8 Novembre 2016

Sulla qualificazione giuridica della domanda nel giudizio d’impugnazione

di Giulia Ricci Scarica in PDF

Nota a Cass., 6 giugno 2016, n. 11805, Pres. Vivaldi, Rel. Graziosi

Impugnazioni civili – Qualificazione giuridica – Acquiescenza parziale – Giudicato implicito – Esclusione (C.p.c., artt. 113, 329, comma 2°)

La qualificazione giuridica dei fatti costitutivi della domanda svolta nella sentenza impugnata non vincola il giudice dell’impugnazione, in quanto, anche in assenza di specifica censura, si esclude la formazione del giudicato interno sulla qualificazione in iure se il giudizio di impugnazione ha ad oggetto le conseguenze giuridiche dei fatti stessi. (1)

CASO
[1] Il Tribunale accoglieva una domanda di risarcimento del danno qualificandola ex art. 2043 c.c.; proposto appello, il giudice del gravame riformava la sentenza, affermando, tra l’altro, che in assenza di specifica impugnazione doveva ritenersi preclusa la possibilità di inquadrare la stessa domanda nell’ambito della responsabilità ex art. 2051 c.c. L’appellato soccombente ricorreva in cassazione, denunciando la violazione dell’art. 113 c.p.c.

SOLUZIONE
La Cassazione ha accolto il ricorso, enunciando il principio per cui, quando al giudice dell’impugnazione sia devoluta la cognizione sull’esistenza del diritto, permane il potere di riqualificare i fatti costitutivi ex art. 113 c.p.c., in quanto la statuizione sulla qualificazione giuridica di tali fatti non è suscettibile di passare in giudicato autonomamente rispetto alla decisione sulla domanda.

QUESTIONI
Sulla questione affrontata dalla pronuncia in epigrafe si registra un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, che riflette l’incertezza degli interpreti sulla nozione di «parte di sentenza» suscettibile di acquiescenza parziale ex art. 329, comma 2° c.p.c., con conseguente formazione del giudicato implicito, spesso definito «interno» in giurisprudenza.

In questo caso, la S.C. ha accolto l’orientamento secondo cui la natura strumentale della qualificazione giuridica dei fatti costitutivi rispetto alla decisione della domanda comporta che l’impugnazione della «parte di sentenza» che statuisce su quest’ultima devolve al giudice dell’impugnazione anche il potere di riqualificare la domanda stessa, a prescindere dalla specifica impugnazione della decisione sulla questione strumentale (cfr. Cass., 8 maggio 2015, n. 9294; Cass., 20 ottobre 2010, n. 21561).

Tale interpretazione deriva dall’insegnamento del Liebman, secondo cui costituiscono «parti di sentenza» ai fini dell’acquiescenza parziale solo quelle, tra le statuizioni contenute nel provvedimento, che generano soccombenza, quale requisito dell’impugnazione a pena di inammissibilità. Dalla necessaria corrispondenza tra il potere di impugnare e l’oggetto dell’impugnazione, discende, dunque, che soltanto le decisioni sulla domanda o sui capi autonomi di essa costituiscono le «parti di sentenza» che individuano l’oggetto del giudizio d’impugnazione, o, qualora non siano impugnate, su cui si forma il giudicato implicito (Liebman, «Parte» o «capo» di sentenza, in Riv. dir. proc., 1964, 56 ss.; ex multis Ricci, Il giudizio civile di rinvio, Milano, 1967, 109 ss.).

A questa concezione si contrappone quella proposta da Carnelutti, per cui le «parti di sentenza», ai fini di cui si discute, sono integrate dalle singole decisioni delle questioni controverse. Ciò in quanto le questioni, di fatto o di diritto, su cui le parti sono state in disaccordo costituiscono le componenti essenziali della controversia, per cui il provvedimento conclusivo che compone la «lite» è il risultato complessivo delle decisioni di ciascuna questione (Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile, IV, Padova, 1933, n. 276).

Da questa impostazione discende che la statuizione sulla qualificazione giuridica contenuta nella sentenza di primo grado, al pari di ogni altra questione controversa e risolta, è idonea ad essere autonomamente impugnata per essere devoluta alla cognizione del giudice dell’impugnazione, altrimenti operando l’acquiescenza parziale e la formazione del giudicato implicito ex art. 329, comma 2° c.p.c. (Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, 2016, I, 107, nt. 32; Poli, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002, spec. 153 ss., cui si rinvia per ulteriori approfondimenti; cfr. anche Rascio, L’oggetto dell’appello civile, Napoli, 1996, spec. 110 ss.; in giurisprudenza, cfr. Cass., 21 dicembre 2015, n. 25609; Cass., 3 luglio 2014, n. 15223).