18 Aprile 2016

La titolarità del diritto è sindacabile in ogni stato e grado del processo? La risposta delle Sezioni unite

di Rita Lombardi Scarica in PDF

Cass. civ., sez. un.,  16 febbraio 2016, n. 2951 – Pres. Rovelli – Est. Curzio

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Processo civile – Titolarità del diritto – Elemento costitutivo della domanda – Onere della prova (C.c. art. 2697; C.p.c. artt. 89, 112). 

Processo civile – Contestazione della titolarità – Mera difesa – Contumacia- Rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado (C.p.c. artt. 115) 

Processo civile – Risarcimento del danno causato ad immobile  – Diritto del proprietario del bene all’epoca dell’evento dannoso (C.c. artt. 2043, 832) 

[1] La titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto

[2] Le contestazioni del convenuto sulla titolarità del rapporto controverso hanno natura di mere difese onde sono proponibili in ogni fase del giudizio, senza che la contumacia o la tardiva costituzione determini la non contestazione della stessa o alteri la ripartizione degli oneri probatori. La carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è altresì rilevabile di ufficio dal giudice se risulta dagli atti di causa. 

[3] Il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta al titolare del diritto di proprietà al momento del verificarsi dell’evento dannoso, e in quanto diritto autonomo rispetto a quello di proprietà, non segue quest’ultimo nell’ipotesi di alienazione, salvo diversa pattuizione.

CASO
[1-3] Il proprietario e l’usufruttuario di un fabbricato, in conseguenza del crollo dello stesso, chiedono il risarcimento del danno all’ANAS che aveva effettuato delle escavazioni. Nella contumacia della convenuta il Tribunale di Pisa accoglie la domanda. La società propone appello assumendo che all’atto della verificazione del danno gli attori in primo grado non erano titolari di alcun diritto reale sull’immobile danneggiato. Questi ultimi invece, con appello incidentale, contestano la quantificazione del danno. La Corte di appello di Firenze riforma totalmente la decisione di prime cure per il motivo innanzi indicato, specificando che la titolarità del diritto deve essere provata dall’attore e che la sua carenza (determinata nella specie dal passaggio della proprietà con scrittura privata e non con atto pubblico) è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo. Il proprietario propone ricorso per cassazione assumendo, tra l’altro, di vantare il diritto di proprietà sull’immobile da prima dell’evento dannoso e altresì rilevando che la carenza della titolarità del diritto, in quanto eccezione in senso stretto, era stata proposta tardivamente.

Le Sezioni Unite vengono chiamate dalla terza sezione a pronunciarsi sulla configurazione della contestazione de quo come mera difesa o come eccezione in senso stretto e sul se il diritto al risarcimento del danno spetti a colui che era proprietario al momento della verifica del danno o a chi subentra nella proprietà.

SOLUZIONE
[1-3] La Corte di cassazione compone il contrasto attribuendo prevalenza all’orientamento (minoritario) per il quale la carenza della titolarità del diritto è configurabile come mera difesa e, conseguentemente, eccepibile in ogni stato e grado del processo. Segnatamente per le sezioni unite della Corte la titolarità del diritto è elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda onde è l’attore a dover provare di possederla. Rilevato però che l’immobile era stato ben acquistato (con scrittura privata: art. 1350, n.1, c.c.)  prima dei lavori effettuati dall’ANAS, e che dunque all’epoca il richiedente il risarcimento del danno era titolare del diritto di proprietà, accoglie il ricorso.

QUESTIONI
[1-2] IL’intervento delle Sezioni unite segue all’ordinanza di rimessione di Cass., 13 febbraio 2015, n. 2977, pubblicata in questa Rivista con nota di Nicita, La contestazione sulla titolarità del diritto fatto valere in giudizio è eccezione in senso stretto oppure mera difesa?).

