Sull’inammissibilità di domande nuove nel giudizio di rinvio
di Giulia Ricci Scarica in PDFApp. Napoli Sez. III, Sent., 03-02-2016
Giudizio di rinvio – Azione di nullità contrattuale – Azione di risoluzione – Domanda nuova – Inammissibilità. (C.c., artt. 1418, 1453; C.p.c., artt. 345, 394; D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, artt. 21, 23)
[1] L’azione di risoluzione del contratto costituisce una domanda nuova rispetto all’azione di accertamento della nullità, ed è pertanto inammissibile ex art. 345 c.p.c. se formulata per la prima volta nel giudizio di rinvio.
Giudizio di rinvio – Inadempimento contrattuale – Risarcimento del danno – Danno da risoluzione – Domanda nuova – Inammissibilità. (C.c., artt. 1218, 1453, 1458; C.p.c., artt. 345, 394; D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58, artt. 21, 23)
[2] La domanda di risarcimento del danno derivante dalla violazione degli obblighi informativi ex art. 23, D.Lgs. n. 58 del 1998 è diversa dalla domanda di risarcimento dipendente dalla risoluzione del contratto per inadempimento dei medesimi obblighi informativi; quest’ultima è dunque inammissibile ex art. 345 c.p.c. se proposta per la prima volta nell’atto di appello in riassunzione.
(Massime non ufficiali)
CASO
[1-2] Il cliente di una banca conveniva in giudizio la stessa per sentir dichiarare la nullità del contratto con cui la convenuta aveva acquistato per suo conto titoli di stato argentini, e per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla violazione degli obblighi informativi sulla rischiosità dei titoli ex artt. 21 e 23 del D.Lgs. 24 febbraio 1998 (T.U.F.). Il Tribunale e la Corte d’appello rigettavano le domande, accertato l’assolvimento dell’obbligo informativo gravante sulla convenuta. Proposto ricorso in cassazione, la Suprema Corte rilevava un error in procedendo sull’assolvimento dell’onere probatorio da parte della banca e formulava il principio di diritto da applicare nello svolgimento dell’istruttoria nel giudizio di rinvio. La Corte precisava, in motivazione, che la dedotta violazione degli obblighi informativi, prospettata dalla ricorrente come causa di nullità, è invece più correttamente riconducibile a una causa di risoluzione del contratto (Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724). Nell’atto di appello in riassunzione, la ricorrente chiedeva la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno.
SOLUZIONE
[1-2] Il giudice del rinvio ha dichiarato inammissibili ex art. 345 c.p.c. entrambe le domande proposte. La domanda di risoluzione è ritenuta nuova e diversa rispetto alla domanda di accertamento della nullità, poiché la prima presuppone l’esistenza di un valido vincolo contrattuale, violato dalla parte inadempiente, di cui l’altro contraente chiede la risoluzione; al contrario la declaratoria di nullità presuppone che tale vincolo non si sia mai costituito. Anche la domanda di risarcimento del danno è ritenuta nuova, poiché in primo grado veniva prospettata come derivante dall’asserita violazione degli obblighi informativi, nell’atto di riassunzione, invece, come dipendente dalla domanda di risoluzione del contratto, con mutamento di petitum e causa petendi, giustificazione normativa e quantificazione.
