30 Agosto 2016

La risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori alla luce del d.leg. 6 agosto 2015 n. 130

di Olga Desiato Scarica in PDF

Il 3 settembre 2015 è entrato in vigore il d. leg. 6 agosto 2015, n. 130 volto a regolamentare le procedure extragiudiziali di risoluzione delle controversie, nazionali e transfrontaliere, dei consumatori nello specifico ambito delle obbligazioni derivanti da contratti di vendita o di servizi, tra professionisti stabiliti nell’Unione Europea ed i consumatori ivi residenti. L’autrice ne analizza i punti salienti rivolgendo poi l’attenzione alla questione del concorso, rispetto alle controversie di consumo, tra la mediazione obbligatoria e l’Adr di natura volontaria.

Nel dichiarato intento di incentivare il ricorso a sistemi alternativi alla giurisdizione, il legislatore nazionale è intervenuto, con il d. leg. 6 agosto 2015, n. 130, a regolamentare procedure extragiudiziali di risoluzione delle controversie, nazionali e transfrontaliere, dei consumatori nello specifico ambito delle obbligazioni derivanti da contratti di vendita o di servizi, tra professionisti stabiliti nell’Unione Europea ed i consumatori ivi residenti. Il dettato di nuovo conio recepisce la direttiva 2013/11/CE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull’ADR per i consumatori) ed è interconnesso e complementare al Regolamento dell’Unione Europea n. 524 del 2013, il quale prevede l’istituzione di una piattaforma web idonea a fornire ai consumatori e ai professionisti un unico punto di accesso extragiudiziale per la risoluzione delle controversie online, attraverso gli organismi ADR collegati alla piattaforma (per ragguagli sulla portata della direttiva 2013/11 CE v. per tutti N. Scannicchio, Accesso alla giustizia e attuazione dei diritti. La mediazione delle controversie di consumo nella direttiva europea 2013-11, Torino, 2015; F.P. Luiso, La direttiva 2013/11/2013/UE, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, in Riv. trim. dir e proc. civ., 2014, 1299 ss. Sull’Online dispute resolutions all’indomani del regolamento n. 524/2013 v. D. Dalfino, Mediazione civile e commerciale, Bologna, 2016, 121 ss.; M. Francesca, Dalle Adr Offline alle procedure di Online Dispute Resolution: statuti normativi e suggestioni di sistema, in www.judicium.it; L. Bugiolacchi, Commercio elettronico e ODR (Online dispute resolutions) dopo il regolamento n. 524/2013 dell’Unione Europea. Gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie dei consumatori, in Resp. civ. e prev., 2013, 1403 e ss).

In linea con le indicazioni eurounitarie, la nuova disciplina assicura ai consumatori l’opportunità di avanzare reclami innanzi ad organismi indipendenti, imparziali e trasparenti al fine di risolvere le controversie fuori dalle aule di giustizia e si fa apprezzare nella misura in cui adatta i principi cardine individuati dalle istituzioni europee in tema di conciliazione alle varie procedure di Adr già presenti nel settore consumeristico. Nell’intento di salvaguardare il più possibile l’impostazione del codice del consumo, il decreto in parola interviene integrando e modificando l’art. 141 del d.leg. 6 settembre 2005 n. 206 ed inserendo gli artt. dal 141-bis al 141 decies (per un primo commento sulla novella v. G. Recinto, Il foro del consumatore e clausole di predeterminazione dell’organismo Adr: le novità derivanti dal d. lgs. 6 agosto 2015, n. 130 e l’occasione per ripensare la relazione tra strumenti di deflazione del contenzioso, da un lato, e giustizia statale o privata, dall’altro, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2016, 1, 118 e ss.; P. Licci, I sistemi di risoluzione alternativa delle liti, Frosinone, 2016, 65 ss.; M. Marinaro, Con il nuovo istituto “stretta di mano” e soluzione bonaria, in Giuda al diritto, 2016, 34 ss.).

Nel dettaglio, la nuova formulazione dell’art. 141 cod. cons. individua negli organismi di Alternative Dispute Resolution gli enti deputati a gestire le procedure e, quindi, a proporre soluzioni o a riunire le parti al fine di agevolare una soluzione amichevole: la priorità sembra essere accordata alla mediazione di tipo facilitativo e/o propositivo, nel quale le persone fisiche incaricate dell’Adr assistono le parti nella ricerca dell’accordo amichevole, avviando solo eventualmente la fase valutativa che conduce alla proposta conciliativa. In tali ultime ipotesi la metodologia c.d. aggiudicativa implica il riconoscimento di garanzie ulteriori in favore del consumatore (si pensi all’onere degli organismi di informare le parti, prima dell’avvio del procedimento, del diritto ad esse spettante di ritirarsi in qualsiasi momento della procedura, di scegliere se accettare o no la risoluzione proposta, di chiedere un risarcimento attraverso un normale procedimento giudiziario, di essere informate dell’effetto giuridico che consegue dall’accettazione della proposta, ecc.).

