26 Ottobre 2015

L’eccezione di compromesso per arbitrato estero

di Elisa Picozza Scarica in PDF

L’eccezione di compromesso per arbitrato estero apre nel processo una questione di giurisdizione, che però può atteggiarsi diversamente a seconda che la lite devoluta agli arbitri stranieri già di per sé si collochi al di fuori dai limiti della giurisdizione italiana ovvero che la convenzione arbitrale stessa, portando in sé un patto di deroga alla giurisdizione italiana, sottragga ai limiti di essa una lite che per sua natura vi rientrerebbe. In tale ultimo caso la declinatoria di giurisdizione da parte del giudice adito dovrà essere preceduta dalla verifica delle condizioni richieste dall’art. 4 l. 218/95 e dall’art. II Convenzione di New York del 1958.

L’eccezione di compromesso per arbitrato estero non trova, nel nostro ordinamento, una specifica e compiuta disciplina, con ciò costringendo l’interprete a ricostruire una soluzione sulla base degli altri strumenti normativi a disposizione. Qualora l’arbitrato sia italiano, l’art. 819 ter c.p.c. qualifica e disciplina espressamente l’eccezione di compromesso come eccezione “di incompetenza”; allorché invece il medesimo patto compromissorio eccepito dinanzi al giudice sia destinato a sorreggere un arbitrato estero, la questione deve ricondursi al più ampio concetto di giurisdizione e, segnatamente, ai limiti esterni ch’essa incontra.

Il difetto di giurisdizione in capo al giudice italiano trova la propria disciplina nell’art. 11 l. 218/95, a norma del quale può essere fatto valere in ogni stato e grado del processo «soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana», e dunque solo qualora questi, nel suo primo atto difensivo, ne abbia eccepito la carenza; il rilievo officioso è invece consentito solo allorché il convenuto sia rimasto contumace.

Tale norma, sebbene richiamabile allorché dinanzi al giudice italiano venga eccepita l’esistenza di un accordo per arbitrato estero, sembra però indirizzata a regolare la più generale ipotesi in cui un soggetto venga convenuto dinanzi al giudice italiano in assenza di un qualsivoglia criterio di collegamento utile a fondare la giurisdizione di quest’ultimo nei confronti del primo. Vengono qui disciplinate le ipotesi di difetto originario di giurisdizione: l’assenza di potestas iudicandi del giudice italiano precede e trascende l’esistenza di una convenzione per arbitrato estero, la cui presenza costituirebbe al più un mero indizio di quella carenza di potere. In altre parole, viene portata dinanzi al giudice italiano una controversia che questi – salvo il caso di espressa o tacita accettazione da parte del convenuto – non potrebbe comunque conoscere, restando del tutto irrilevante se quella controversia dovrà poi essere risolta da un giudice straniero o da un arbitro estero. In siffatte ipotesi, la difesa del convenuto che non intenda accettare la giurisdizione italiana verte sulla mera estraneità ab origine della controversia rispetto alla giurisdizione italiana (senza che sia neppure necessario menzionare l’istanza straniera – giudiziaria o arbitrale – che detiene il potere di giudicarla), mentre l’indagine del giudice in ordine alla fondatezza dell’eccezione dovrebbe limitarsi alla verifica dell’esistenza o meno di un collegamento giuridicamente rilevante idoneo ad attribuirgli la giurisdizione.

Diverso è il caso in cui sia invece devoluta ad arbitri stranieri la risoluzione di una lite che, in assenza di quella convenzione arbitrale, apparterrebbe a pieno titolo alla giurisdizione italiana: qui la convenzione per arbitrato estero porta in sé un accordo di deroga alla giurisdizione italiana e si pone quindi come fonte di un difetto (sopravvenuto) di giurisdizione. La deroga alla giurisdizione italiana a favore di arbitrato estero fa sì che la fattispecie slitti nella sfera di operatività di altre norme e, segnatamente, dell’art. 4, 2° e 3° comma, l. 218/95, e dell’art. II della Convenzione per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, sottoscritta a New York il 10 giugno 1958 e ratificata dall’Italia con l. 62/68.

Il nostro ordinamento consente la deroga alla giurisdizione italiana «a favore di arbitri stranieri» allorché la deroga sia provata per iscritto e la causa verta su diritti disponibili; tuttavia, la deroga viene esplicitamente considerata inefficace allorché gli arbitri indicati declinino la propria giurisdizione ovvero, per qualsiasi altra ragione, non possano conoscere della causa.

