18 Marzo 2025

Morte della parte costituita e rispetto del principio del contraddittorio

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. II, 16 gennaio 2025, n. 1104, Pres. Di Virgilio, Est. Mondini

[1] Morte della parte costituita – Costituzione spontanea di alcuni eredi – Interruzione del processo – Esclusione – Integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eredi – Omissione – Nullità della sentenza – Effetti.

Massima: “La costituzione volontaria di almeno uno degli eredi di una parte costituita che decede in corso di causa equivale alla legale comunicazione del decesso ex art. 300 c.p.c., ma impedisce l’interruzione del processo, poiché compiuta da uno o da alcuni di coloro ai quali spettava proseguirlo; trattandosi di causa inscindibile, ove la morte intervenga nel corso del giudizio d’appello, la mancata costituzione di taluni eredi determina la necessità di integrare il contraddittorio carente, affinché la causa sia decisa in confronto di tutte le parti della sentenza di primo grado, cosicché è nulla la sentenza d’appello pronunciata in difetto dell’ordine di integrazione, senza che da tale nullità derivi l’estinzione del processo per decorrenza del termine ex art. 305 c.p.c., dovendo invece la causa essere rinviata al giudice d’appello per una nuova decisione in confronto di tutte le parti (massima ufficiale).”

CASO

[1] Un soggetto conveniva dinanzi al Tribunale di Latina diverse parti chiedendo lo scioglimento della comunione ereditaria in essere con riferimento ad alcuni immobili siti in Ponza già di proprietà del de cuius.

L’unico tra i convenuti ad essersi costituito proponeva domanda riconvenzionale richiedendo l’accertamento del suo diritto di proprietà su uno di tali immobili, in quanto acquisito per usucapione dalla di lui madre e a lui, da questa, poi donato. Di tale domanda riconvenzionale non veniva disposta la notificazione alle parti contumaci a norma dell’art. 292 c.p.c.

Il Tribunale di Latina rigettava le domande attoree accogliendo la riconvenzionale predetta.

L’adita Corte d’Appello di Roma rigettava l’impugnazione proposta, con conferma integrale della pronuncia di prime cure.

Parte attrice interponeva ricorso per cassazione denunciando, per quanto di interesse nella presente sede, violazione o falsa applicazione degli artt. 784, 292, 102 e 303 c.p.c.

Il ricorrente, in particolare, evidenziava che tra i soggetti da lui citati davanti al Tribunale si era costituita una sola parte (quella attrice in via di riconvenzione), con conseguente dichiarazione di contumacia delle altre. A seguito dell’intervenuta proposizione della domanda riconvenzionale, il Tribunale avrebbe dovuto disporre la relativa notificazione ai contumaci, ciò che, però, non era avvenuto: il Tribunale si era dunque pronunciato in difetto di contraddittorio, senza che la Corte d’Appello fosse intervenuta a sanare tale vizio processuale.

Il ricorrente evidenziava, inoltre, che nel corso di un’udienza i difensori della parte convenuta costituita (attrice in via riconvenzionale) ne avevano dichiarato il decesso, e che, contestualmente, i medesimi difensori si erano “costituiti in prosecuzione per gli eredi”, senza che il Tribunale dichiarasse l’interruzione del giudizio in considerazione della mancata costituzione degli altri eredi o chiamati; secondo il ricorrente, poi, il processo avrebbe comunque dovuto essere ritenuto interrotto, indipendentemente dalla declaratoria del Tribunale, a seguito della dichiarazione di decesso; di conseguenza, il giudizio, interrottosi automaticamente, non essendo stato riassunto nei confronti delle parti legittimate, doveva considerarsi estinto ai sensi dell’art. 305 c.p.c.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte afferma la fondatezza del motivo di ricorso proposto, nei limiti che verranno subito precisati.

