La responsabilità del consulente per concorso in bancarotta
di Antonio Morello, Avvocato Scarica in PDF
Con la sentenza n. 42572 del 7 ottobre 2016, la V Sezione Penale della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema che interessa da vicino quanti, a vario titolo, prestano assistenza professionale ad imprese in procinto di fallire o comunque ad alto rischio di insolvenza: la responsabilità, se il fallimento viene dichiarato, per concorso esterno in bancarotta fraudolenta (documentale e patrimoniale).
Partiamo col dire che la bancarotta fraudolenta per distrazione è un reato fallimentare proprio dell’imprenditore fallito (degli amministratori, di direttori generali, di sindaci e liquidatori di società fallite) per il quale è possibile il concorso di un soggetto terzo “estraneo” al fallimento ed all’impresa quale, appunto, può essere il consulente esterno: in particolare, la condotta agevolativa di quest’ultimo assume rilevanza penale allorquando sia efficiente sotto il profilo “causale” per la produzione dell’evento e soprattutto sia posta in essere con la volontà di agevolare l’imprenditore in dissesto nei suoi propositi distrattivi a danno del ceto creditorio.
Questo può accadere, ad esempio, fornendo supporto nella progettazione ed esecuzione di atti e contratti che realizzano propositi distrattivi ovvero fornendo consigli e suggerimenti pratici sui mezzi giuridici da impiegare per sottrarre beni ai creditori; propositi distrattivi che, stando alla nostra sentenza, i Supremi Giudici, aderendo al percorso argomentativo della Corte d’Appello, ritengono sussistenti avendo, gli imputati, programmato e concepito “(nei minimi particolari) un disegno iniziale (finalizzato a) rendere particolarmente complesso e difficoltoso l’accertamento del fine ultimo (…): frodare i creditori della società fallita, svuotandola dei beni, delle possidenze e delle attività produttive”.
Sul piano dello stato soggettivo, non è, dunque, richiesto provare l’esistenza di un previo concerto tra il consulente e l’amministratore (o l’imprenditore) bastando, in capo primo, il dolo generico e, cioè, la volontarietà della condotta agevolativa: parimenti non richiesta è anche la specifica conoscenza dello stato di dissesto sebbene, come ovvio, detta conoscenza, se provata, costituisce un importante (se non anche decisivo) indice rivelatore della consapevolezza di arrecare un danno alle ragioni creditorie.
Questa linea interpretativa, mutatis mutandis (soprattutto sul piano dell’elemento oggettivo), vale anche in relazione alla bancarotta fraudolenta documentale essendo penalmente rilevante la condotta del consulente che, ad esempio, agevola e supporta il comportamento dell’imprenditore o dell’amministratore della società volto ad alterare la regolarità e la correttezza della rappresentazione documentale.
Sebbene, anche qui, non sia richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, la sentenza in commento si segnala per aver comunque stigmatizzato un deficit motivazionale della decisione d’appello avendo, la corte territoriale, valutato, specificamente, l’“efficienza causale” della condotta agevolativa commessa dall’ “estraneo”: la Corte d’Appello, infatti ed in particolare, una volta accertato il mancato rinvenimento del libro giornale, del libro degli inventari e la natura sostanzialmente distrattiva di una serie di operazioni contrattuali, ha fatto discendere la responsabilità di diversi soggetti formalmente estranei all’amministrazione dalla loro partecipazione alle suddette operazioni senza, quindi, aver dimostrato (o, per meglio dire, “motivato”) l’incidenza causale della condotta posta in essere da questi soggetti.
È così che, nei confronti, in particolare, di due imputati, la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza d’appello per il reato di bancarotta fraudolenta documentale e, limitatamente ad “una parte” dell’attività distrattiva, per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.