Compensazione delle spese processuali. Il «nuovo» art. 92 c.p.c. rimesso alla Corte costituzionale
di Claudio Bechis Scarica in PDFTribunale Torino, ord., 30 gennaio 2016 – CiocchettiScarica l’ordinanza
Spese processuali – Compensazione – Ipotesi – Tassatività – Potere discrezionale del giudice – Insussistenza – Violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza, del diritto di agire in giudizio e del principio del giusto processo – Questione di legittimità costituzionale
(Cost. artt. 3, comma 1, 24 comma 1 e 111, comma 1; C.p.c. artt. 91, comma 1 e 92, comma 2)
[1] E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione della legittimità costituzionale dell’art. 92, comma 2, c.p.c., laddove – irragionevolmente nonché in contrasto con il principio di uguaglianza, il diritto di agire in giudizio e il principio del giusto processo – individua in via tassativa le ipotesi di compensazione delle spese della lite, senza più ammettere il potere discrezionale del giudice di darvi corso per gravi ed eccezionali ragioni.
IL CASO
[1] Un socio lavoratore di una cooperativa ha convenuto in giudizio la propria datrice di lavoro per sentirla condannare al pagamento: i) in via principale, delle differenze retributive dovute in ragione dell’insufficienza dei parametri previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro applicati nel corso del rapporto di lavoro; ii) in via di subordine, dell’indennità integrativa per malattia e infortunio prevista da tale disciplina convenzionale (ove ritenuta applicabile).
LA SOLUZIONE
[1] Il Tribunale, pur concludendo per l’infondatezza di entrambe le domande proposte, ha ritenuto iniqua la condanna alle spese del ricorrente: da un lato, per l’imprevedibilità delle difese con cui la convenuta ha dimostrato la congruità della retribuzione controversa (offrendo in comparazione al CTU contratti collettivi diversi da quelli a tal fine utilizzati dai contrari precedenti del foro torinese); dall’altro, per la complessità delle questioni sottese alla temporanea riduzione dei trattamenti integrativi erogati dalle cooperative ex art. 6, comma 1, lett. d) ed e), L. 3 aprile 2001, n. 142.
Visto che simili aspetti non assumono alcuna rilevanza ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., come novellato dall’art. 13, D.L. 12 settembre 2014 n. 132 (conv. con modif. in L. 10 novembre 2014 n. 162), il Giudice adito ha deciso il merito della lite con sentenza non definitiva, sollevando con l’annotata ordinanza – in funzione della residua pronuncia sulla spese della lite – la questione della legittimità costituzionale della norma a seguito dell’epocale espunzione dal relativo disposto di ogni discrezionalità giudiziaria (prevista in materia sin dall’art. 370, comma 2, c.p.c. 1865).
LE QUESTIONI
[1] Inappagato della portata restrittiva dell’art. 45, comma 11, l. 18 giugno 2009 n. 69 – che ha sostituito le “gravi ed eccezionali ragioni” agli originari “giusti motivi” di compensazione delle spese – il legislatore del 2014 (con il d.l. 132/2014) è tornato a limitare l’operatività dell’istituto in analisi, al fine di valorizzare ulteriormente l’impatto deflattivo della regola della soccombenza, quale strumento di responsabilizzazione della parte (v. relazione illustrativa d.d.l. di conv. D.L. cit.; cfr. Mandrioli, Diritto processuale civile, I, Torino, 2015, 428 e Verde, Diritto processuale civile, I, Bologna, 2015, 284 s).
S’è così pervenuti alla tassativa individuazione delle ipotesi di compensazione delle spese, limitata ai casi di “assoluta novità” della questione trattata e di mutamento della giurisprudenza “su profili dirimenti” – riguardanti la regula iuris nella sua astrattezza e non dunque (come nella fattispecie) i risultati dell’accertamento giudiziale – fermo restando il potere del giudice di compensare in tutto o in parte le spese di lite a fronte di soccombenza reciproca (conformemente alla regola generale di cui all’art. 91, comma 1, c.p.c.: sul punto, Luiso, Diritto processuale civile, I, Milano, 2015, 431 ss).
