17 Gennaio 2017

Recenti precisazioni della Suprema Corte di Cassazione in merito all’annullabilità delle delibere assembleari

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Quasi  “in sordina “, la  Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n.23903, pubblicata il 23 novembre 2016 (relatore Antonio Scarpa), ha affrontato una serie di questioni sulla validità delle delibere assembleari, traendo spunto dalla censura sottopostale: se nel verbale di assemblea, ai fini della validità della delibera  occorre o meno dare conto non solo del cognome del condomino (assenziente, dissenziente, astenuto e della quota millesimale), ma anche del suo nome proprio di battesimo…

La vicenda portata all’attenzione della Corte traeva origine dall’impugnazione proposta da un  “bellicoso” condomino nei confronti della compagine condominiale, rispettivamente avverso n.2 sentenze  pronunziate dalla Corte di Appello di Torino, in esito a distinte impugnazioni di due differenti verbali di altrettanto distinte assemblee condominiali, laddove il ricorrente aveva eccepito plurime questioni, involgenti, tra l’altro:

  • mancata comunicazione avviso di convocazione assemblea;
  • difetto di convocazione di altro condomino;
  • omessa indicazione all’odg di argomento poi deliberato;
  • invalidità per eccesso di potere;
  • mancato o omessa specifica indicazione del nome e cognome dei singoli condomini assenti, dissenzienti, astenuti;
  • eccezione sulla querela di falso e la natura di scrittura privata del verbale.

La Corte riuniva i ricorsi avverso le rispettive sentenze impugnate, per evidente connessione soggettiva  e parziale identità delle questioni di diritto trattate.

Relativamente ai vari motivi di censura e per quanto maggiormente ci occupa, argomentando sulle singole censure, la Corte offre lo spunto di chiarire una serie di questioni.

Innanzitutto, ribadisce che le eventuali modalità di convocazione riprodotte all’interno di un regolamento condominiale, ed asseritamente indicate dal condomino ricorrente quale fonte di legge, hanno natura “meramente regolamentare, organizzativa o contrattuale, sicchè l’interpretazione o applicazione di esse fatta dal giudice del merito non può essere denunciata in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 n.3 c.p.c., come se si trattasse di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per tali intendendosi solo quelle risultanti dal sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico”. Per il vero, il relatore chiarisce, che differentemente sarebbe censurabile in sede di legittimità, l’inosservanza del giudice del merito dei canoni di ermeneutica o per errori logici, ai sensi dell’art. 360 n.5.

Inoltre, a corollario, del principio di diritto di seguito espresso ed operando precisi richiami anche alla nuova disciplina condominiale (L. 220/12), la Corte ribadisce da una parte l’orientamento consolidatosi a seguito di Cass. SS UU n.4806 del 7.3.2005, ed in base alla quale l’omessa convocazione rileva sotto il profilo dell’annullabilità e non della nullità e dall’altra chiarisce che i portatori di interesse giuridico all’impugnazione della delibera sono soltanto gli assenti o dissenzienti in quanto non ritualmente convocati.

Pertanto, nei confronti del condomino irritualmente convocato, ma ugualmente presente in assemblea, opererà la presunzione che il medesimo ne abbia comunque avuto notizia, cosicché l’irregolarità della convocazione sarà conseguentemente sanata   (Cass. sez. 2^, n.4531 del 27.3.2003), non avendo potere di impugnare la delibera.

Di riflesso la sentenza chiarisce anche la portata del nuovo articolo 66, comma 3, disp. att. c.c., specificando che il condomino ritualmente convocato, non ha il potere di impugnare la delibera per difetto di convocazione di altro condomino, essendo solo tale ultimo titolare dell’interesse ad agire, in quanto il vizio inerirebbe la di lui sfera giuridica.

Nella rassegna delle pregevoli argomentazioni indicate, la pronuncia della Cassazione specifica altresì che l’omessa indicazione di un argomento in sede di odg nell’avviso di convocazione, argomento poi che ha formato oggetto di delibera, deve essere eccepito dal condomino dissenziente nel merito in sede di eccezione sull’irregolarità della convocazione, non potendo altrimenti essere eccepito se anch’egli vi ha deliberato.

Relativamente alla questione eccepita dal ricorrente in ordine all’omessa indicazione del nome di battesimo dei condomini all’interno di ogni singola deliberazione e senza la specifica indicazione del nome proprio, così come previsto dal regolamento di condominio, già la Corte di merito, rilevava che trattatasi di “incompletezza innocua, non profilandosi alcuna incertezza, sull’identità dei soggetti”.

Peraltro, il consolidato insegnamento della Suprema Corte ha sempre ribadito come: “ai fini della validità delle deliberazioni assembleari di condominio, devono essere individuati e riprodotti nel relativo verbale i nomi dei condomini assenzienti e di quelli dissenzienti, nonché i valori delle rispettive quote millesimali”, sulla specifica considerazione che tale indicazione è necessaria ai fini della validità dell’approvazione delle delibere, al fine di identificare i portatori di interesse all’impugnazione e rilevare eventuali situazioni di conflitto di interesse, salvo ovviamente, ove la confusione non derivi da eventuali omonimie.

Infine, quanto alle altre eccezioni sollevate dal ricorrente, la sentenza della Suprema Corte chiarisce la natura di scrittura privata e non di atto pubblico del verbale di assemblea condominiale, specificando che la sottoscrizione dello stesso da parte del presidente  e del segretario, limitano il valore di prova legale alla provenienza dei sottoscrittori e non al contenuto, potendosi pertanto impugnare la veridicità del contenuto  facendo ricorso ad ogni mezzo di prova (Cass., sez. 2^, n.747 del 15.3.1973) ed incombendo al condomino che eccepisce la veridicità del contenuto l’onere di provare il falso.

Ulteriori spunti offerti dalla lettura della sentenza, consentono di ritornare sull’annoso argomento dell’impugnazione delle cosiddette delibere programmatiche o preparatorie, distinguendole da quelle propriamente a contenuto decisorio, sorgendo l’interesse ad impugnare soltanto in relazione a queste ultime e non già alle prime.

Nel caso di specie, era stato deliberato di dare mandato ai consiglieri del condominio di individuare un modello e colore delle tende da sole da apporre in facciata, al fine del rispetto del decoro architettonico dell’edificio, chiarendo che l’approvazione sarebbe stata proposta in prossima assemblea e senza vincolo di posa delle ridette tende per nessuno.

Su tale questione la Corte da una parte ribadisce i criteri interpretativi delle delibere assembleari, soffermandosi a chiarire che occorre fare riferimento ai canoni ermeneutici stabiliti dagli articoli 1362 c.c. e seguenti, “privilegiando l’elemento letterale”, soltanto laddove esso fosse insufficiente potranno applicarsi in via sussidiaria gli altri criteri, quali: “la valutazione del comportamento delle parti e la conservazione degli effetti dell’atto”.

Poi, la sentenza individua la distinzione tra delibera decisoria e programmatica, atteso che soltanto la prima è idonea a determinare il mutamento della posizione dei condomini suscettibile di pregiudizio e quindi di eventuale  impugnazione, in capo al portatore di specifico interesse alla censura.

Risulta pregevole che la Corte non disdegni di trovare spunto da questioni, anche e solo meramente formali, per fare costantemente il punto sulla situazione degli istituti condominiali maggiormente controversi, sempre più spesso fonte di conflittualità tra le parti.

Auspichiamo come anche i recenti interventi programmatici del legislatore sulla competenza esclusiva in capo ai futuri “gop” dell’intera materia condominiale, accrescendo competenze e specificità, possa rappresentare in futuro, ove la delega vada in porto…, un rimedio alla ridetta conflittualità condominiale.