Dal suo canto, la disposizione convenzionale (applicabile senza restrizioni, posto che il nostro Paese non si è avvalso della clausola di reciprocità di cui all’art. I, 3°comma, Conv.), oltre a prevedere l’obbligo per tutti gli Stati aderenti di consentire la deroga alla propria giurisdizione in ragione di una convenzione per arbitrato straniero che abbia ad oggetto una lite compromettibile secondo la lex fori, contiene altre due disposizioni di notevole interesse: da un lato, detta i requisiti sufficienti affinché un patto arbitrale straniero possa essere considerato valido sul piano formale e, dall’altro, statuisce espressamente che il giudice nazionale dinanzi al quale sia stata eccepita l’esistenza di tale patto rimetta le parti in arbitrato «a meno che non accerti che detta convenzione è caducata, inoperante o non suscettibile di applicazione».

Alla luce di questi ulteriori strumenti normativi, la disciplina processuale dell’eccezione di difetto (sopravvenuto) di giurisdizione in ragione dell’esistenza di un accordo di deroga alla giurisdizione italiana a favore di arbitrato estero risulta più articolata dell’eccezione di difetto originario di giurisdizione. Al pari di questa, è rilevabile d’ufficio esclusivamente laddove il convenuto sia rimasto contumace; costituitosi in giudizio quest’ultimo, sarà solo il suo comportamento processuale a decretare il permanere della vigenza o meno, tra le parti, dell’accordo di deroga (già revocato dall’attore che si è rivolto all’autorità giudiziaria italiana): di talché, laddove egli intenda avvalersi di quell’accordo, dovrà tempestivamente sollevare la relativa eccezione, onde non incorrere in una tacita rinuncia ad esso che restituirebbe al giudice italiano il potere di giudicare. Tuttavia, prima che il giudice possa spogliarsi della causa dichiarandosi privo di giurisdizione, la sua indagine dovrà proseguire, per un verso esaminando la validità e operatività della deroga ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 4 l. 218/95 e, per altro verso, verificando la piena operatività del patto arbitrale secondo quanto previsto dall’art. II della Convenzione di New York del 1958.

Sotto il primo aspetto, l’indagine avrà a oggetto la disponibilità del diritto secondo la legge italiana e l’esistenza di una prova scritta dell’accordo di deroga, senz’altro soddisfatta dalla produzione dell’accordo per arbitrato estero. Con riferimento al secondo profilo, verificata la compromettibilità secondo la legge italiana della lite devoluta agli arbitri stranieri, il giudice, nel procedere all’accertamento del rispetto delle prescrizioni dell’art. II della Convenzione di New York del 1958, dovrà limitarsi a verificare che il patto arbitrale rivesta forma scritta, senza che assumano rilevanza altri requisiti di forma eventualmente richiesti dalla legge che regola l’accordo compromissorio ovvero di appartenenza dell’arbitrato: verifiche pressoché coincidenti con quelle da compiersi sulla base dell’art. 4 l. 218/95.

Tuttavia, prima di pronunciarsi sulla propria giurisdizione, il giudice dovrà anche verificare che quell’accordo arbitrale sia concretamente idoneo a sorreggere un arbitrato: di talché la sua indagine dovrà spingersi a valutare se sussistano o meno cause di invalidità sostanziale di quell’accordo secondo la legge chiamata a regolarlo. E così, là dove il patto arbitrale avesse ad oggetto una materia non compromettibile secondo la legge che regola l’arbitrato ovvero prevedesse un tipo di giudizio arbitrale nullo secondo quella legge; oppure fosse divenuto inefficace per l’inutile decorso del termine stabilito dalle parti per ricorrere all’arbitrato; o ancora per qualsiasi altra ragione non potesse aver validamente luogo la costituzione del tribunale arbitrale, vuoi per motivi interni all’accordo arbitrale, vuoi per circostanze esterne, vuoi infine per l’ipotesi in cui fossero stati gli arbitri stessi a declinare la propria competenza, in tutti questi casi il giudice italiano non potrebbe che rigettare l’eccezione, affermare l’esistenza della propria giurisdizione e proseguire nella trattazione del processo incardinato dinanzi a lui.