L’art. 1 del d. leg. 130/15 cit., modificando l’art. 141 cod. cons., chiarisce l’ambito di applicazione delle disposizioni, il quale è esteso anche alle procedure di conciliazione paritetica contemplate dall’art. 141 ter. La norma merita di essere salutata con favore nella misura in cui -successivamente al riconoscimento intervenuto a livello comunitario con la risoluzione del 25 ottobre 2011 e al livello nazionale ad opera della l. 7 ottobre 2014 di Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – codifica la best practice nostrana in cui le procedure di conciliazione si basano su protocolli sottoscritti tra le associazione dei consumatori e le singole aziende (o le associazioni di categoria) ove sono stabilite le regole cui le parti dovranno attenersi per dirimere le singole questioni.

Tra gli adempimenti e gli obblighi posti a carico degli organismi spiccano quelli attinenti al reclutamento delle persone fisiche incaricate della risoluzione delle liti, le quali potranno gestire le procedure solo se in possesso di conoscenze e competenze specifiche, se indipendenti e retribuite prescindendo dall’esito delle procedura. Accanto alla previsione della partecipazione delle parti senza obbligo di assistenza legale meritano, poi, di essere annoverate quelle in virtù delle quali  le procedure dovranno essere gratuite o disponibili a costi minimi per i consumatori, nonché concludersi entro il termine di novanta  giorni  dalla  data  di ricevimento  del  fascicolo completo   della domanda da parte dell’organismo Adr.

Chiarito che il consumatore non può essere privato in nessun caso del diritto di adire il giudice competente indipendentemente dall’esito della procedura di composizione extragiudiziale, le nuove disposizioni inserite nel cod. cons. contemplano una serie di garanzie ulteriori volte ad assicurare al consumatore non solo le informazioni inerenti all’organismo o agli organismi competenti, ma anche, nelle ipotesi di controversie transfrontaliere, assistenza – per il tramite del Centro nazionale della rete europea per i consumatori (ECC-NET) – nell’accesso all’organismo Adr che operi in un altro Stato membro e che possa trattare la questione.

Il comma sesto dell’art. 141 cit. lascia salve le norme che contemplano l’obbligatorietà delle procedure di risoluzione extragiudiziale, prima fra tutte quella di cui all’art. 5, comma 1 bis, del d. leg. 4  marzo  2010, n. 28 disciplinante i casi di condizione di  procedibilità con riferimento alla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali. Dall’interpretazione letterale del disposto può desumersi che la controversia che presenti caratteristiche oggettive e soggettive tali da giustificare l’applicazione del d.leg. n.130/2015 resti soggetta alla mediazione obbligatoria di cui al d. leg. n. 28/10 qualora rientri tra le materie espressamente annoverate dall’art. 5, commi 1 bis e 4: il concorso rispetto alle controversie di consumo tra la mediazione obbligatoria e l’Adr di natura volontaria è, in altre parole, risolto a favore della prima.  L’opzione, pur consentita dalla direttiva 2013/11, sembra però confliggere con i criteri posti dalla direttiva 2008/52 cit. e più in  generale con la tendenza delle istituzioni d’Oltralpe a preferire le forme volontarie delle procedure di risoluzione alternativa delle controversie nella consapevolezza che l’approccio consensuale consente il raggiungimento di risultati assai più gratificanti rispetto a quello autoritativamente imposto.

La disposizione inserita nel cod. cons. non appare oltretutto in linea con le indicazioni fornite dal legislatore nel d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito nella l. 10 novembre 2014, n. 162, là dove all’art. 3 esclude che l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita costituisca condizione di procedibilità della domanda in riferimento «alle controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori», nonché, al settimo comma, in relazione alle ipotesi in cui «la parte può stare in giudizio personalmente».

La scelta di privilegiare la mediazione obbligatoria deve essere valutata anche in considerazione dell’intento perseguito dalle istituzioni eurounitarie di dar vita ad un sistema unitario di Adr specificamente destinato alle controversie di consumo ed avente requisiti armonizzati. Alla luce di tale dato non si comprende perché in relazione a talune controversie di consumo (contratti bancari, finanziari ed assicurativi) si debba optare per il ricorso alla mediazione obbligatoria e, quindi, per una regolamentazione che non tenga in debita considerazione la nota asimmetria che contraddistingue il rapporto di consumo. Le norme apprestate dal leg. 130/15 mirano, del resto, ad assicurare adeguata tutela al contraente più debole e, proprio in ragione della disparità esistente tra le parti della controversia, sono predisposte misure ad hoc che consentano di riequilibrarne le posizioni. Solo per menzionarne una, si consideri la possibilità assicurata alle parti dall’art. 141 quater Cod. cons. di ritirarsi in qualsiasi momento dalla procedura, possibilità invece non riconosciuta dal d. leg. n. 28/10, il quale, all’opposto, all’art. 8 precisa che la mancata partecipazione al procedimento senza giustificato motivo determina conseguenze rilevanti nel successivo giudizio condizionando il convincimento del giudice e giustificando la condanna al pagamento di una somma di denaro di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.