Il Giudice remittente ha sostenuto il contrasto della delineata disciplina con gli artt. 3, comma 1, 24, comma 1 e 111, comma 1, Cost. – richiamando anche l’art. 69, par. 3, comma 1, Reg. Corte di Giustizia (genericamente teso ad ammettere la compensazione delle spese “per motivi eccezionali”) – quale irragionevole disincentivo all’azione nei casi in cui la parte non abbia modo di prevedere l’esito della lite per ragioni diverse da quelle contemplate ex lege, con particolare riferimento alle situazioni in passato sussumibili nell’ambito della norma impugnata (la cui previgente elastica formulazione Cass., ord., 24 ottobre 2014 n. 22675, Cass., ord. 10 febbraio 2014 n. 2883 e Cass. 22 febbraio 2012 n. 2572, reputano imprescindibile; concorde Alunni, Il principio di causalità e la compensazione delle spese, in Giur. It., 2015, 602), quali, ad esempio, la disomogeneità delle soluzioni giurisprudenziali o la peculiarità e la complessità delle questioni trattate (v. Cass., ord. 10 febbraio 2014 n. 2883 e Cass., 1 dicembre 2003 n. 18352; per una più completa rassegna, v. Finocchiaro, La giurisprudenza sul codice di procedura civile coordinata con la dottrina, a cura di Finocchiaro-Corsini, Milano, 2014, 622 ss).
L’accoglimento della Consulta pare improbabile, costituendo la regolazione delle spese processuali un problema meramente accessorio alla decisione del merito della lite (Corte Cost., ord., 30 luglio 2008 n. 314), la cui disciplina compete alla discrezionalità del legislatore ex art. 28 L. 11 marzo 1953 n. 87 (Corte Cost. 4 giugno 2014 n. 157, Corte Cost., ord. 28 novembre 2012 n. 270 e Corte Cost., ord., 21 dicembre 2007 n. 446, per cui neppure la regola victus victori risulta costituzionalmente necessaria; concordi sul punto, Alunni, Il principio, cit., 600 e Lupano, Responsabilità per le spese e condotta delle parti, 2013, Torino, 2013, 7 ss; contra Luiso, op. loc. ult. cit.); anche perché le difficoltà economiche connesse all’assistenza legale costituiscono meri inconvenienti di fatto, come tali, irrilevanti ai fini in esame (Corte Cost. 4 giugno 2014 n. 157 e Corte Cost., ord. 28 novembre 2012 n. 270).
In altri termini, se i costi del giudizio possono erodere l’utilità cui dà accesso la vittoria processuale, si direbbe costituzionalmente ammissibile anche il rimarcato aggravamento della posizione del soccombente incolpevole. Tanto più che, a seguito dell’abrogazione del c.d. sistema tariffario – avviata dall’art. 2, comma 1, lett. a), D.L. 4 luglio 2006 n. 223 (conv. con modif. in L. 4 agosto 2006 n. 248) e completata dall’art. 9 D.L. 24 gennaio 2012 n. 1 (conv. con modif. in L. 24 marzo 2012 n. 27) – la discrezionalità espunta a valle potrebbe comunque ritenersi recuperata a monte, dato il potere del giudice di liquidare le spese in piena autonomia, anche al di sotto dei parametri minimi di cui al D.M. 10 marzo 2014 n. 55.
Parimenti improbabile si direbbe l’ipotizzata affermazione da parte del Giudice delle leggi del carattere meramente esemplificativo della casistica di legge, posto che una sentenza interpretativa di rigetto in tal senso, reintroducendo la soppressa discrezionalità, degraderebbe la novella in esame a mero intervento “estetico” – anche se, in realtà, le attitudini espansive dell’art. 92, comma 2, c.p.c. appaiono oggi fortemente limitate dalla stringenza della littera legis.
Inefficace pare infine il suggerimento di rendere reclamabile – anziché comunemente impugnabile – la pronuncia sulle spese, quantomeno rispetto alle perseguite finalità deflattive.