QUESTIONI
[1] La pronunciata inammissibilità della domanda di risoluzione del contratto proposta per la prima volta nel giudizio di appello in riassunzione, in luogo della domanda di nullità del medesimo contratto, conferma l’operatività del divieto di jus novorum ex art. 345 c.p.c. nella delimitazione dell’oggetto del giudizio di rinvio ex art. 394, terzo comma c.p.c. (Cass., 12 giugno 1987, n. 5159). Gli elementi individuatori delle due domande sono infatti diversi, in quanto la domanda di nullità del contratto tende ad un provvedimento di mero accertamento (negativo), il petitum immediato è la declaratoria dell’inesistenza degli effetti tipicamente riconducibili ad un contratto valido, e la causa petendi comprende tutti i fatti che possono causare la nullità (Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, I, Torino, 2015, 175 ss., per ulteriori approfondimenti; Proto Pisani, Appunti sulle tutele cd. costitutive (e sulle tecniche di produzione degli effetti sostanziali), in Riv. dir. proc., 1991, 94 ss.); l’azione di risoluzione è invece di tipo costitutivo, il petitum immediato consiste in un provvedimento di scioglimento degli effetti del contratto valido, e la causa petendi nell’inadempimento di non scarsa importanza ex artt. 1453 e 1455 c.c. (Consolo, Il processo nella risoluzione del contratto per inadempimento, in Riv. dir. civ., 1995, I, 299 ss.; v. anche Cass., 4 settembre 1996, n. 8070). La novità delle domande di scioglimento del contratto, tra cui la risoluzione, rispetto all’azione originaria di nullità, per qualsiasi causa, è riconosciuta da Cass., 12188/2000, in Guida al dir., 2000, 44, 63 ss.; App. Roma, 17 luglio 1980, in Foro it., 1980, 7, 1447; parzialmente contraria Cass., 26 novembre 2002, n. 16708, secondo cui la domanda di nullità «comprende» quella di annullamento fondata sugli stessi fatti; in dottrina Carratta, Sub art. 112 c.p.c., in Comm. C.p.c., a cura di Chiarloni, Bologna, 2011, 115 ss.
Va inoltre escluso che la proposizione in riassunzione della domanda di risoluzione fosse da ammettere ex art. 394, terzo comma c.p.c., in quanto derivante dalla pronuncia di cassazione. La norma riguarda, infatti, i casi in cui la pronuncia di legittimità abbia modificato la materia del contendere, rendendo rilevanti nuove questioni di fatto o di diritto (Cass., 13 febbraio 1998, n. 1557; D’Alessandro, Sub art. 394, in Comm. C.p.c. a cura di Comoglio, Milano, 2013, 1334 ss.). Nel caso di specie, invece, l’indicazione fornita dai giudici di legittimità non è idonea ad incidere sull’oggetto del giudizio di rinvio, in quanto la qualificazione della domanda era questione coperta da giudicato interno, oltretutto integrante un giudizio di fatto che, se correttamente motivato, è insindacabile in cassazione (v. Carratta, Sub art. 112, cit.).
[2] Anche la domanda di risarcimento del danno è stata dichiarata inammissibile ex art. 345 c.p.c., in quanto ritenuta nuova rispetto alla domanda di risarcimento proposta in primo grado, e, in ogni caso, «inaccoglibile» in quanto dipendente dalla domanda di risoluzione. Vero è che, in entrambi i casi, la domanda di risarcimento era fondata sulla responsabilità contrattuale da inadempimento degli obblighi informativi ex artt. 21 e 23 T.U.F., ma nel ricorso in riassunzione il giudice del rinvio ha ravvisato un nesso di dipendenza tra la domanda di risoluzione e la domanda di risarcimento del danno. Di conseguenza ha ritenuto mutato il petitum mediato, in quanto il risarcimento fondato sulla violazione degli obblighi ex art. 23 T.U.F. è quantificato nel valore differenziale dei titoli tra il momento dell’acquisto e della proposizione della domanda (Cass., 29 dicembre 2011, n. 29864, in Foro it. 2012, 7, 2120), mentre nella domanda di risarcimento dipendente dalla risoluzione del contratto il petitum mediato comprende anche l’interesse positivo, costituito dai vantaggi che sarebbero derivati dall’esecuzione del contratto (Bessone, Istituzioni di diritto privato, Torino, 2015, 732 ss.). Ove, al contrario, il risarcimento fosse stato richiesto quale autonoma domanda di accertamento della responsabilità per inadempimento di obblighi contrattuali ex art. 1218 c.c., la domanda formulata nell’atto di appello in riassunzione sarebbe stata ammissibile ex artt. 394 e 345 c.p.c., indipendentemente dal giudizio di ammissibilità della domanda di risoluzione.