In primo luogo, la Cassazione esclude la fondatezza di quanto sostenuto dal ricorrente nella seconda parte del motivo formulato, in relazione al fatto che, a seguito del decesso della parte convenuta costituita, il processo si sia interrotto e si sia poi estinto per non essere stato proseguito nel termine di cui all’art. 305 c.p.c. da tutti o nei confronti di tutti i di lui eredi.

È viceversa ritenuta fondata la censura (formulata nella prima parte del motivo) attinente alla necessità di integrare il contraddittorio sulla domanda riconvenzionale proposta.

La domanda riconvenzionale di accertamento dell’usucapione e della proprietà esclusiva proposta, avente ad oggetto beni in comproprietà tra il medesimo convenuto e gli altri convenuti, doveva infatti essere proposta nei confronti di tutti i comunisti “perché comportava l’accertamento di una situazione giuridica (usucapione e proprietà esclusiva) confliggente con quella preesistente (comproprietà degli altri) della quale il giudice può solo conoscere in contradditorio di ogni interessato” (in tal senso, si richiama Cass., 14 giugno 2018, n. 15619). Nel caso di specie è invece accaduto che, rimasti contumaci tutti gli altri originari convenuti e non essendo stata disposta la notifica della riconvenzionale nei loro confronti ex art. 292 c.p.c., la domanda riconvenzionale è stata accolta senza che sulla stessa i medesimi convenuti abbiano avuto modo di prendere posizione.

Tale motivo di ricorso viene così accolto, nei limiti testé specificati, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa al Tribunale di Latina, in persona di altro giudicante, in applicazione del principio di diritto secondo cui “quando risulta integrata la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata né dal giudice di primo grado, che non ha disposto l’integrazione del contraddittorio, né da quello di appello, che non ha provveduto a rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354, comma 1, c.p.c., resta viziato l’intero processo e s’impone, in sede di giudizio di cassazione, l’annullamento, anche d’ufficio, delle pronunce emesse e il conseguente rinvio della causa al giudice di prime cure, a norma dell’art. 383, comma 3, c.p.c.” (in tal senso la richiamata Cass., 22 febbraio 2021, n. 4665).

QUESTIONI

[1] La pronuncia in epigrafe interviene, in prima battuta, sul tema dell’interruzione del processo di cognizione determinata dalla morte di una delle parti.

Sul punto, si ricorda che l’art. 300 c.p.c. prevede che se la morte della parte «si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti. Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione volontaria o la riassunzione a norma dell’articolo precedente».

Ancora, il successivo art. 305 c.p.c. specifica che in caso di mancata prosecuzione o riassunzione entro il termine perentorio di tre mesi dall’interruzione, il processo si estingua.

A tal proposito, e al contrario di quanto ritenuto da parte ricorrente, a seguito della dichiarazione del decesso della parte convenuta costituita da parte dei difensori non si è verificata l’automatica interruzione del processo, e ciò in quanto, contestualmente, si sono costituiti alcuni eredi, e la costituzione di alcuni eredi è sufficiente ad evitare l’interruzione.

Sul punto, si richiama il risalente arresto di Cass., 9 gennaio 1952, n. 22, secondo cui “Deceduta dopo la costituzione in giudizio una delle parti, e costituitisi volontariamente in giudizio uno o taluni degli eredi della stessa, tale costituzione equivale alla legale comunicazione del decesso, prevista dall’art. 300 c.p.c., essendo insita nella cennata costituzione la dichiarazione di cui parla il citato articolo, nella impossibilità dell’acquisto della qualità di erede senza la morte della persona, dalla quale essa si ripete. Tuttavia tale deduzione in giudizio del decesso di una parte non determina l’interruzione del processo, in quanto tale evento è impedito appunto dalla contemporanea costituzione volontaria di uno o di alcuni di coloro ai quali, come eredi della parte defunta, spettava di proseguirlo. La circostanza che taluno degli eredi non si sia costituito determina soltanto, trattandosi di causa inscindibile, la incompletezza del contraddittorio e quindi la necessità della relativa integrazione, affinché, nel caso di decesso avvenuto nelle more del giudizio d’appello, la causa sia decisa nei confronti di tutte le parti, nei cui riguardi era stata pronunziata la sentenza di primo grado. Omesso dal giudice d’appello ogni provvedimento in ordine alla necessaria integrazione, la sentenza emessa da tale giudice deve riconoscersi affetta da nullità, senza, peraltro, che dalla nullità derivi l’estinzione del processo per la decorrenza del termine di cui all’art. 305 c.p.c. La nullità importa soltanto che la causa debba essere rinviata dal supremo collegio al giudice d’appello per nuova decisione nei confronti di tutte le parti”.

