hanno ritenuto che tale intervento retroattivo con norma innovativa potesse riverberarsi sull’affidamento della parte nell’agire e difendersi, minando la garanzia presidiata dall’art. 24 Cost..
QUESTIONI
[1] Il problema sulla giurisdizione, che la Suprema Corte si trova a dirimere nella pronuncia in oggetto, è affrontato secondo una duplice angolatura. Da una parte, infatti, la Cassazione si interroga sull’esistenza dei presupposti costituzionali che, in generale, rendono ammissibile una legge di interpretazione autentica. Da altra parte, la Corte analizza i limiti che la portata retroattiva della norma interpretativa in esame incontra alla luce del principio di ragionevolezza (v. Corte Cost., 4 agosto 2003, n. 291).
(a) Sui presupposti e limiti di ammissibilità delle norme interpretative.
Sul punto, basti richiamare (come fa la stessa Suprema Corte) l’insegnamento della Corte Costituzionale, che aveva fissato i limiti de quibus. In particolare Corte Cost., 5 aprile 2012, n. 78 dichiarò incostituzionale una norma che, pur “autoqualificandosi di interpretazione”, dunque retroattiva, era in realtà innovativa dell’ordinamento: tale norma violavail divieto di retroattività della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), che assurge a valore fondamentale di civiltà giuridica (pur non ricevendo nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost.). Infatti, in assenza di una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, la norma non poteva dirsi «interpretativa»; né la sua efficacia retroattiva rispondeva a motivi imperativi di carattere generale. Di qui il contrasto con il canone generale della ragionevolezza delle norme (art. 3 Cost.).
In tali casi, inoltre, la norma è stata considerata costituzionalmente illegittima anche per violazione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La CEDU ha, infatti, più volte affermato che: “se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 della Convenzione ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia.” (v. RIZZUTI, Giur. It., 2012, 11, 2283; AIELLO, Nuova Giur. Civ., 2012, 12, 1, 1039; PALMIERI, Foro It., 2012, 10, 1, 2585).
(b) Sulla irretroattività in deroga al c.d. principio della perpetuatio iurisdictionis.
L’art. 5 c.p.c. stabilisce che: “La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo“. Si tratta del c.d. principio della perpetuatio iurisdictionis (v. CAPONI, Tempus regit processum (un appunto sull’efficacia delle norme processuali nel tempo), in Riv. Dir. Priv., 2006, 449; CHIOVENDA, Sulla «perpetuatio iurisdictionis», in Foro It., 1923, I, 362; FINOCCHIARO, Perpetuatio iurisdictionis e ius superveniens in tema di giurisdizione e di competenza (art. 5 c.p.c.), in Giust. Civ., 1991, II, 329. In giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. un., 1 luglio 1997, n. 5899, Mass. Giur. It., 1997; Cass., 14 ottobre 2014, n. 21633, ANTONIOTTI, Nuova giur. civ. com., 2015, 3, 199).
Pur tuttavia, nella pronuncia in esame la Corte afferma che: “ è innegabile che sussiste uno spazio, sia pur limitato, per interventi del legislatore con efficacia retroattiva; ma altrettanto indubbio è che questo spazio è circoscritto, sia in positivo, sia in negativo. In positivo, occorre che l’intervento legislativo con effetti retroattivi sia sorretto da motivi imperativi d’interesse generale. In negativo, inoltre, occorre escludere che la legge retroattiva segni l’ “ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare la risoluzione di una controversia” (CEDU, 11 dicembre 2012, De Rosa contro Italia; CEDU, 14 febbraio 2012, Arras e altri contro Italia; CEDU, 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia; CEDU, 31 maggio 2011, Maggio e altri contro Italia; CEDU, 10 giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia; CEDU, 29 marzo 2006, Scordino e altri contro Italia).
Sulla questione, la Corte rileva che proprio l’efficacia retroattiva della norma di interpretazione autentica (se fosse ritenuta costituzionalmente legittima nel caso concreto) impedirebbe l’applicazione della regola fissata dall’art. 5 c.p.c., espressione di quella generale di cui all’art. 11 preleggi (Cass. 15 febbraio 2011, n. 3688; sulla deroga all’art. 5 c.p.c., a causa di norma retroattiva, cfr., Cass., S.U., 26 febbraio 2004, n. 3888).
Ad avviso dei Supremi Giudici, infatti, il principio di perpetuatio iurisdictionis non trova diretta efficacia in un caso avente ad oggetto una norma di interpretazione autentica. Secondo la Corte: “sarebbe difatti neutralizzata la retroattività di tale norma qualora se ne circoscrivesse l’applicabilità alle sole controversie insorte o anche ai soli singoli atti compiuti dopo la sua entrata in vigore.“
In conclusione, anche in materie dove la retroattività è vietata, la legge interpretativa è tollerata dall’ordinamento; ma a patto che sia davvero interpretativa (tale è di solito quando interviene su un contrasto di giurisprudenza, optando per una delle soluzioni che la giurisprudenza già indica).
In queste materie non è invece tollerata la legge “travestita” da norma interpretativa, cioè innovativa ma retroattiva. In tal caso la legge è costituzionalmente illegittima perché retroattiva (si assume che l’etichetta “legge interpretativa” lasci il giudice libero di considerarla innovativa; ma lo vincoli ad attribuirle in ogni caso efficacia retroattiva).
Eccezioni al principio della perpetuatio iurisdictionis (riferibile sia alla giurisdizione che alla competenza) saranno, quindi, costituzionalmente legittime soltanto a seguito di disposizioni di legge retroattive che hanno natura realmente interpretativa ; o che rispondono a ragioni imperative di interesse generale (cfr. per es.: l’art. 1, D.Lgs. 19.2.1998, n. 51, sulla soppressione dell’ufficio del Pretore). E’ poi pacifico che, nel silenzio della legge sulla sua efficacia retroattiva, , troverà piena applicazione l’art. 5 c.p.c. (Cass., S.U., 22 novembre 2010, n. 23597, Giur. It., 2011, 8-9, 1857).