Attività negoziali pregiudizievoli dei terzi creditori
di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDFNell’ambito dei rapporti bancari non è infrequente la censura di condotte lesive dei diritti di terzi creditori. A tale riguardo si segnala un’interessante decisione della Suprema Corte (Cass. 28 settembre 2016, n. 19196).
Rilevano i giudici di legittimità che in assenza di una norma che vieti, in via generale, di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non è, di per sé, illecito, sicché la sua conclusione non è nulla per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alla parti, apprestando l’ordinamento, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, dei rimedi speciali che comportano, in presenza di particolari condizioni, l’applicazione della sola sanzione dell’inefficacia (Cass. 31 ottobre 2014, . n. 23159).
Il motivo illecito che, se comune e determinante, determina la nullità del contratto, si identifica con una finalità vietata dall’ordinamento perché contraria a norma imperativa, ai principi dell’ordine pubblico o del buon costume, ovvero poiché diretta ad eludere, mediante detta stipulazione, una norma imperativa. Pertanto, l’intento delle parti di recare pregiudizio ad altri – quale quello di attuare una frode ai creditori, di vanificare un’aspettativa giuridica tutelata o di impedire l’esercizio di un diritto – non è illecito, ove non sia riconducibile ad una di tali fattispecie, non rinvenendosi nell’ordinamento una norma che sancisca in via generale (come per il contratto in frode alla legge) l’invalidità del contratto in frode dei terzi, per il quale, invece, l’ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possano risentire dall’altrui attività negoziale (Cass. 4 ottobre 2010, n. 20576, Cass., S.U., 25 ottobre 1993, n. 10603).
La decisione si segnala, infine, per avere stabilito che anche sotto il profilo della rilevanza della ipotesi di bancarotta preferenziale ai fini dell’accertamento della illiceità della causa del contratto, la disposizione dell’art. 216, comma 3, della legge fallimentare non dà luogo alla nullità del contratto ma costituisce il presupposto per la revocazione degli atti lesivi della par condicio creditorum. L’art. 1418, comma 1, c.c., con l’inciso “salvo che la legge disponga diversamente” impone infatti all’interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso di inosservanza dal precetto, abbia consentito la validità del negozio predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti dalla norma (Cass. 12 ottobre 1982 n. 5270, Cass. 1 agosto 1987, n. 6668).