Se tale censura non viene ritenuta meritevole di accoglimento da parte della Suprema Corte, viene invece affermata la fondatezza della prima parte del motivo di ricorso, nella parte in cui censura il difetto del contraddittorio sulla domanda riconvenzionale proposta dall’unico convenuto costituito.

Sul punto, occorre richiamare quanto previsto dall’art. 292 c.p.c., in materia di processo contumaciale: «L’ordinanza che ammette […] domande […] riconvenzionali da chiunque proposte sono notificate personalmente al contumace nei termini che il giudice istruttore fissa».

È opportuno rilevare come ex adverso sia stato invocato, allo scopo di sottrarsi a tale censura, il principio di diritto affermato da Cass., 17 gennaio 2001, n. 574, secondo cui “La norma dell’art. 292 c.p.c., secondo cui le domande nuove devono essere personalmente notificate al contumace, costituisce una particolare applicazione del principio del contraddittorio ed è dettata nell’esclusivo interesse del contumace con la conseguenza che l’inosservanza dell’obbligo di notificazione determina una nullità non assoluta ma relativa che non può essere rilevata d’ufficio dal giudice ma va dedotta dallo stesso contumace all’atto della sua eventuale successiva costituzione ovvero mediante impugnazione della sentenza che abbia pronunciato sul merito della domanda nuova non notificata”.

Tale principio di diritto, però, non può trovare applicazione nel caso di specie, connotato dalla presenza di una fattispecie di litisconsorzio necessario rispetto alla domanda riconvenzionale di usucapione, ed essendo conseguentemente dato al giudice del merito di conoscere della domanda solo nel contradditorio di tutti i comproprietari (sul punto, Cass., n. 15619/2018, cit.; si segnala però, in argomento, anche l’arresto di Cass., 26 settembre 2019, n. 24071, in Corr. giur., 2020, con nota di B. Zuffi, L’abuso dell’abuso del processo: la Cassazione disapplica l’art. 102 c.p.c., invocando il “prisma dell’interesse ad agire” e l’obbligo di lealtà e probità e postilla di C. Consolo, Vera nullità se violato l’art 102 c.p.c. ma con qualche finesse nel fissare le parti davvero necessarie, secondo la quale “In caso di accertamento dell’usucapione in danno di più proprietari, è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione della sentenza di rigetto proposta, per violazione dell’integrità del contraddittorio, dal soccombente che abbia agito in giudizio senza convenirvi tutti i comproprietari e senza sollecitare al riguardo l’esercizio dei poteri officiosi del giudice, stante l’irrilevanza per lo stesso della non opponibilità della pronuncia ai litisconsorti necessari pretermessi e l’assenza di pregiudizio per i diritti di questi ultimi. Né è meritevole di tutela l’interesse ad un nuovo giudizio che si concluda con differente esito, traducendosi esso in un abuso del processo, oltre ad essere contrario al principio di ragionevole durata dello stesso ai sensi dell’art. 111 Cost.”).

Il difetto del contradditorio per omessa citazione di un litisconsorte necessario è infatti rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, anche nel giudizio di legittimità, quando, come nel caso di specie, la relativa prova risulti dagli atti già acquisiti nel giudizio di merito e sulla questione non si sia formato giudicato (Cass., 20 dicembre 1994, n. 10968).

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