La riforma della responsabilità civile dei magistrati
di Elisa Bertillo Scarica in PDFIn seguito ad un lungo e travagliato iter parlamentare, la legge n. 18 del 27 febbraio 2015 ha portato a compimento la riforma della disciplina in materia di responsabilità civile dei magistrati. Al fine di ottemperare alle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, il legislatore, pur lasciando inalterato il principio della responsabilità indiretta dei magistrati, ha ampliato le fattispecie di colpa grave, eliminato il c.d. filtro di ammissibilità, e reso obbligatoria l’azione di rivalsa da parte dello Stato.
Originariamente disciplinata negli artt. 55 e 56 del codice di procedura civile, travolti dall’iniziativa referendaria del 1987, la responsabilità civile dei magistrati è oggi prevista dalla l. n. 117/1988, sul cui testo è intervenuta la novella apportata dalla l. n. 18/2015.
Prima di tale ultima modifica, la normativa prevedeva, sotto il profilo sostanziale, la necessità di un addebito per dolo o colpa grave, le cui ipotesi erano tipizzate in modo restrittivo, e, sotto il profilo processuale, il c.d. filtro di ammissibilità, nonché la natura indiretta dell’azione, proponibile solo avverso lo Stato, il quale poteva, se condannato, esperire l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato.
La necessità di riformare il descritto impianto normativo è sorta a seguito della condanna dell’Italia ad opera della Corte di giustizia dell’Unione Europea (Corte giust. 24 novembre 2011, causa C-379/10, Commissione Ue c. Governo Italia, Foro it., 2012, IV, 13) e della conseguente apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione, diretta a contestare all’Italia il mancato adeguamento alle prescrizioni contenute nella citata pronuncia.
Il legislatore italiano è dunque intervenuto e le principali modifiche riguardano le ipotesi di responsabilità per colpa grave (art. 2), l’abrogazione del vaglio di ammissibilità (art. 5) e l’azione di rivalsa (artt. 7 e 8).
In primo luogo, nel novellare l’art. 2, l. n. 117/1988, il legislatore del 2015 ha ampliato la nozione di colpa grave. Nella versione originaria, la colpa grave poteva derivare soltanto da una grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; dall’affermazione, o negazione, di un fatto la cui esistenza risultasse incontrastabilmente esclusa, o sussistente, dagli atti di causa, purché derivante da negligenza inescusabile; dall’emissione di provvedimenti concernenti la libertà personale al di fuori dei casi consentiti dalla legge o senza motivazione.
A seguito della modifica, è stato, in primo luogo, espunto il riferimento alla negligenza inscusabile, la quale rimane, tuttavia, condizione per l’esercizio dell’azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato ex art. 7, l. n. 117/1988 come novellato dalla l. 18/2015. Inoltre, le ipotesi di colpa grave sono state ampliate nei seguenti termini:
- la fattispecie di colpa grave relativa all’emissione di provvedimenti concernerti la libertà personale al di fuori dei casi previsti dalla legge o senza motivazione è stata estesa a tutti i provvedimenti cautelari personali o reali;
- la fattispecie della «grave violazione di legge» è stata sostituita dalla più ampia violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea, al fine della cui valutazione si deve tener conto del «grado di chiarezza e precisione delle norme violate nonché dell’inescusabilità e gravità dell’inosservanza». Con riferimento alla violazione manifesta del diritto dell’Unione europea, è necessario tener conto altresì della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, ex art. 267 TFUE, nonché «del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea»;
- è stata introdotta la nuova causa di colpa grave costituita dal travisamento del fatto o delle prove, la quale dovrebbe riferirsi esclusivamente al travisamento macroscopico, evidente, tale da non richiedere alcun approfondimento di carattere interpretativo o valutativo (in merito v. E. Scoditti, Le nuove fattispecie di «colpa grave», in La nuova responsabilità civile dei magistrati (l. 27 febbraio 2015, n. 18), id., 2015, V, 317).
La riforma, inoltre, pur lasciando inalterata la clausula di salvaguardia di cui al secondo comma dell’art. 2 della l. n. 117/1988, secondo cui non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove, ne ha ridotto l’ambito di applicazione, facendo salvi i casi di dolo e colpa grave.
È stato, inoltre, ampliato il termine di decadenza per la proposizione dell’azione, ora di tre anni, e soppresso il c.d. filtro di ammissibilità, previsto dall’abrogato art. 5, l. n. 117/1988. La norma disciplinava lo svolgimento di una prima fase in camera di consiglio al fine di vagliare l’ammissibilità della domanda di risarcimento, che poteva essere esclusa qualora non fossero stati rispettati i termini e i presupposti previsti dalla legge, nonché in caso di palese infondatezza (a favore dell’eliminazione del filtro si pronuncia G. Scarselli, L’eliminazione del filtro di ammissibilità nel giudizio di responsabilità civile dei magistrati, in La nuova responsabilità civile dei magistrati (l. 27 febbraio 2015, n. 18), ibid., 281; in senso critico, v. R. Romboli, Una riforma necessaria o una riforma punitiva?, in La nuova responsabilità civile dei magistrati (l. 27 febbraio 2015, n. 18), ibid., 346).
Infine, il legislatore ha sancito l’obbligatorietà dell’azione di rivalsa da parte dello Stato nei confronti del magistrato, «nel caso di diniego di giustizia, ovvero nei casi in cui la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea ovvero il travisamento del fatto o delle prove […] siano stati determinati da dolo o negligenza inescusabile».
Quanto al primo impatto della riforma, le modifiche descritte hanno sollevato dubbi di costituzionalità, in riferimento alle norme che tutelano l’indipendenza della magistratura (v. E. Scoditti, Le nuove fattispecie di colpa grave, cit.), e hanno condotto il Tribunale di Treviso (ord. 8 maggio 2015, id., Merito extra, n. 2015.289) e il Tribunale di Verona (ord. 12 maggio 2015, ibid., n. 2015.279), a sollevare la questione di legittimità costituzionale. D’altra parte, i primi commentatori si sono interrogati sulla rispondenza della novella alle indicazioni comunitarie, ritenendo che la medesima sia andata molto al di là di queste ultime (v. G. Grasso, Note introduttive, in La nuova responsabilità civile dei magistrati (l. 27 febbraio 2015, n. 18), id., 2015, parte V, col. 281).
Tra le prime interpretazioni della giurisprudenza di legittimità si segnala Cass. pen. 23 aprile 2015, n. 16924, id., Rep. 2015, voce Rimessione del processo, n. 1, la quale ha escluso che la proposizione dell’azione di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie esperita ai sensi della l. n. 117/1988 possa costituire ragione sufficiente ad imporre la sostituzione del singolo magistrato. In particolare, la Corte ritiene che il magistrato non assuma la qualità di debitore nei confronti di colui che abbia proposto la domanda di risarcimento del danno, potendo la stessa essere rivolta unicamente nei confronti dello Stato, salvi i soli casi di condotta penalmente rilevante ex art. 13 l. 117/1988; peraltro, l’eventuale successiva proposizione dell’azione di rivalsa da parte dello Stato non muta tale situazione, data la diversità di presupposti e condizioni delle due azioni (ex artt. 2, 3 e 7 l. 117/88).
Alla luce di tale pronuncia si può, pertanto, ritenere superato il paventato rischio di un corto circuito del sistema normativo attuale, realizzabile attraverso la proposizione di azioni risarcitorie dirette al solo fine di creare i presupposti per ottenere la ricusazione del magistrato.