La motivazione sintetica dei provvedimenti della Cassazione
di Fabio Cossignani Scarica in PDFSi fa sempre più centrale il tema della chiarezza e della sinteticità degli atti, giustificato anche da un’involuzione qualitativa del dialogo tra i soggetti protagonisti della contesa giudiziaria. Oltre agli interventi normativi, assumono grande rilevanza i provvedimenti organizzativi come il decreto 136/2016 del primo Presidente del Primo Presidente della Corte di cassazione.
Interventi in favore della sinteticità e della chiarezza.
Negli ultimi anni, gli sforzi del legislatore e degli altri protagonisti del mondo giudiziario si stanno concentrando anche sulla “sinteticità” degli atti, allo scopo di ridurre (o almeno di contribuire a ridurre) per questa via la durata media dei processi.
Al riguardo, senza pretese di completezza, occorre ricordare:
- l’art. 132 c.p.c., come riformato dalla l. 69/2009, che prevede la «concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione», quale contenuto della sentenza;
- il decreto n. 27, del 22 marzo 2011, del Primo Presidente della Cassazione «sulla motivazione semplificata di sentenze e di ordinanze decisorie civili»;
- il Protocollo di intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio nazionale forense sulle regole redazionali dei ricorsi in materia penale, civile e tributaria, del 17 dicembre 2015 (su cui, v. Donzelli, Il protocollo d’intesa sulle regole redazionali degli atti del giudizio di cassazione in materia civile e tributaria);
- con riferimento al processo amministrativo, l’art. 3 c.p.a., l’art. 13 ter disp. att. c.p.a. e il decreto n. 40/2016 del Presidente del Consiglio di Stato che, tra l’altro, fissa il limite dimensionale massimo degli atti di parte;
- a livello sovranazionale, le norme di procedura per i giudizi dinanzi alla Corte Edu e alla Corte di giustizia UE (rispettivamente artt. 47 e 58).
Da ultimo – in ordine di tempo ma non per importanza – è intervenuto il decreto n. 136 del 14 settembre 2016 del Primo Presidente della Corte di cassazione (Giovanni Canzio).
Il decreto 136/2016 del Primo Presidente della Cassazione.
Il decreto n. 136/2016 ha ad oggetto “la motivazione sintetica” dei provvedimenti civili.
Esso muove dal presupposto che le decisioni della Corte siano classificabili in due grandi tipi: a) quelle a valenza nomofilattica; b) quelle prive di valenza nomofilattica.
Per entrambi i tipi di provvedimenti si invoca il rispetto dei seguenti canoni:
- chiarezza ed essenzialità;
- stretta funzionalità dell’iter argomentativo alla decisione;
- assenza di motivazioni subordinate, di obiter dicta e di ogni enunciazione che vada oltre ciò che è indispensabile alla decisione;
- puntualità dei richiami ai precedenti della giurisprudenza di legittimità.
Le valenza nomofilattica del provvedimento (da pronunciare) deve essere vagliata già in sede di primo spoglio dei ricorso, riconsiderata al momento della deliberazione nella camera di consiglio e, infine, documentata «mediante indicazione specifica nello statino/dispositivo e nell’oggetto della intestazione».
Il decreto n. 136 precisa inoltre che i provvedimenti che costituiscono espressione dello ius constitutionis devono «evidenziare le questioni di diritto desumibili dalle censure articolate con i motivi ed esporre il percorso argomentativo per giungere alla enunciazione del principio di diritto».
Viceversa, nei provvedimenti che non sono manifestazione della funzione nomofilattica della Corte:
- l’esposizione dei fatti deve essere molto concisa ed essere finanche omessa quando i fatti possono comunque risultare dall’esposizione delle ragioni della decisione;
- l’esposizione dei motivi di ricorso deve essere omessa quando «la censura possa risultare del medesimo tenore della risposta della Corte».
In ogni caso, la tecnica redazionale prescelta va commisurata alla complessità delle questioni che devono essere decise.
Al fine di perseguire con maggiore effettività gli obiettivi fissati, si dispone che i Presidenti di sezione, nel redigere il rapporto informativo sui singoli magistrati, tengano conto delle capacità di questi di redigere provvedimenti in «forma sintetica», anche ricorrendo alla «forma semplificata».
Brevi considerazioni
Il testo del decreto è condivisibile, dal momento che le considerazioni e disposizioni ivi contenute sono senza dubbio ragionevoli e per certi aspetti anche ovvie.
Ad esempio, è scontato che un provvedimento debba essere «chiaro».
A ben vedere, poi, anche la sinteticità dovrebbe essere connaturata al provvedimento giurisdizionale, così come la stretta funzionalità dell’iter argomentativo alla decisione, l’assenza di inutili obiter dicta e la puntualità dei richiami giurisprudenziali.
Pertanto, se è vero che l’esplicitazione di tali caratteri della decisione ha lo scopo dichiarato di attenuare l’eccessiva durata dei giudizi, nella specie quelli di legittimità, tuttavia il miglioramento tecnico dell’esercizio del potere giurisdizionale va perseguito a prescindere dalla “lentezza” della giustizia civile.
Il decreto n. 136 sembra quindi prendere atto, implicitamente, dell’esistenza di provvedimenti della Cassazione che, talvolta, violano il canone della sinteticità, con ripercussioni negative sulla chiarezza della decisione.
Infatti, se un provvedimento prolisso può anch’esso risultare chiaro, di certo al moltiplicarsi degli enunciati corrisponde un maggiore rischio di incorrere in fraintendimenti o dubbi interpretativi.
E ciò è vero sia per i provvedimenti giurisdizionali, sia per le norme positive, sia per i testi di dottrina, pur con le necessarie specificazioni.
Nell’ambito giuridico, il tema della sinteticità e chiarezza, d’altronde, è generale. Non è raro imbattersi in provvedimenti che si dilungano in complesse costruzioni sistematiche così come non sono rari gli enunciati normativi colmi di incisi e proposizioni subordinate o le opere di dottrina in cui la sovrabbondanza di riferimenti e i barocchismi concettuali finiscono per collocare in secondo piano i momenti della sintesi e della chiarificazione.
In tale contesto, ci si augura che il decreto n. 136 costituisca anche l’occasione per interrogarsi sulla portata e sulle cause del fenomeno che si intende arginare e per indurre una serie riflessione sulla formazione del giurista.