La transazione stipulata dal datore di lavoro e dal lavoratore finalizzata all’esodo incentivato di quest’ultimo
di Evangelista Basile Scarica in PDFCassazione Civile, Sezione Lavoro, 28 settembre 2016, n. 19179
Incentivo all’esodo – Transazione accettata dal lavoratore – Impugnazione del licenziamento –Illegittima
MASSIMA
In tema di transazione stipulata dal datore di lavoro e dal lavoratore occorre indagare se le parti, mediante l’accordo, abbiano perseguito la finalità dl porre fine all’“incertus litis eventus” – anche solo per una parte del contenzioso – senza che, tuttavia, sia necessaria l’esteriorizzazione delle contrapposte pretese, né che siano state usate espressioni direttamente rivelatrici del negozio transattivo, la cui esistenza può essere desunta anche dalla corresponsione di denaro da parte del debitore, accettata dal creditore dichiarando di essere stato pienamente soddisfatto e di non avere null’altro a pretendere, se possa ritenersi che essa esprima la volontà di porre fine ad ogni ulteriore contesa, ferma restando l’inammissibilità della prova testimoniale diretta a provare un diverso contenuto del rapporto transattivo.
COMMENTO
La questione portata all’attenzione della Corte di Cassazione ha a oggetto la valutazione dell’esito risolutorio di un rapporto di lavoro laddove il lavoratore accetta una somma di denaro, a titolo di incentivo all’esodo, ulteriore e aggiuntiva rispetto al trattamento di fine rapporto. Accolto in parte dal Tribunale di Messina il ricorso del lavoratore avverso il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con conseguente tutela reale ex art. 18 L. n. 300/1970, la Corte d’Appello, premesso che nelle more il lavoratore aveva optato per l’indennità sostituiva in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, ha riformato la pronuncia di primo grado, accogliendo in toto i motivi di gravame proposti dalla società datrice di lavoro. Precisamente, avendo il lavoratore in forza di appositi accordi, ricevuto una somma di denaro quale incentivo all’esodo, i Giudici d’Appello, visto il menzionato accordo risolutorio, hanno riconosciuto la volontà delle parti di cessare il rapporto di lavoro e, pertanto, la legittimità del licenziamento intimato al lavoratore. Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Messina, ha proposto ricorso per Cassazione il lavoratore. La Suprema Corte si è anzitutto soffermata sull’inammissibilità di uno dei motivi di doglianza, per ribadire che, in base al nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, non è più ammesso il ricorso per Cassazione per vizio di motivazione illogica e contraddittoria della sentenza impugnata. Ciò precisato, gli Ermellini hanno quindi evidenziato come “in tema di transazione stipulata dal datore di lavoro e dal lavoratore finalizzata all’esodo incentivato di quest’ultimo, l’interpretazione delle relative disposizioni contrattuali è riservata al giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione coerente e logica”. A tal proposito, secondo la Corte, occorre dunque valutare se le parti, nel giungere all’accordo, abbiano perseguito il fine di evitare l’alea di un eventuale giudizio, senza che in tal senso si renda necessario esprimere il dissenso sulle contrapposte pretese né che vengano usate espressioni direttamente rivelatrici dei negozio transattivo. L’esistenza della transazione, infatti, “può essere anche desunta da una corresponsione di somma di denaro da parte del debitore, accettata dal creditore dichiarando di essere stato pienamente soddisfatto e di null’altro avere a pretendere, se possa ritenersi che essa esprima la volontà di porre fine ad ogni ulteriore contesa”.
Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO