Documento prodotto in copia fotostatica: forma ed effetti del disconoscimento
di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDFCass., 29 luglio 2016, n. 15790 – Presidente Chiarini – Relatore Barreca
Procedimento civile – Prova documentale – Scrittura privata – Copia – Disconoscimento della conformità all’originale – Termini (C.c. art. 2719; c.p.c. artt. 214, 215)
[1] In tema di prova documentale, l’onere di disconoscere la conformità della copia fotostatica prodotta in giudizio all’originale di una scrittura privata, pur non implicando l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto che consenta di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive.
CASO
In primo grado, la parte nei cui confronti era stato prodotto un documento in copia fotostatica eccepisce ai sensi dell’art. 2719 c.c. la non conformità di questo rispetto all’originale, dichiarando in comparsa di costituzione che “sin da ora si impugna e disconosce ex art. 215 c.p.c. e art. 2719 c.c. ogni produzione documentale in copia, contestandone la conformità all’originale”. Il giudice disattende (pur non pronunciandovi espressamente) l’eccezione, ritenendo processualmente utilizzabili i documenti prodotti in copia sulla cui base accoglie la domanda dell’attore.
SOLUZIONE
In motivazione la Cassazione mostra di voler confermare il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui l’onere di disconoscere la conformità della copia fotostatica prodotta in giudizio all’originale di una scrittura privata può dirsi assolto qualora la parte renda una dichiarazione che – pur nel silenzio della legge, che non richiede forme particolari – evidenzi in modo chiaro e inequivoco i tratti di difformità del documento prodotto rispetto all’originale di cui costituisce mera copia, “senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive”.
QUESTIONI
Alla luce di quest’ultima precisazione sorprende semmai – stando almeno agli scarni riferimenti al fatto processuale emergenti dalla motivazione della sentenza – l’applicazione pratica tratta dalla Corte a partire da tali premesse teoriche.
La Corte sembrerebbe infatti aver considerato sufficiente ai fini di cui all’art. 2719 c.c. una dichiarazione fortemente sospetta di “genericità” e “onnicomprensività”, se è vero che la parte ha riferito l’eccezione a “ogni produzione documentale in copia”, con ciò astenendosi dall’elencare (i) gli specifici documenti di cui si contestava la conformità e (ii) gli specifici elementi di difformità tra le copie e gli originali.
Dalla motivazione emerge infatti, tutt’al più, che l’eccezione “è stata ribadita” in una successiva “udienza […] con specifico riferimento ai documenti” sui quali l’attore aveva basato le proprie “controeccezioni: attività che, se effettuata (come pare di comprendere) in prima udienza al fine di completare l’eccezione anticipata in comparsa di costituzione, avrebbe dovuto essere ritenuta tardiva.
Alla fattispecie di cui all’art. 2719 c.c. sono infatti applicabili i “modi e termini” del disconoscimento di scrittura privata di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c. (ossia la proposizione “nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione”), come per altro espressamente affermato nella motivazione della sentenza in commento: l’operatività dei medesimi termini è ribadita da Cass., 13 giugno 2014, n. 13425 (“la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, ove la parte comparsa non la disconosca in modo specifico e non equivoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione”); Trib. Roma, 7 gennaio 2016, in www.dejure.it; Cass., 4 febbraio 2014, n. 2374; Cass., 21 novembre 2011, n. 24456; Cass., 12 ottobre 2011, n. 20951; Cass., 25 febbraio 2009, n. 4476; Cass., 17 luglio 2008, n. 19680 (per cui, nell’ambito di un procedimento a contraddittorio differito quale quello che si origina da un decreto ingiuntivo, la “prima risposta” deve essere individuata nell’atto di opposizione atteso che con tale atto “si dà inizio non ad un autonomo processo, ma ad una fase di quello già iniziato con la notificazione del ricorso e del pedissequo decreto”).
La decisione conferma ulteriori parallelismi tra eccezione di disconoscimento della scrittura privata ed eccezione di non conformità della copia all’originale ai sensi dell’art. 2719 c.c.
La Cassazione applica infatti al tema in esame la più abbondante interpretazione giurisprudenziale delle norme in materia di disconoscimento del documento privato, recuperandone l’affermata superfluità di formule sacramentali (ricordata in materia di scrittura privata da Cass., 27 maggio 2016, n. 11048, e ribadita, in tema di copia fotostatiche, da Cass., 31 luglio 2013, n. 18349; Tribunale Napoli, 5 luglio 2012, in www.dejure.it; Cass., 24456/2011, cit.) e riaffermando al contrario, anche per la fattispecie dell’eccezione di non conformità della copia all’originale, i requisiti di chiarezza e inequivocità della dichiarazione (richiesta per il disconoscimento di scritture private, da ultimom da Cass., 31 ottobre 2016, n. 22043, in motivazione, e, in materia di copie, da Cass., 2374/2014, cit.; Cass., 30 dicembre 2009, n. 28096; Cass., 14 marzo 2006, n. 5461; Cass., 18 giugno 2004, n. 11419; Cass., 11 luglio 2003, n. 10912).
Ciò che differenzia le due ipotesi è l’onere di specifità richiesto alla parte che solleva l’eccezione e l’effetto cui mira la proposizione dell’eccezione.
Sotto il primo profilo, la parte che eccepisca ex artt. 214 e 215 c.p.c. è legittimata a limitarsi all’allegazione di non riconoscere come propria la sottoscrizione apposta in calce al documento (ex multis Cass., 18 maggio 2016, n. 10149; Cass., 6 maggio 2016, n. 9255), così residuando sulla parte che aveva prodotto la scrittura l’onere di proporre istanza di verificazione e, in quella sede, di provare che il segno nominale è autentico (Cass., 23 dicembre 2014, n. 27353; Cass., 19 giugno 2009, n. 14475).
Il disconoscimento della conformità della copia all’originale presuppone invece che il dichiarante indichi in quali punti la copia costituisce un “falso” (Cass., 30 giugno 2014, n. 14804), ossia sia stata materialmente contraffatta nel suo originario contenuto, o, più semplicemente, non corrisponde integralmente all’originale non prodotto (ad esempio, perché ne riproduce soltanto alcune parti), e sia in grado di offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che la scrittura presentava nella versione originale del documento (v. in tal senso Cass., 15 ottobre 2014, n. 21842, che ha ritenuto invalido il ” generico ed apodittico disconoscimento delle fotocopie delle fatture”, tanto più che “la parte non aveva mai concretamente specificato i motivi del disconoscimento”).
Quanto agli effetti, la distinzione è chiaramente tracciata dalla giurisprudenza secondo cui mentre il disconoscimento della scrittura privata, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrittura, l’eccezione ex art 2719 c.c., pur in assenza della successiva produzione degli originali, “non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni”, e, conseguentemente, “l’avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica del documento, impegna la parte contro la quale il documento viene prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all’originale, senza tuttavia vincolare il giudice all’avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l’efficacia rappresentativa” (Cass., 31 gennaio 2014, n. 2155; contra Cass., 11 novembre 2015, n. 22978, secondo cui, “in difetto di produzione degli originali” la copia, “di fronte al disconoscimento di conformità”, è “tamquam non esset“).
2 Gennaio 2017 a 16:28
In realtà si tratta di un obiter dictum; la S.C. infatti ha ritenuto che l’eccezione di disconoscimento, proposta e rigettata in primo grado e accolta in appello, non potesse essere decisa in secondo grado per mancanza di impugnazione sul punto.
Quindi, in merito ai requisiti del disconoscimento, la S.C. non ha assunto alcuna decisione relativamente al caso concreto, limitandosi a disquisizioni generali, tant’è che la massima che ne è stata tratta sembra in realtà propendere per la genericità dell’eccezione.