La problematica relativa alla distinzione tra legittimazione ad agire e titolarità, attiva o passiva, del diritto dedotto (ossia tra legittimazione ed esistenza del diritto), sebbene ampiamente analizzata in dottrina (v.  Costantino, Legittimazione ad agire, in Enc. giur. Treccani, XVIII, Roma, 1990; Dalfino, Legittimazione ad agire, in Diritto, Enc. giur. IX, Milano, 2007, 35) fino ad oggi ha diviso la giurisprudenza di legittimità in due distinti orientamenti. Quello maggioritario (espresso, tra le altre, dalle citate Cass. 2 marzo 2015, n. 4166; Cass. 28 ottobre 2015, n. 21925; Cass. 23 maggio 2012, n. 8175; Cass. 26 settembre 2006 n. 20819) affermava che la contestazione della reale titolarità del diritto, attiva o passiva, attiene al merito della controversia e, dunque, a differenza della legittimazione ad agire, deve essere rilevata e provata nei tempi e nei modi previsti per l’eccezione su istanza di parte (segnatamente non è rilevabile d’ufficio in quanto collegata al potere dispositivo della parte interessata).

Diversamente l’orientamento minoritario (espresso, tra le altre, dalle richiamate Cass. 10 luglio 2014, n. 15759; Cass. 5 novembre 1997, n. 10843; Cass. 19 luglio 2011 n. 15832) reputava che la titolarità del diritto è elemento costitutivo della domanda talché l’onere della prova ricade sull’attore; la sua carenza rientra nella mera difesa della controparte ed è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. In adesione a quest’ultimo orientamento, nel caso in esame la Corte di appello di Firenze ha puntualizzato che la contumacia del convenuto non comporta ammissione e neppure incide sulla ripartizione dell’onere della prova.

Componendo il contrasto giurisprudenziale i giudici di legittimità rimarcano che mentre la legittimazione ad agire è condizione dell’azione, e dunque il relativo difetto è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio (non soggetto a preclusione alcuna), la titolarità della posizione soggettiva è elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda: l’onere della prova pertanto grava sull’attore secondo le regole ordinarie. Ad avviso della Corte la prova della titolarità, se in linea di principio incombe sull’attore, può discendere anche dal comportamento processuale del convenuto, ove questi riconosca espressamente detta titolarità oppure svolga delle difese incompatibili con la negazione della stessa. Inoltre la difesa con la quale il convenuto si limiti a dedurre, ed eventualmente argomentare (senza contrapporre e chiedere di provare fatti impeditivi, estintivi o modificativi) che l’attore non è titolare del diritto azionato è una mera difesa e non un’eccezione onde può essere svolta in ogni fase del giudizio ed è rilevabile anche dal giudice ex officio.

Quanto al rilievo della condotta del convenuto sull’onere della prova, le Sezioni unite ribadiscono però che la sua contumacia non determina la non contestazione dei fatti allegati dall’attore e neppure altera la ripartizione dell’onere della prova: questo limite, chiaramente ricavabile dall’art. 115 c.p.c., conferma che la contumacia nel nostro ordinamento è inteso, di regola, quale comportamento neutro (v. Cass., ord. 4 novembre 2015, n. 22461, in questa Rivista con nota di Polizzi; Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano, 2015, 219 ss.).

[3] In ordine alla spettanza del diritto al risarcimento del danno, come evidenziano le sezioni unite, si contendevano il campo due orientamenti giurisprudenziali: per un verso si assumeva che il diritto al risarcimento danni segue il trasferimento del bene (Cass. 14 luglio  2008, n. 19307; Cass. 14 ottobre 2011, n. 21256), per altro verso, e in prevalenza, si riteneva che siffatto diritto spetta a colui che era proprietario all’atto del verificarsi dell’evento dannoso (Cass. 10 luglio 2014, n. 24146; Cass. 3 luglio 2009, n. 15744).

Le Sezioni unite, in adesione a quest’ultima interpretazione, chiariscono che il diritto al risarcimento del danno non è un accessorio del diritto di proprietà bensì un diritto di credito distinto e autonomo dal diritto reale (come affermato già da Cass. sez. un. 19 ottobre 2011, n. 21582), onde siffatto diritto non si trasferisce con quello di proprietà (sulla cessione del credito v. l’art. 1260 ss. c.c.).

Specificamente sulla distinzione tra legitimatio ad causam ed effettiva titolarità in materia di risarcimento danni v. Cass.  14 febbraio 2012 n. 2091; Cass. 14 giugno 2006, n. 13756; Cass. 6 marzo 2006, n. 4796.